Anni imprigionati come sospensioni dentro una provetta crepata, con le spalle appiccicate a un versante di valle e il naso a puntellare quello fragile di là. In quello che è l’esperimento Tavernola si prova a intervenire. Come purtroppo succede di questi tempi, si sutura male, con la strategia sbagliata.
I sensori installati monitorano con costanza la parete che minaccia il paese e tutto l’ecosistema del Lago d’Iseo, ma fino a ieri niente più. Fino a quando abbiamo letto che la frana provocata dal cementificio va consolidata a suon di iniezioni di cemento nel ventre del Monte Saresano.
Si procede per assurdo: il cemento da causa della frana diventa LA soluzione.
Insostenibili Olimpiadi: lo sosteniamo
Ci si vede in corteo a Milano, sabato 10 febbraio, a fianco del carrozzone variopinto di Olimpiadi Insostenibili.
A due anni esatti dall’inaugurazione dei giochi, Alpinismo Molotov aderisce convinta alla chiamata contro il prossimo funesto evento turistico sportivo che promette di portare devastazione e disagio in un ambiente che merita cura e attenzione.
In superficie i Giochi provano a raffigurare un evento sportivo che necessita di infrastrutture utili al suo svolgimento: piste, palazzetti, opere talvolta critiche come la pista da bob di Cortina ecc. In questo campo la politica mira a confondere i piani, costruendo un racconto fatto di lavori eseguiti che torneranno utili ai fruitori e agli abitanti del territorio in cui si svolgeranno, dopo che i giochi saranno finiti. Si ricorre a una narrazione che vorrebbe descrivere questo tipo di manifestazioni come volano per l’economia; generatore di profitto, ricchezza – per pochi – e posti di lavoro.
Le Olimpiadi hanno senza dubbio il potere di riunire pacificamente le persone: a maggior ragione non hanno perciò il diritto di essere strumento di sfruttamento. Dell’ambiente anzitutto, perché quello che non viene mai raccontato abbastanza è che la logica olimpica non è fatta di sostenibilità ma fonda sull’idea del grande evento attorno al quale ruotano miliardi in infrastrutture collaterali, inutili e dannose. Disboscamento, sottrazione di risorse a necessità urgenti – ci riferiamo all’acqua che verrà sottratta per creare la neve artificiale – colate di cemento e consumo di suolo. A fine giochi resteranno i cocci: debiti miliardari come per le olimpiadi di Torino del 2006, palazzi da grande evento e infrastrutture inutili che si troveranno a marcire, inquinamento.
Le Olimpiadi che non vengono raccontate mai abbastanza sono soprattutto questo: un sistema di turistificazione e profitto anacronistico, una mangiatoia per i gruppi edili, e qualche briciola a territori e comunità.
Temi che ci sono cari, che abbiamo raccontato e continueremo a raccontare col nostro piglio, giochi compresi.
Trentino: la pelle dell’orso per un pugno di voti
Tempesta chiama tempesta, la quiete la precede
Partiamo con una constatazione: la giunta della Provincia autonoma di Trento (PAT), ha deciso che vuole far uccidere otto orsi l’anno. Otto a prescindere. Perché è la quantità che conta. Come per i voti che si vendemmiano atteggiandosi a sceriffi.
Ci eravamo occupati della questione orsi ai tempi della tragedia sul Monte Peller, la psicosi che era montata nei mesi precedenti alla morte di Andrea Papi, e che aveva occupato la stampa nelle settimane successive, non ha avuto seguito.
Era prevedibile.
Nelle valli del Trentino in questi mesi si è tornati alla routine, l’attenzione dei media è scemata. Della paura di essere sbranati non v’è più traccia, non si hanno notizie quotidiane di cassonetti devastati, di orsi che terrorizzano automobilisti in transito, di trentini barricati in casa senza poter vivere, lavorare, svagarsi.
Sono al momento scomparsi anche i giustizieri fai da te. Persone qualsiasi, non necessariamente “cattive”, sappiamo però bene che quando si inaugura una campagna d’odio è difficile restare lucidi, riflettere prima di agire, problematizzare. Gioco forza qualcuno si fa prendere la mano.
Talvolta solo sbraitando, altre volte mettendo a rischio la vita di esseri viventi, altre ancora passando alle vie di fatto, nel caso dell’orsa Amarena colpendo tra l’altro un essere che non creava nessun problema.
Oggi la cronaca ha smesso di esondare, è rientrata nell’alveo ordinario nel quale si trova a proprio agio: scava solchi in attesa di un’emergenza che le consenta di ergere nuovi confini. Riguardo ai problemi di impossibilità di sconfinamento degli orsi, causato della mancanza di corridoi per via dell’antropizzazione intensiva, tutto è rimasto come prima. Chi vive o frequenta il Trentino continua a incontrare orsi e muri, le criticità sono le stesse di prima. Nonostante i proclami della PAT le misure di arricchimento e formazione, di consapevolezza atte migliorare la convivenza tra animali umani e animali non-umani segnano ancora zero. Si tace in attesa che il prossimo caso possa riaccendere il focolaio.
Potremmo terminare qui, registrando il dato di fondo di una distensione generale del clima dal fronte umano, dicendo che non è cambiato nulla, che ci si trascina in assenza di misure utili alla cittadinanza e di autocritica da parte della PAT sulla gestione dei plantigradi. Fugatti resta al suo posto, rieletto nonostante abbia provato a costruire una narrazione di ordinaria follia su di un caso eccezionale, al solito, incurante delle continue lettere d’accusa del padre di Papi.
Tuttavia la mancanza di una riflessione adeguata e che non sia dicotomica, da una parte noi “umani”, dall’altra loro “gli orsi”, è sintomo di letargia. Cosa che è spesso foriera di nuovi tempi cupi.
Gli orsi liberi affrontano l’inverno “dormendo”, quelli problematici continuano a farlo tutto l’anno rinchiusi e sedati negli spazi angusti del Casteller, otto sono morti nel silenzio generale, tre di loro avvelenati.
Il Gran Sasso, il Giro d’Italia e un’idea di merda (ma tinta di rosa)
Gran Sasso da Campo Imperatore (Wikipedia)
L’edizione 2024 del Giro d’Italia arriverà – nella tappa in programma per l’11 maggio – a Prati di Tivo, una località nel comune di Pietracamela nota a tutti gli appassionati di montagna del Centro Italia e non solo. L’organizzazione del Giro d’Italia ha invitato tutte le città coinvolte in arrivi e partenze di tappa a colorarsi illuminando di luci rosa e rosse le proprie vie, le piazze e i monumenti.
Una serie di enti locali ha pensato bene di proiettare una luce rosa sulle pareti del Gran Sasso – che con i 2.912 metri del Corno Grande è la vetta più alta dell’Appennino – a 100 giorni dalla partenza del Giro come occasione per promuovere il territorio. Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga ha dato parere negativo, da qui le polemiche che stanno imperversando in questi giorni.
Come Alpinismo Molotov abbiamo da mesi in cantiere un articolo su bicicletta e montagna. Questo fatto – che potrebbe essere liquidato allargando le braccia imprecando – ci consente di uscire con una sorta di breve prequel perché la combo mefitica Giro d’Italia/illuminazione del Gran Sasso è troppo esemplificativa del tema per non affrontarla attraverso le lenti ricavate dai cocci di una bottiglia Molotov.
Ciclovie che fanno schifo: devastare il territorio in nome dell’ambiente
Tremosine: a sinistra la strada della Forra, a destra il punto sommiate della frana
Una “semplice” frana
Nel corso di un soleggiato pomeriggio, il 16 dicembre 2023, un costone di roccia affacciato sulle sponde bresciane del Lago di Garda, a Tremosine, è precipitato in acqua. Nessun innesco particolare: nessuna presunta pioggia battente. Nessun sisma o lieve scossa registrati dai sismografi e nemmeno lavori di costruzione o scavo con utilizzo di mine a sollecitare la montagna. L’unica “anomalia” di cui si può dire è stata la temperatura alquanto mite per una giornata d’inverno.
Venti gradi per meglio dire, una tipica giornata da crisi climatica. Con ogni probabilità più “fredda” di quelle che vivremo di qui in avanti, nemmeno fresca rispetto allo storico di stagione. Va pertanto esclusa anche una delle tipiche cause dei crolli invernali: il ghiaccio che si gonfia e sgonfia come un mantice tra le rocce. Quello del 16 dicembre è lo smottamento spontaneo di una porzione di monte che cede sotto al proprio peso, una non-notizia, sia che la si analizzi sulla base della storia geologica del Garda, anche recente, sia che si presti invece attenzione alla morfologia delle sue sponde.
Siccità, incendi e alluvioni. La crisi climatica tra Adriatico e Alpi Giulie
“The serene side of Slovenia” – Il Carso isontino dopo gli incendi dell’estate 2022
C’è un giornalista infeltrito che ogni volta che ha freddo e deve mettersi il loden, poi per rappresaglia scrive un elzeviro in cui inveisce contro i gretini che credono nel riscaldamento globale. C’è anche una certa quantità di persone che gli va dietro. E c’è la reazione standard degli attivisti climatici, o anche solo delle persone di buon senso, che replicano più o meno così: il riscaldamento globale è appunto globale, quindi va valutato globalmente e non sulla base di osservazioni locali. Tutto giusto, ma non basta. Non basta perché è troppo astratto. L’alfabetizzazione scientifica è in generale molto bassa, in Italia e un po’ ovunque, e di certo non ha aiutato a migliorare la situazione l’uso demenziale della “scienza” come manganello durante la pandemia (in realtà, l’uso di una serie di proposizioni apodittiche e prescrittive infiocchettate in un linguaggio che suonava scientifico). Il fatto è che però il riscaldamento è ben visibile anche nelle osservazioni locali ed empiriche, e se si vuole convincere le persone della gravità della situazione bisogna insegnare loro a leggerne i segnali sul proprio territorio.
Lo scorso dicembre in tutta la pianura padana occidentale si sono avute a più riprese temperature massime sopra i 20 gradi. Effetto del foehn, certo, che ha soffiato con raffiche record sopra i 200 km/h. Ma il foehn non è il Vento dal nulla, è una delle manifestazioni dello sconvolgimento climatico. E infatti dopo il foehn è arrivata l’inversione termica, e l’anomalia si è spostata in quota. Forse vale davvero la pena cominciare a mappare i territori, per toccare con mano gli effetti dei cambiamenti globali nelle loro ricadute locali.
Prendiamo ad esempio le Alpi Giulie.