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28 Apr2023

Sbatti l’orso in prima pagina

28 Aprile 2023. Written by Redazione_am. Posted in Senza categoria, Staffette

 

Una colonna sonora

«La vita dell’orsa JJ4 non ci restituirà nostro figlio. Troppo comodo cercare di chiudere questa tragedia eliminando un animale, a cui non può essere imputata la volontà di uccidere. Non ci interessano i trofei della politica: noi pretendiamo che ad Andrea venga restituita dignità e riconosciuta giustizia. […] Le istituzioni non hanno fatto niente per spiegare alla gente come comportarsi con un numero così alto di orsi: cosa fare per prevenire incontri, quali zone non frequentare, come reagire a un attacco. […] Hanno lasciato tutti ignoranti e tranquilli, senza nemmeno installare i cassonetti anti-orso in tutti i paesi a rischio»

Così si è espresso Carlo Papi riguardo alla morte di suo figlio Andrea, ucciso dall’orsa JJ4 mentre transitava su una strada forestale del Monte Peller.

L’orso, una storia tra etimologia e immaginario

Abbiamo atteso affinché la tragedia occorsa potesse decantare. Ci siamo sforzati di farlo, nonostante l’enormità del dibattito che ne è scaturito.
Purtroppo nemmeno la forza delle parole dei familiari di Andrea Papi sono riuscite a sgombrare il campo dalle troppe distorsioni, a raddrizzare una discussione nata storta. Ora, dopo esserci costretti a strozzare il fiato nella speranza malriposta che potesse svilupparsi un discorso che prendesse le mosse dai dati di realtà, vorremmo provare a collocare a modo nostro i tempi, e lo spazio e gli esseri di – e in– questa storia. A intervenire con gli attrezzi che sappiamo maneggiare per provare a mettere a fuoco le prospettive, distanti dalle troppe tossicità che registriamo di continuo.

Quanto accaduto coinvolge chiunque, tanto chi in montagna ci vive quanto chi la vive per le più svariate ragioni e a noi pare che assumere la giusta distanza sia il modo, la prossemica imprescindibile per rapportarci con animali, selvatici o meno che siano. Che percepiamo come pericolosi oppure no. Una distanza – variabile da specie a specie, da esemplare a esemplare – emotiva ed analitica, resa difficile dal deflagrare sguaiato di retoriche contrastanti solo in apparenza, ma di fatto convergenti.

Il dibattito pubblico intorno alla questione orso a cui da qualche giorno assistiamo è infatti intriso di frasi fatte: purtroppo come ogni altro dibattito della contemporaneità si esaurisce in una falsa alternativa, tra posizioni che paiono avere come scopo quello di contrapporsi, ma che non fanno altro, in realtà, che alimentarsi a vicenda avvitandosi su sé stesse. Proviamo allora a riavvolgere il nastro, per poi trarre qualche considerazione a mente fredda.

I fatti, la natura (dentro e fuori)

La notizia di cui stavolta si è nutrito il tritacarne social-mediatico è quella di uno sportivo, Andrea Papi, aggredito e ucciso da un orso mentre attraversava un bosco[1].
Tutto questo a nostro avviso tende nervi che vanno molto al di là della paura degli animali selvatici e toccano argomenti molto vasti – che non approfondiremo ora – come rischio e sicurezza. Argomenti che associati alla montagna fanno tremare versanti e crollare seracchi. Negli ultimi decenni, con un’accelerazione ulteriore nel corso del periodo pandemico ci si è avvitati – rileviamo tra l’altro il riemergere del termine runner – intorno a una finta rincorsa al rischio zero in ogni ambito. O meglio: il sistema economico, sociale e politico in cui siamo immersi, che spinge quotidianamente il mondo per come lo conosciamo verso la catastrofe, ci dice che – allo stesso tempo – lavora per ridurre il fattore di rischio nella nostra vita. E lo fa attraverso una miscela di deresponsabilizzazione e colpevolizzazione individuali, in favore della definizione di regimi normativi accomunati dal dover essere profittevoli. Questo, associato a una visione del turismo sempre più aggressiva, ci fa stupire – e di converso lo stupore consente a chi legifera di reagire contro – in montagna e negli ambienti considerati “naturali” ogni qualvolta assistiamo a un incidente, a un alpinista che precipita, a un’aggressione da parte di animali selvatici, a una pietra che cade in testa a una persona su un sentiero e via discorrendo. Situazioni appunto “naturali”, (mettiamo la parola natura fra virgolette per segnalare che siamo in presenza di una costruzione culturale, nel momento in cui noi animali umani ci chiudiamo dentro i nostri confini – muri di casa, recinti, filo spinato – creiamo in modo automatico e ancestrale il fuori).
Chiamiamo “natura” ciò che consideriamo fuori ma noi non ne siamo estranei, siamo parte di questa “natura” che pretendiamo via via più addomesticata, finta. A prescindere dal fatto che l’animale sia oggetto di un progetto di introduzione per salvaguardarne la popolazione o che la pietra cada per il versante indebolito dai cambiamenti climatici o che l’alpinista sia un turista della domenica.

Queste situazioni sono “naturali”, nel senso che chi va in montagna, come chi va ovunque, sceglie di esporsi a potenziali situazioni di rischio. Non stiamo parlando di artefatti umani a cui sono stati tolti i dispositivi di sicurezza per aumentare la produzione, stiamo parlando di ciò che sta fuori i confini che abbiamo costruito e in cui ci pensiamo al sicuro. La condanna a morte degli animali che hanno infranto le regole del vivere civile (farebbe ridere se non fosse vero) evoca una volontà morale e sembra far percolare, al di là dell’umano, atteggiamenti di repressione e colpevolizzazione. Come nel caso del Casteller, una sorta lager per fauna in ergastolo ostativo, stiamo assistendo impotenti all’estensione del 41bis oltre ogni limite, stiamo applicando la pena di morte mentre ci illudiamo di salvare il pianeta legiferando intorno al comportamento dei cinghiali. Ma ora parliamo di orsi.

Premessa: abbiamo scritto dell’orso “oggetto di un progetto di introduzione per salvaguardarne la popolazione decimata”, proprio per evitare un termine che consideriamo un tranello bell’e buono: “reintroduzione”.
Il termine “reintroduzione” è funzionale – e infatti vi si accompagna in maniera insistente – alla narrazione luna park per cui il plantigrado sterminato dalle sagge vecchie generazioni sarebbe stato re-inserito in un contesto in equilibrio fragile, incapace di accoglierlo e per giunta a mero uso turistico, come se il resto della montagna trentina non fosse anch’essa asservita al turismo.
Se è poi vero che alcuni orsi sono stati immessi attraverso un progetto europeo – Life Ursus, avente scopo di rimpinguarne l’estenuata popolazione nativa del Brenta – lo è altrettanto il fatto che la specie non era sparita dalle Alpi centrali, così come continua a sconfinare dalle aree balcaniche sulle Alpi orientali.

Life Ursus

Life Ursus non è quindi etichettabile come progetto di reintroduzione tout court proprio perché, sottigliezza piccola solo in apparenza, non è tecnicamente possibile reintrodurre ciò che estinto non è. Ce n’erano pochi esemplari, vero, tre o quattro maschi superstiti in Brenta, come acclarato da progetti di monitoraggio dei primissimi anni ‘90. Ma, per quanto una popolazione non fertile sia senza futuro, non si può parlare (ancora) di una specie (Ursus Arctos) estinta.
E in assenza di estinzione parlare di reintroduzione prima ancora che prestarsi a fallacie logiche è scorretto, propedeutico alla creazione di immaginari distorti.

Immaginari come quello che pretende – a ricalco dei nazionalismi – orsi sloveni diversi dagli orsi nostrani, e che merita senza dubbio un accenno. Se è vero che ogni sottopopolazione è oggetto di “deriva genetica”, tanto maggiore quanto maggiore è il suo isolamento, immaginare che gli orsi trentini fossero diversi da quelli sloveni – una sottospecie univoca come l’orso marsicano – è una fandonia.
Da sempre la popolazione di orso è la stessa, che viva sulle Alpi Occitane così come in Grecia o nei boschi dinarico-balcanici. Inoltre l’orso, essendo un animale solitario, non acquisisce imprinting di gruppo diverso da quello dettato dall’istinto.

Il progetto Life Ursus ha dunque introdotto esemplari prima che la specie sparisse completamente dall’areale in questione, con l’obbiettivo dichiarato di non farne svanire la tenue memoria culturale presso le stesse popolazioni che abitano quei territori (in cui erano nel frattempo state costruite aree destinate alla tutela della fauna, plantigradi compresi, dei quali è dal 1939 vietato l’abbattimento).
Il Parco Nazionale dello Stelvio dal 1935, quello Adamello-Brenta dal 1967, quello regionale dell’Adamello dal 1983, costituiscono assieme al Parco Nazionale Svizzero (1914) un unico sistema di protezione della fauna territorialmente contiguo che valica i confini statali. Dal 1976 inoltre la Provincia Autonoma di Trento si è dotata di una legge finalizzata a prevenire ed indennizzare i danni da orso.

La crescita di popolazione degli orsi ci consente di affermare che Life Ursus è stato un successo e avviene con una dinamica nota: a difesa delle fasi che vanno dalla gestazione allo svezzamento (facciamo notare che il tasso di mortalità dei cuccioli nel primo anno di vita è del 75%) la femmina stabilisce un’area nucleo che i cuccioli abbandoneranno soltanto quando saranno indipendenti. Le giovani femmine della cucciolata replicheranno poi il comportamento materno, stabilendo nuovi perimetri entro i quali va prestata ogni cautela onde evitare situazioni di pericolo.

[1] Si scoprirà poi che l’orso “colpevole” dell’aggressione è l’esemplare JJ4, catturata mediante trappola a tubo il 19 aprile assieme a due dei suoi tre cuccioli, subito liberati perché già potenzialmente autonomi.

Danza di Capodanno degli orsi a Comănești (Romania)

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15 Nov2022

Il diamante scomparso.
Dove ghiaccio e acqua non ci sono più: ricognizioni e appunti

15 Novembre 2022. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

– È il diamante più grande del mondo.
– No, – corresse lo zingaro. – È ghiaccio.

 Gabriel Garcia Marquez – Cent’anni di solitudine

 

È un’estate, quella del 2022, che sembra non finire mai. Nella seconda metà di ottobre è finalmente arrivata un po’ di pioggia, ma con temperature ben sopra la media e in ogni caso non sufficiente a colmare la carenza idrica dei mesi precedenti. Le gare di Coppa del Mondo di Sci, previste nel comprensorio Cervinia Zermatt a fine ottobre sono state annullate per impraticabilità di campo. E una manifestazione legata agli sport invernali che viene annullata perché, di fatto, manca l’inverno, ci sembra emblematica. Allo stesso modo non ci è sembrato tardi raccogliere e dare forma a una serie di osservazioni e di immagini che ci siamo scambiat* nel collettivo nei mesi scorsi, in seguito alle nostre uscite durante la cosiddetta “bella stagione”.

***

18 giugno 2022
Salita in giornata con la prima funivia, condizioni molto secche tipo fine agosto. Temperature tropicali già dal primo mattino. Pendio di salita in ghiaccio fino a 3800m circa, dopo un pochino di neve è ancora presente.

3 luglio 2022
Partiti con la prima funivia da Staffal ore 7/30.
Le condizioni del ghiacciaio sono da fine agosto. Molti crepacci aperti, pozzanghere e rigoli d’acqua che scendono copiosi.

3 luglio 2022
Oggi il meteo è stabile, ma rispetto a un mese fa la situazione neve si è stravolta, il ghiacciaio di Bors era un lenzuolo bianco, senza un segno, ora è per metà pietrame, l’altra metà e grigio e con crepi…

Simonetta: Queste sopra sono tre relazioni di salita alla Punta Giordani: lungo la via normale la prima e la terza, la seconda lungo la Cresta del Soldato, pubblicate su Gulliver.it e su On-ice, prima che io arrivassi in zona, il 10 luglio 2022. La punta Giordani, che rientra nell’elenco dei Quattromila delle Alpi, è in effetti una spalla della Piramide Vincent al Monte Rosa, una salita estremamente facile, che viene spesso percorsa da chi per la prima volta si avvicina all’alta quota.
Appena scesa dalla funivia, guardo la via di salita e ci metto più di un attimo a riconoscerla. Non c’è più traccia di neve. Striature di ghiaccio nero, crepacci visibilmente aperti, ruscelli che ci scorrono sotto i piedi mentre ci dirigiamo verso la Capanna Gnifetti. L’Isola di roccia si è sensibilmente allargata. La via normale è costellata di sassi, in un modo che mi ricorda l’Etna dopo un’eruzione. In queste condizioni, sarebbe più corretto dire che non esiste più una via normale.
Salii per la prima e unica volta alla Punta Giordani lungo la normale nell’estate 2014. Un’estate  assai piovosa preceduta da un inverno ricco di neve. Le condizioni erano talmente buone che nemmeno ci legammo, tutti i crepacci erano chiusi. In quella stessa stagione salii a metà settembre la capanna Margherita. Anche in quel caso fu una salita quasi senza storia, copertura nevosa ancora buona, nessun crepaccio, temperature molto basse.
Può sembrare un atto di egoismo o semplicemente fuori luogo andare in quota in una stagione del genere. Eppure avevo bisogno di legarmi ancora a una corda, di infilare i ramponi, di essere sicura che uno degli ambienti che amo di più al mondo esistesse ancora.

Via normale alla punta Giordani – Luglio 2014 vs. luglio 2022

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02 Nov2022

13 novembre 2022: ascensione molotov al Musinè, il «monte dei misteri» che ha ispirato Ufo 78

2 Novembre 2022. Written by Redazione_am. Posted in In cammino

Una prima spedizione Molotov sul monte Musinè – omphalos della Valsusa, macchina mitologica fatta di roccia e vegetazione – ebbe luogo il 21 settembre 2014. Erano gli albori della nostra associazione sovversiva a fini escursionistici.

A guidare la camminata fu Mariano Tomatis, che per l’occasione scrisse anche un’imprescindibile guida, tuttora disponibile on line (pdf qui), a cui negli anni sono seguiti altri interventi, ultima ma non ultima questa puntata della web-serie Pillole di Mesmer intitolata «Dischi volanti sul Musinè»:

La proposta di salire sul Musinè l’aveva fatta Wu Ming 1, che l’aveva anche motivata e messa giù per iscritto. Purtroppo un infortunio al ginocchio – episodio che sarebbe troppo lungo ricordare qui – non gli aveva permesso di esserci.

Stavolta invece ci sarà. La nuova camminata è parte di una serie di iniziative in Valsusa. Per la precisione, è parte del segmento valsusino del Flap 22, la prima parte del tour di presentazioni di Ufo 78, il nuovo romanzo scritto dal collettivo Wu Ming.

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08 Set2022

Tra invasi, tralicci e piste in plastica.
18 settembre 2022, una camminata molotov sui Sibillini

8 Settembre 2022. Written by Redazione_am. Posted in In cammino

A distanza di 3 settimane dalla Camminata Molotov sul Lago d’Iseo torneremo ad infilare gli scarponi, questa volta sui Sibillini. Il 18 settembre, attraverso una semplice camminata, andremo ad osservare da vicino i luoghi che rischiano di finire sotto i colpi del PNRR. Gli oramai famigerati 36 milioni di euro necessari per realizzare l’altrettanto celebre “Disneyland della montagna” interessano il comune di Sarnano, più precisamente la località montana di Sassotetto. Una località in cui sono presenti da decenni impianti di risalita (che vanno all’incirca dai 1.300 ai 1.600 m.s.l.m) e dove il turismo, a fasi alterne, è stato sempre presente. Tuttavia quanto si prospetta con questo nuovo progetto rappresenta per tempistica, costi, tipologia di infrastrutture e last but not least momento storico, una vera e propria devastazione, un cambio di paradigma. Anche se dal nostro primo post di lancio sono trascorse appena 6 settimane la situazione continua – inevitabilmente – ad evolversi in senso negativo. Mentre il dibattito pubblico main stream si concentra su quante ore in meno andranno accesi i riscaldamenti nel prossimo autunno e i fiumi sono ridotti a pozze, appare impossibile mettere in discussione i dogmi del PNRR.

Con la camminata di domenica 18 settembre illustreremo il progetto che dovrebbe interessare il territorio dei Sibillini, cercheremo anche di capire il contesto naturalistico e paesaggistico in cui le opere dovrebbero essere realizzare, perché per rendersi veramente conto di cosa rappresenta quello che abbiamo chiamato “Sistema (dis)integrato della montagna” non bastano una cartina o un file AutoCAD. Un conto è un traliccio, un altro è un traliccio davanti al Monte Priora.

Una breve nota metodologica

Quando – oramai mesi fa – abbiamo scelto domenica 18 settembre come giornata per la camminata, il 25 settembre era ancora solamente la prima domenica d’autunno. Solo successivamente si è trasformata nella data in cui si terranno le elezioni politiche 2022.
Il 18 settembre sarà quindi – come tutte le iniziative di Alpinismo Molotov – una giornata fortemente connotata politicamente, nonostante questo – o più esattamente proprio per questo – non sarà l’occasione per discutere di quanto accadrà ad una settimana di distanza. Intendiamo quindi precisare che naturalmente ci auspichiamo un’ampia partecipazione, ma che non saranno ben accette bandiere o simboli di partito in quanto non è nostra intenzione avallare una “montagna elettorale” in quella giornata.

Informazioni logistiche

Ritrovo: ore 9:00.

Luogo di ritrovo: incrocio che, dopo il Monte Montioli (Sarnano), collega la strada che sale dal Santuario di San Liberato con quella che da Acquacanina porta ai Piani di Ragnolo.

Indicazione sui parcheggi: parcheggiare sul lato destro della strada prima di arrivare all’incrocio e sempre sul lato destro andando in direzione Acquacanina, facendo attenzione a non finire con le ruote sui prati. Per limitare quanto più possibile il numero delle auto presenti vi invitiamo a condividere i posti liberi delle vostre macchine.

Itinerario: cammineremo per circa 6 km (andata e ritorno) affrontando un dislivello (in salita) di circa 200 m, la durata – comprese le soste – sarà all’incirca di 3 ore. Il sentiero non presenta tratti particolarmente impegnativi ma si consigliano tuttavia scarpe da trekking con suola scolpita. Prima di salire al punto di ritrovo è bene fare scorta d’acqua poiché non incontreremo fonti lungo il cammino.

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31 Ago2022

Che la terra si sollevi!
Dalla pianura bolognese l’esempio: 2 settembre, in marcia contro asfalto e cemento

31 Agosto 2022. Written by Redazione_am. Posted in Staffette

Della marcia “I sollevamenti della terra” abbiamo scritto, aderendo come Alpinismo Molotov, ma ora è il tempo di segnalare che dall’annuncio e dalla preparazione si sta per entrare nel vivo della mobilitazione: si avvia il cammino condiviso, partendo da Ponticelli di Malalbergo venerdì 2 settembre, che dalla Bassa pianura salirà giorno dopo giorno verso l’Appennino, con l’ultima tappa al Lago Scaffaiolo, sul Corno alle Scale, lì dove incombe il progetto di una seggiovia quadriposto da realizzare su un versante ancora intatto della montagna, dove si giungerà domenica 11 settembre.

Il programma dettagliato della marcia si trova qui, le informazioni logistiche per la partecipazione a questo link.

L’iniziativa, sostenuta da decine di soggetti collettivi, vuole denunciare e porre le basi di future ulteriori mobilitazioni contro i progetti insostenibili che potrebbero abbattersi sul territorio bolognese, ma dato che progetti inutili dannosi e imposti sono pronti a calare sulle nostre teste e su tutto il territorio che ha la forma di uno stivale, la sua valenza non è solamente locale ma invita a una mobilitazione dai tratti permanenti e capillari. Alpinismo Molotov sta contribuendo a suo modo, proponendo escursioni a passo oratorio: una si è tenuta domenica scorsa, sui declivi che si alzano al di sopra della costa occidentale del lago d’Iseo, la prossima si terrà il 18 settembre sui Monti Sibillini e presto pubblicheremo i dettagli del programma della giornata.

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22 Ago2022

Tra frane, onde e cemento. I come e i perché della camminata molotov sul Lago d’Iseo, 28 agosto 2022

22 Agosto 2022. Written by Redazione_am. Posted in In cammino


Alle 9:30 di domenica prossima, 28 agosto, calcheremo i passi su uno stupendo anfiteatro montuoso rovinato da una moltitudine di questioni “storte”. Le incantevoli creste che percorreremo spaziano tutt’attorno al nuovo cratere di scavo del cementificio di Tavernola, e non soltanto a quello.
Cammineremo a partire da Parzanica per raggiungere, prima tappa, il Santuario della Santissima Trinità, da cui la vista abbraccia lago e valle.
Man mano ci avvicineremo al Saresano, un monte sconvolto sin dai declivi, pendenze di paesaggio mutato in cui a causa dello sbancamento è cambiato persino il panorama, per non dire delle condizioni microclimatiche: una costa abituata a lunghi periodi d’ombra che si riscopre soleggiata.

Una costa, quella sopra e sotto la miniera Ca’ Bianca, che vista frontale, a mo’ di parete, sembra un qualsiasi bosco fitto di queste zone solcato da un alpeggio in vetta. Il prato sommitale è l’unica porzione di monte risparmiata, grazie a chi ha resistito all’assalto dell’industria e non ha venduto.

Sopra: vista dal Santuario della Santissima Trinità
Sotto: il monte Saresano sventrato dalla miniera. Prima che fosse sbancato, Monte Isola 
– a sinistra della vetta – non era visibile

Dalla Santissima in poi il percorso necessario a osservare lo scavo è una lunga serie di creste curve, l’anfiteatro di monti che cintano Parzanica. Il sentiero che oltrepassa la chiesetta conduce dapprima nei pressi della vetta del monte Creò, picco modesto, eppure in posizione sufficientemente favorevole per scoprirsi deturpato da fitte batterie di ferraglia aguzza. Una selva “binaria” di antenne e ripetitori a disegnare un territorio ronzante, morfologie antiche sconvolte da cementificazione e sfruttamento.
Consumo di suolo.

Ripetitori sul monte Creò

Poco oltre il Creò, nei pressi del monte Mandolino, gli evidenti segni delle stalle e dei pascoli che hanno popolato queste zone sono stati rimpiazzati da proprietà talmente aduse alla  privatizzazione da rendere inaccessibili passaggi sui vecchi sentieri. Reti e steccati a cancellare pratiche, storie, abitudini di queste piccole comunità.
Dal Mandolino scenderemo al Col de Ru e potremo valutare due diverse alternative. Chiudere qui la prima parte del nostro anello scendendo per la vecchia mulattiera  asfaltata nei giorni in cui il crollo di 2 milioni di metri cubi di monte pareva imminente – perché era l’unica possibilità di transito verso valle per gli abitanti di Parzanica e Vigolo –, oppure imboccare la salita che conduce al monte Cremona, e di lì la discesa verso il Saresano, il monte sventrato.
Questa seconda opzione non è “paesaggistica”, ci si immerge in boschi di conifere che progressivamente sostituiscono quelli di latifoglie, la vista non spazia granché ma si può percepire tutta la spettralità della cava a picco sotto i piedi. La traccia rimane comoda e tuttavia il terreno è sconvolto, il sentiero lambisce più volte le reti che perimetrano l’area mineraria.
In ogni caso, mulattiera o Saresano, l’ultimo tratto di cammino per tornare al parcheggio sarà una porzione transitabile della strada solcata da crepe e interrotta, sconvolta dal movimento franoso. Una lingua d’asfalto ormai spettrale lungo la quale non si incontra nulla più che qualche raro e sparuto abitante.
Ci sarà di che discutere insomma. Del, e oltre il cementificio. Di un territorio incantevole e sfruttato all’inverosimile. Di politiche miopi e dannose, dell’incapacità di vivere col territorio e con le comunità anziché a loro scapito.

Recinzioni a monte della cava, poco sotto la vetta del Saresano

L’itinerario è adatto a tutti, la salita alla Santissima è ripida ma tranquillamente camminabile, su mulattiera. Il resto della percorso in cresta tra saliscendi e criticità da osservare ci consentirà di procedere con passo oratorio.
In tutto sono circa 400 metri di dislivello positivo. Necessaria acqua, lungo il percorso non ce n’è, per il resto traccia comoda, sufficienti calzature sportive. Durante l’escursione pranzo al sacco (in autonomia).
Al 28, pronti a indagare lo scempio. Qui a seguire anticipiamo un po’ della storia – delle storie – che sentiremo risuonare lungo il cammino.

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