Da: @inpuntadisella
A: Alpinismo Molotov
Oggetto: Breve info dalle terre di mezzoRaga’ qua non ho più parola per descrivere la situazione. Due metri di neve e scosse continue. Aiuti zero.
Il messaggio è arrivato mercoledì 18 gennaio e più di qualsiasi altra cronaca veicolata dai media mainstream ci ha trasmesso la vibrazione che percorreva le aree interne di Marche, Lazio, Umbria e Abruzzo. Il nostro compagno @inpuntadisella con poche parole ci ha fatto sentire partecipi della drammaticità della situazione. Nelle nostre risposte abbiamo espresso vicinanza, solidarietà, affetto, ma soprattutto abbiamo chiesto: “cosa può fare Alpinismo Molotov?”.
La stessa domanda l’avevamo posta già sul finire del novembre scorso. @inpuntadisella ci aveva risposto: «Mantenere l’attenzione alta e continuare a parlare di quanto sta accadendo facendo circolare informazioni “di prima mano”».
Continuare a parlare di quanto sta accadendo resta tutt’oggi una priorità. Neve e gelo hanno attirato un po’ l’attenzione, ma come era facile prevedere si trattava di attenzione effimera, già oggi i portali d’informazione dei giornali nazionali mancano di mostrare notizie sulla situazione. Nelle ultime due settimane, a conferma di una narrazione che parla sempre più la lingua della “cronaca nera”, le notizie si sono concentrate in modo particolare su alcuni centri più noti o su eventi tragici come quello dell’Hotel Rigopiano. Certo, la tragicità di quanto avvenuto in quest’ultimo caso giustifica un’ampia copertura informativa, ma non motiva l’assenza di notizie su altre situazioni. Solo le Storie dei borghi di Loredana Lipperini ci pare che provino a dare attenzione ai poderi, alle frazioni, alle borgate.
I media inquadrano solo l’istante della tragedia e tagliano tutto il detto-ma-non-fatto che l’ha preceduta. Quando i riflettori dell’informazione si saranno spenti nuovamente, soprattutto per quanto riguarda la montagna, non resterà nulla.
Poco più di una settimana e @inpuntadisella ha pubblicato un dispaccio in cui fa il punto della situazione e, al contempo, prova a forzare i margini di quell’inquadratura. Prima di fornire alcuni altri spunti di riflessione vi invitiamo a leggerlo:
Il format del «media-sisma»
L’eccesso di burocrazia è il fulcro della narrazione degli ultimi giorni. Pare un argomento buono da urlare anche agli stessi che hanno mancato di prendere misure che ponessero rimedio alle ovvie criticità conseguenti a copiose nevicate in aree già duramente messe alla prova dalla serie sismica avviatasi mesi fa.
La colpa è sempre della burocrazia. Poco importa se a puntare il dito è la stessa classe politica che ha trasformato la gestione di ogni emergenza in uno “stato d’eccezione”, in cui pochissimi hanno poteri enormi. Importa ancora meno che cittadini e cittadine, riuniti in collettivi e associazioni, quando denunciano l’inadeguatezza degli interventi e dei soccorsi, siano stigmatizzati come “nemici del sistema Paese”. Al solito: se denunci prima sei facinoroso, se rilevi dopo le manchevolezze stai attentando inutilmente a una mitica coesione sociale da preservare.
Di fatto, le comunità locali sono state private di potere decisionale e capacità d’intervento, e il protagonismo attivo delle cittadine e dei cittadini è stato annichilito. Il peggio è riservato ai montanari: genti che nella rappresentazione pubblica non si sono mai completamente liberate dallo stereotipo di sempliciotti e che nella situazione specifica vengono imprigionati nel “paradigma vittimario”, citando il Daniele Giglioli di Critica della vittima. La loro potenza è tale solo e fintanto che si nutre d’impotenza. Per chi prova a strapparsi di dosso questa veste è pronta l’etichetta di “matto del paese”. È capitato a quegli allevatori che ostinatamente rifiutano le comodità degli hotel a chilometri di distanza dai loro paesi e dal loro bestiame, che in talune trasmissioni televisive vengono descritti come dei folli. Fino alla vetta dell’assurdità raggiunta con l’arresto di Enzo Rendina – notizia di ieri, 1 febbraio – reo di non aver ottemperato all’ordine del sindaco di Arquata del Tronto di evacuare il territorio comunale a seguito del terremoto del 30 ottobre scorso. La sua colpa essere restato a vivere, in tenda, al suo paese. Se non sono matti, sono ostinati. Molestamente ostinati.
A trarre vantaggio da tutto ciò è, da una parte, la classe politica e, dall’altra, il sistema dell’informazione mainstream.
Illuminante, a tal proposito, un passaggio dell’articolo La gazzetta dello snuff a firma di Selene Pascarella – autrice di Tabloid Inferno – pubblicato nell’ultimo numero della Nuova Rivista Letteraria:
L’Italia è un paese dissestato, a rischio crollo con o senza terremoto, lo sappiamo e l’idea non ci fa dormire la notte. Dovremmo ripensare al nostro modo di edificare le case e i palazzi, di progettare infrastrutture e luoghi pubblici, di vivere in poche parole. Uno strappo che chiediamo a gran voce a caldo, alla famosa classe dirigente, ma in fondo rigettiamo. A esorcizzarlo e allontanarlo serve anche il format del terremoto che succhia lo schema alla nera e si mette a caccia dei cattivi della costruzione, della ristrutturazione e della ricostruzione, che devono avere al contempo la consistenza impalpabile dell’organizzazione globale (la mafia, l’immobiliarismo camorristico) e la trimedimensionalità glocal del faccendiere municipale, del sindaco ammanicato. Che di certo hanno avuto un ruolo nei «disastri annunciati» di ieri e di oggi e continueranno ad averlo anche in quelli di domani, ma più di ogni cosa servono a tirare avanti ancora per qualche settimana la carretta di questo format prorompente e faticoso da gestire , che della sua ostinazione al finale della narrazione fa vanto e bandiera con lo slogan «non lasciamoli soli. Ma per godere dell’aura luminosa del format sismico le vittime pagano un caro prezzo, quello di essere vittime per sempre, come i volti delle storie di nera più seguite.»
Non è una questione di sfiga
«L’Italia è un pase dissestato […] e l’idea non ci fa dormire la notte» scrive Pascarella, ma poi quel che accade in genere è che la solidarietà individuale verso chi è coinvolto dalla calamità naturale di turno si esaurisce nell’obolo in beneficienza, mentre la compartecipazione verso ciò che sta accadendo – filtrata dalla narrazione dei media – assume il senso di una pratica esorcizzante, quasi un rito apotropaico. Per dormire la notte, meglio ridurre tutto a una questione di sfortuna, anzi di sfiga. Che ci possiamo fare se “la natura si ribella”? Sperare che non tocchi a noi, aggrapparsi alla certezza che non possa capitare a noi.
Ma il punto fondamentale è che se teniamo il conto del rischio terremoti, frane, alluvioni, potrebbe capitare a chiunque di noi in un punto qualsiasi della penisola (isole comprese) di trovarsi nella merda, senza assistenza nel presente e a chiedersi se si poteva fare qualcosa per prevenire il disastro nel passato.
Nel medio periodo, la cornice da abbattere è quella della “sfiga”, con tutto il suo corollario di simbologia negativa di “gufi” e “iettatori” che il potere riserva a chi segnala le possibili conseguenze nefaste, figlie delle deliberate scelte politiche di diversi gruppi di potere.
Noi ci impegneremo a raccogliere testimonianze di “prima mano” che ci raccontino, in particolar modo, delle sofferenze delle comunità montanare, che già conoscono per esperienza cosa significhi la «strategia dell’abbandono» e cosa questa comporti. Hackerare la narrazione mistificatoria e passiva dell’impotenza è necessario.
Le fotografie sono di Michele Massetani, che ringraziamo. Nella foto in chiusura al post, San Ginesio (gennaio 2017).
marco.gentili
| #
Nel mio piccolo, come anche Michele e il Sisma, stiamo dando un contributo. Grazie a voi di condividere la nostra voce e la vicinanza che in questo momento risulta estremamente preziosa.
Al seguente link trovate un articolo nel mio blog, sull’importanza di tornare a vivere e assaporare le bellezze dei Monti Sibillini.
http://www.gentilimarco.com/limperativo-tornare-nei-monti-sibillini/
Con stima e affetto