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04 Feb2019

Libertà.
Un racconto di Francesca Schiavon

4 Febbraio 2019. Written by Redazione_am. Posted in Libri

Alpinismo Molotov in questi anni ha cercato di raccontare una montagna altra da quella che si legge di solito sui media mainstream e sulle riviste specializzate. Una montagna che è allo stesso tempo rifugio e prigione, cerniera e frattura, terreno da colonizzare e sfruttare, crogiuolo di nuove alleanze. Le vicende individuali e collettive degli esseri umani e degli altri viventi che la abitano per essere lette in un’ottica diversa devono essere osservate da punti di vista obliqui, inaspettati.

È uscita di recente altri.immaginari, antologia dei differenti modi di godere (Golena, 2018), una raccolta di racconti di autrici, autori, autoru transfemmist* e queer. Libertà è il titolo del contributo di Francesca Schiavon. Il suo racconto percorre un crinale, una via incerta e farraginosa, ma con il passo di chi sa immaginare l’azzardo dei passaggi pericolosi.

Libertà racconta allo stesso tempo una vicenda di montagna e di resistenze, sì, al plurale. È ambientato in montagna, nelle fasi conclusive della Guerra civile spagnola, e l’io narrante è ispirato a Teresa, Florencio, Durruti, la Pastora – questi i nomi con cui è stat* conosciut* –, una combattente antifranchista realmente esistita.
Francesca, che in montagna ci vive davvero e ha una piccola casa editrice, ci ha concesso di ripubblicarlo qui integralmente.

Buona lettura.

Libertà

Francisco aveva di nuovo l’espressione di un lupo impazzito. Guardava un punto imprecisato a mezz’aria, beveva a piccoli sorsi dal bicchierino scheggiato la grappa che lui stesso aveva distillato da non so quali scarti della cucina. Io non ne sopportavo nemmeno l’odore, sembrava alcol misto a sudore e cattiveria. E sconfitta. Eravamo nascosti da settimane in una grotta buia, in mezzo alle montagne più inospitali della Spagna, da soli, io con la mia pazienza di pastora, lui con la sua frustrazione di guerriero. Eppure non ci avevano ancora presi, la Guardia Civil non aveva né gambe né coraggio per braccarci fin lassù. Eravamo razziatori impietosi, predatori imprevedibili, affamati, rabbiosi e stanchi oltre ogni limite umano. Tanto che ogni giorno mi chiedevo quale fosse il senso della parola umanità e fino a che punto lo avessimo sovvertito e stravolto. Gli ideali per i quali eravamo finiti lassù erano come affissi su una parete invisibile e, anche se non li vedevamo, li avevamo sempre presenti nella testa, fin dentro agli occhi. Grazie a quegli ideali e ai compagni con i quali li avevamo condivisi avevo imparato a leggere. Non so com’è imparare a leggere quando sei un bambino piccolo, per me, che ho cominciato a vent’anni, è stato come nascere di nuovo e le parole dei libri le cui pagine lentamente decodificavo mi si sono ficcate nella testa con tutta la loro potenza, con il colore, la forma, con tutte le virgole e gli a capo. Non mi lasciano mai.

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16 Gen2019

Quello che si è arrotondato sfregando.
#AlpinismoMolotov Live: La via del sale

16 Gennaio 2019. Written by Redazione_am. Posted in Libri

L’azione del sale è duplice: corrode e conserva. Nel corso dei secoli scie di cloruro di sodio si sono depositate sui crinali, nei boschi e nelle valli e hanno scavato vie e mulattiere, e le hanno in qualche modo preservate. Questo complesso di percorsi ha preso il nome di Via del Sale.

Alberto “Abo” Di Monte, geografo, webmaster, appassionato escursionista, indagatore delle vicende dell’Associazione Proletari Escursionisti, insieme a Luca Chiaudano e Roberto Maggioni, nel giugno 2015 l’hanno percorsa (qui il loro istant blog).

Pochi mesi fa è uscito La via del Sale. Un sentiero lungo mille anni (Mursia, 2018) che non solo racconta quell’esperienza (focalizzandosi in particolare sulla rotta Varzi-Camogli), ma ricostruisce in un quadro storico-geografico quanto il sale abbia segnato l’esperienza umana e i territori attraversati.

Venerdì 18 gennaio ne parleremo dal vivo con l’autore e, così come la via del sale non può definirsi un sentiero lineare, anche noi promettiamo deviazioni.

L’appuntamento è al CSOA Gabrio, vi a Millio 42, Torino.

Ore 19,30: aperitivo mangereccio.
Ore 21,00: presentazione.

 

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03 Gen2019

Meridiano di fuoco, la nascita del Nucleo Alpinisti Proletari. Un’auto-intervista collettiva

3 Gennaio 2019. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Auto-intervista collettiva ad Alberto Peruffo come contatto dei NAP dopo la stesura di TTT, togliere-togliere-togliere.

Lungo la SP 246, che porta da Montecchio a Valdagno, verso le Piccole Dolomiti vicentine, compare questo cartellone ricolonizzato da autori poco-noti. Siamo nel cuore dei territori devastati del Veneto, tra la Superstrada Pedemontana Veneta e la Fabbrica Miteni di Trissino, celebre per l’inquinamento da Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche responsabili della più grande contaminazione dell’acqua potabile d’Europa, che ha messo a rischio la salute di 350.000 abitanti. Quell’acqua – un bacino grande come il lago di Garda – scende dalle montagne di Recoaro. Da questa foto Archivio CCC deriva la rielaborazione grafica TTT nell’articolo del Manifesto pubblicato su GognaBlog.

«Non fermatevi di fronte alla metafora rivoluzionaria del nostro linguaggio: la prole, siete voi; la falce, le spighe del bene comune, super partes; il martello, il suono armonioso dei nostri chiodi e del nostro cuore» (NAP)

Che cos’è questo manifesto e chi sono i NAP?

TTT è presa di posizione, un manifesto sui generis, certamente forte e molto fuori dal normale, dalle norme. Sia di comportamento, sia di linguaggio. Ci tirerà addosso un sacco di critiche. Ma abbiamo passato un limite e bisogna porre un argine. Siamo stanchi di gente che spitta a destra e a manca, senza conoscere la geografia e la storia dei luoghi, senza preparazione, senza percorso e senza fatica – anche cognitiva – sulle montagne che vanno ad usurpare. Solo perché hanno uno strumento devastatore in mano. Di cui non conoscono le conseguenze.

I NAP sono un gruppo di preparati giovani alpinisti fuori dalla norma, appoggiati da meno giovani e altrettanto – usiamo questa parola, perché legittima, nello specifico certamente – ribelli. Appaiono e scompaiono, anche a casa mia. Rispettano la natura delle pareti e spingono al massimo l’arrampicata libera, le loro singole possibilità declinate a quelle dei territori, l’originario free climbing che in montagna sarebbe dovuto diventare il più possibile clean climbing, per riprendere le vecchie definizioni californiane, spesso incomprese, fraintese o forse, solo semplicemente, trattenute. Ciò che leggerete è frutto di una solida scrittura collettiva che è stata voluta fortemente da loro.

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18 Dic2018

L’umanità e la franchezza. Scrivere oggi di montagna
di Matteo Melchiorre

18 Dicembre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Libri

A maggio del 2018 è stato pubblicato da Priuli & Verlucca Mario Rigoni Stern. Un uomo, tante storie, nessun confine, un volume che raccoglie gli atti del convegno che si tenne nel 2015 ad Asiago, convegno dedicato, appunto, alle opere e alla figura di Mario Rigoni Stern.
È superfluo qui presentare Mario Rigoni Stern, va però sottolineato che le sue opere hanno segnato la scrittura sulla montagna del Novecento italiano e che forte era il rapporto di Rigoni Stern con la montagna. Un legame che era uno dei fattori che contribuì all’amicizia con due altri fondamentali autori, Primo Levi e Nuto Revelli.

Nel volume dedicato a Mario Rigoni Stern edito da Priuli & Verlucca troviamo anche alcuni testi inediti dato che, come è riportato nella scheda del libro, «il convegno ha avviato nuovi dialoghi sull’opera e la figura dello scrittore, aperti a possibili sviluppi di ricerca, in prossimità di quello che sarebbe stato il suo novantasettesimo compleanno e a ridosso del decimo anniversario della morte.»
Sulla stessa scheda del libro si legge che gli inediti pubblicati sono tre, ma ce n’è un quarto ed è quello che in particolar modo ha attirato la nostra attenzione: si tratta di un contributo appositamente scritto, a inizio 2018, per la pubblicazione nel volume in questione da Matteo Melchiorre – nostro ospite a Diverso il suo rilievo 2017 per presentare il suo La via di Schenèr. Un’esplorazione storica nelle Alpi, già autore di Requiem per un albero, di La banda della superstrada Fenadora-Anzù (con vaneggiamenti sovversivi) e del più recente Storia di alberi e della loro terra (che abbiamo presentato in una serata #AlpinismoMolotovLive).

Il contributo di Melchiorre si sviluppa come una estensione del discorso portato avanti nella sua produzione narrativa – incentrata sulle peculiarità della società contemporanea al di sopra di una certa quota altimetrica –, caratterizzata da rigore, eleganza e franchezza: un sapiente far ruotare storia e geografia l’una sull’altra alla ricerca, in profondità, delle ragioni di medio e lungo periodo del mutamento sociale dentro i fatti che si svolgono nel breve periodo. Una ricerca incomoda, in primo luogo per chi la conduce, e severa, che prova a sottrarsi ai cliché e ai pregiudizi accomodanti quanto confortanti anche per i lettori e le lettrici.
Il contributo, intitolato L’umanità e la franchezza, nello specifico, verte «sullo scrivere oggi di montagna» ed è uno strumento prezioso: ci aiuta a essere consapevoli del carattere colonialista nella rappresentazione storicamente stratificata delle alture, offre una prospettiva critica per confrontarsi con quella piccola rinascita della letteratura di montagna, non legata al milieu della letteratura alpinistica, che si è registrata negli ultimi anni e che ha portato la narrazione delle montagne a trovare spazio nelle scansie “alte” delle librerie.

Per tutte queste ragioni, abbiamo deciso – in accordo con l’autore Matteo Melchiorre e con il consenso alla pubblicazione di Priuli & Verlucca, che ringraziamo – di pubblicare questo contributo sul nostro blog.

 

L’umanità e la franchezza. Scrivere oggi di montagna

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Credo sia utile, se non addirittura necessario, dichiarare per quali ragioni io mi prenda il lusso di dire la mia sul conto di un tema, le scritture di montagna, e sul conto di uno scrittore, Mario Rigoni Stern, rispetto ai quali dovrei soltanto togliermi il cappello, fare un inchino e lasciare la parola a quanti abbiano strumenti più raffinati dei miei.
Sono un semplice lettore che ha trovato nei libri di Rigoni Stern molto di che riflettere e da imparare. Non sono né un critico letterario, né un filologo, né uno studioso di letteratura italiana del Novecento. Il mio mestiere è quello dello storico. Mi occupo di tardo Medioevo.
Frugo negli archivi, intrattenendomi ben volentieri con carte e documenti. Negli ultimi anni mi sono dedicato abbastanza regolarmente a ricerche storiche relative alla montagna.
Da più parti, però, mi vien detto che sono uno storico recalcitrante in quanto scrivo, oltre a monografie scientifiche e a saggi storici su riviste del settore, libri che hanno un loro specifico taglio narrativo. Non sono affatto autore di romanzi storici nel senso classico del termine (genere che peraltro mi convince pochissimo). Mi limito a scrivere di storia lasciando spazio alla componente intrinsecamente narrativa che dà alimento alla ricerca storica. Sarà per questo, perché scrivo narrativa occupandomi di questioni storiche, che alcuni lettori dei miei libri ritengono che io sia, più che uno storico recalcitrante, uno scrittore recalcitrante. Vai a sapere da che parte sia giusto guardarla.
C’è anche un’altra cosa, tuttavia, necessaria a inquadrare il mio interesse per la montagna e per i libri di Mario Rigoni Stern. Abito a Feltre da pochi mesi, ma in precedenza ho vissuto in paesi situati ai piedi del Monte Tomatico. Paesi piccoli, con i boschi tra i piedi e le montagne tutto intorno. Sono per questo un montanaro? Non saprei dirlo. Se essere un montanaro significa abitare ai piedi o sulle coste delle montagne e avere pratica più o meno quotidiana con boschi, legname, orti, animali domestici o selvatici, gente rustica, sentieri e via dicendo, allora sì: sono un montanaro.
Sono però convinto che l’altitudine conti non poco nel rilascio di una patente di montanaro. Ci sono vari tipi di patente. Quella di «montanaro di prima classe», a quanto ne so, viene normalmente rilasciata a quanti vivano stabilmente dagli 800 metri di quota in su. Per quelli che, come me, vivono in zone montane ma fra i 350 e i 450 metri sul livello del mare non può essere rilasciata che una più modesta patente di «montanaro di seconda classe».
Una patente di montanaro di seconda classe. Ricerche storiche di argomento alpino. Curiosità nell’esplorazione delle potenzialità della scrittura narrativa.
Sono questi tre fattori che mi hanno messo a confronto con le opere di Rigoni Stern. All’inizio sono state le letture discontinue effettuate tra i quindici e i venticinque anni, letture più o meno sbocconcellate e mediate dalle istituzioni scolastiche. Nella primavera dell’anno scorso, tuttavia, ho pensato di dedicarmi alla rilettura sistematica dei libri di Rigoni Stern, cogliendovi un paio di aspetti che negli anni precedenti avevo potuto appena intuire.

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06 Dic2018

In marcia sugli anni e i governi che passano.
Alpinismo Molotov alla manifestazione #NoTav

6 Dicembre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Staffette

La prima volta che lo striscione di Alpinismo Molotov è stato appeso all’aria libera è stato allo Spazio sociale VisRabbia, ad Avigliana, nel giugno 2017, in occasione della prima edizione di Diverso il suo rilievo. Come scrivemmo allora, annunciando il luogo della festa, la decisione di fissare il nostro campo base all’imbocco della Valsusa era una scelta pensata e voluta: sulle pendici del Rocciamelone, nel 2014, nacque l’idea stessa di Alpinismo Molotov, ma soprattutto lì sapevamo che ci saremmo sentiti a casa, accolti dagli attivisti e dalle attiviste No Tav. Così fu. In quelle giornate il nostro collettivo si saldò, condividendo pensiero critico e momenti di convivialità, con chi da venticinque anni si oppone al progetto dell’alta velocità Torino-Lione. Sul blog, sono tante e inequivocabili le tracce della nostra complicità col movimento No Tav della Valsusa, ma per togliere qualsiasi dubbi, nel 2017, l’abbiamo scritto chiaro che più chiaro non si può: Alpinismo Molotov è «costitutivamente No Tav».

Nel giugno di quest’anno lo striscione faceva bella mostra di sé nella stalla di Marco Scolastici – trasformata per l’occasione in spazio di discussione, in mensa popolare, in sala concerti – sull’Altipiano di Macereto, durante la tre giorni della seconda edizione di Diverso il suo rilievo. Anche in questo caso, una scelta non casuale: gli Appennini, i Sibillini, non sono figlie di un dio minore rispetto alle Alpi, piantare poi le tende attorno alla yurta che è diventata uno dei simboli della resistenza alla «strategia dell’abbandono» a seguito delle scosse di terremoto che hanno colpito l’area poco più di due anni fa, ci è sembrato il giusto passaggio di testimone tra lotte che si oppongono alle devastazioni ambientali.

Le nostre feste sono il momento in cui si materializza il campo di forza che durante il resto dell’anno si “carica” attraverso il nostro blog, il momento in cui si fa massa e – a oggi – lo striscione ha marcato questi momenti.

Sabato 8 dicembre si terrà a Torino un corteo No Tav. Le ragioni della mobilitazione stanno tutte nel “no Tav” che ha dato nome a questo movimento popolare, una negazione che se decompressa mostra immagini di affermazione: condivisione di saperi, processi decisionali collettivi e aperti, alterità rispetto allo stato di cose presente, vitalità e gioia della lotta e nella solidarietà attiva. Per sentire quel che intendiamo, vi invitiamo – se ancora non l’avete fatto – a leggere cosa la nostra compagna Filo ha scritto nel post Sì Trav. Come la militanza #NoTav mi ha dato il coraggio di diventare me stessa, dove ricordando le giornate della Libera repubblica della Maddalena scrive: «la lotta del movimento non è solo contro un treno, ma contro un modello economico, contro un determinato tipo di organizzazione della società, delle relazioni, del lavoro».

Per chi dice «è la solita Italia dei no», è dura non risultare ridicolo e in malafede.
Eppure la manifestazione di sabato arriva nel momento in cui è in corso un’offensiva del fronte sviluppista, offensiva basata sulle solite fandonie – smontate più e più volte, come messo in fila da Wu Ming 1 nelle pagine di Un viaggio che non promettiamo breve e che sempre Wu Ming 1, alcuni giorni fa, ha passato in rassegna –, fandonie proferite da quel che resta della “buona borghesia” torinese e dai signori in doppio petto della padronale Confindustria.

Decidere è stato semplice: sabato in corteo a Torino ci saremo anche noi, ci sarà lo striscione di Alpinismo Molotov, quell’abbraccio è la nostra casa. Ci troverete attigui allo spezzone di Ah! Squeerto, che ha lanciato una chiamata transfemminista per la partecipazione al corteo.

C’eravamo, ci siamo, ci saremo sempre.
Non ci arrenderemo agli anni e ai governi che passano, resisteremo un minuto in più.
Il tempo della lotta è gioia, avanti No Tav!

 

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20 Nov2018

Alpinismo queer, transfemminismo molotov

20 Novembre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Anche se per noi è un luogo d’elezione, non ci siamo mai illusi di trovare, nella montagna, una salvifica frontiera, una via di fuga dalle nostre quotidianità, un “altrove” rispetto alla società delle ingiustizie e delle prevaricazioni. Non a caso, tra gli obiettivi che ci prefissammo nel manifesto di Alpinismo Molotov, e che ancora oggi perseguiamo, ci sono quelli di «denunciare l’oleografia, sbertucciare eroismo, superomismo e machismo». Tanto i sentieri che si inerpicano quanto le strade delle nostre città sono infestati da individui sinistri: xenofobi, omofobi e transfobici per i quali la montagna è terreno di conquista e rivalsa personale. Ed è da tempo immemore, da quando le montagne conquistarono gli uomini, che la loro immagine e la loro narrazione sono state plasmate – citando George Lakoff – sul modello del (e dalla penna di qualche) «Padre Severo».

Per noi, invece, andar su e giù per i declivi e guardare il mondo dal punto di vista delle storte montagne è prassi fondamentale, perché ci arricchisce di «“nuove armi” con cui affrontare il vivere quotidiano». Un arricchimento reso possibile dalla dimensione collettiva del nostro procedere (e retrocedere, quando serve), dalla preminenza delle parole sul passo (ci piace chiamarlo «passo oratorio»), dal procedere «regolando il passo al ritmo del più lento», dal comandamento che ci ha impartito il movimento No Tav della Valsusa: «Si parte e si torna insieme».

Ci definiamo una “banda disparata”, consapevoli che una sola vocale ci distingue da una banda disperata: a salvarci è la stessa dimensione collettiva, le relazioni che si sono intrecciate grazie ad Alpinismo Molotov, le amicizie e lo spirito di sorellanza che si sono strette. Questo collettivo alpinistico è stato, per molt* di noi, un sacchetto di sabbia sull’uscio, un argine contro la marea di passioni tristi che la società contemporanea sciaborda a ritmo costante.

Oggi su Giap è stata pubblicata la prima parte di un “racconto di formazione” scritto dalla nostra compagna Filo Sottile: Sì trav. Come la militanza #NoTav mi ha dato il coraggio di diventare me stessa, più volte vi è citato Alpinismo Molotov, ma non è per questo che vi invitiamo a leggerlo: quello di Filo è un intervento eccezionale, che grida a gran voce che – anche là dove pare impossibile e tutto sembra dire «di qui non si passa», «tutt* insieme, con un po’ di determinazione e creatività si può passare». E diventare se stess*, diventare persone.

Alpinismo Molotov – oggi più di ieri – è disparatamente (e disperatamente!) transfemminalpinista.

 

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