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30 Mar2015

Picnic on Mount Musinè.
Prima parte

30 Marzo 2015. Written by Redazione_am. Posted in Récit

In questo resoconto si incrociano récit relativi a due camminate sul monte Musinè: la prima esplorativa, ne scrivono Filo, Yamunin, Davide; la seconda spirituale, ne scrivono Mariano e Luigi. Entrambe sono decisamente Molotov. Mariano Tomatis sul suo blog aveva già pubblicato un primo resoconto della salita “sulle orme della meraviglia” organizzata per la manifestazione Torino Spiritualità, ma soprattutto aveva predisposto una preziosissima guida dal titolo Camminata spirituale sul Monte Musinè in cui sono raccolte le storie da lui raccontate durante l’ascensione – si può scaricare qui e, per chi ha buon occhio, contiene nella copertina un omaggio ad Alpinismo Molotov – oltre a una vera e propria estensione ipertestuale di queste storie – con documenti originali, materiali inediti e curiosità – intitolata Verso la cima del Monte Musinè. Ringraziamo il wonder injector Mariano.

Il post è dedicato a Peter Kolosimo, archeologo spaziale: grazie a lui è stato possibile diluire il tempo e trasportare le due escursioni in una dimensione atemporale.

A breve seguirà la seconda parte del récit. Buona lettura.

 

Partenza: campo sportivo di Caselette (378 mslm)
Arrivo: cima del Musinè (1150 mslm)
Dislivello: 772 metri
Tempo di percorrenza: 15 giorni (dal 7 al 21 settembre 2014, per la precisione)

 

Y: Ok, deciso: faremo una camminata esplorativa sul Musinè. Accompagneremo Mariano così che possa perlustrare la zona, raccogliere materiali per la camminata che ci sarà fra qualche giorno organizzata all’interno di Torino spiritualità. Mariano sostituisce Wu Ming 1 che si è infortunato sul Triglav. Ancora non sappiamo chi di noi altri potrà partecipare, ma questa è nostra, questa è esplorativa e molotov.
Faccio una veloce ricerca in rete: il Musiné, sembra un po’ meno impegnativo del Rocciamelone, è alta 1.150 m s.l.m. ma il dislivello è di 790 m. Di sicuro poi è un po’ più gustosa, a causa delle storie che le ruotano intorno, questa montagna la si vuole misteriosa.
Sarà il caso, mi dico, di drizzare bene le orecchie e ascoltare il canto dei sentieri. Ognuno ha il suo suono particolare, il suo canto. Il Musiné è una montagna sovraesposta. È il luogo di narrazioni strambe, alcune tossiche altre invece liberano linee di vite. Ad esempio su un versante si racconta una storia nota a tanti, racconta – in breve – che Tav=Mafia.

Che storie nascondono questi sentieri? Quassù ci sono stati avvistamenti di croci fiammeggianti e fuochi fatui, qui – da quanto ho letto – l’acqua può scorrere addirittura al contrario. Il Musinè è la sede di una base aliena, qui si ritrovano o ritrovavano le streghe e fu luogo di esilio di Erode. Si possono fare incontri ravvicinati con gli alieni. È quindi un luogo di mistero, un luogo ricco di “energia cosmica” (il monte come punto radiante di linee ortogoniche) dove fantascienza e magia si uniscono e si confondono per, magari, mostrasi per ciò che sono: artificio per provocare stupore.
Le storie mi influenzano, caricano la camminata di aspettative, stuzzicano quella parte di me avida di racconti da ascoltare. Sarà Mariano colui il quale potrà dipanare qualche nube, sciogliere enigmi e stupire con il racconto.

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10 Mar2015

#AlpinismoMolotov al corteo #NoTav.
Un récit de descente

10 Marzo 2015. Written by Redazione_am. Posted in Récit

Il 21 febbraio scorso, alla manifestazione No Tav di Torino, c’era una nutrita delegazione di alpinisti molotov. Alcuni di loro (2 ruote di resistenza, Alberto Di Monte, Corrado Gioannini, Filippo Sottile, Luigi Suppo, Roberto Gastaldo, Simone Scaffidi Lallaro) hanno scritto le loro sensazioni e i loro ricordi. Ne è venuto fuori questo anomalo rècit d’ascension, anzi de descente. Le foto sono di Luca Perino.

 

Partenza: piazza Statuto, Torino, 255 mslm
Arrivo: piazza Castello, Torino, 252 mslm
Distanza: 1,4 km
Dislivello: – 3 metri
Tempo di percorrenza: 2 ore circa

1.

RG: Si torna a camminare, con le solite bandiere. La manifestazione di fine inverno rischia di diventare un’abitudine, anche se dall’anno scorso è cambiata la location, Torino anziché la valle, e in parte sono cambiati anche gli obiettivi. Sì, perché fermare il progetto TAV è ormai cosa fatta, i suoi faccendieri si stanno già dividendo tra chi si affanna a scavare gli ultimi denari fino alla sirena finale, e chi si discosta e spolvera prima, cercando di ripulire una facciata da rigiocarsi altrove. Ora quel che dobbiamo fare noi è non lasciare soli quelli che sono rimasti a tiro del rabbioso fuoco di frustrazione dei guardiani della sacra Grande Opera, ed è per questo che siamo qui.

FS: Saremo in dieci, la sezione occidentale di Alpinismo Molotov quasi al completo, potremmo addirittura farci lo striscione. Nella mailing list gira l’idea di raccontare del corteo come fosse una delle nostre camminate in quota. Sarebbe un récit de descente, sono meno tre metri di dislivello fra partenza e arrivo secondo i rilievi satellitari. Ma la domanda che ci facciamo a più riprese è: ha senso?
La mia compagna e io ci prepariamo per uscire di casa. Mantella, k-way, un cambio completo per la piccola, un thermos di tè, una bottiglia d’acqua, qualcosa da sgranocchiare. Ne viene fuori uno zaino da montagna pieno. Lo guardo e mi chiedo: questo è alpinismo molotov?
Quando arriviamo al concentramento scruto le calzature e faccio una statistica: due persone su cinque hanno gli scarponi da montagna. Prima lo zaino, ora gli scarponi, è sufficiente a giustificare il desiderio di dire la nostra su questa giornata?

2RR: La prima sortita di #2RR con Alpinismo Molotov avviene “in casa”, a  Turin: pazienza! Avremmo preferito una ben più salutare camminata nel  cuore della Valle ribelle, ma ci sembra giusto fare “gli onori di casa”. Chi non è mai andato a una manifestazione No Tav non sa cosa si perde. Quando sono in Valle si trasformano in feste, e sono forse la più alta  manifestazione della Politica che esista oggi in Italia (forse, non  siamo mai stati alla manifestazioni No Muos): Politica con la P  maiuscola, nel senso di partecipazione popolare, “il problema degli  altri è uguale al mio, sortirne da soli è avarizia, sortirne insieme è  politica” diceva Don Milani, “si parte e si torna insieme” dice il  movimento No Tav.

LS: Difficile sfuggire alla tentazione di scrivere banalità, tanto più dopo il confronto interno in merito alla molotovità (lo so, non si può proprio leggere, ma lo scrivo lo stesso) della partecipazione di Alpinismo Molotov. Io temo di dover confessare la mia incapacità di legare razionalmente Alpinismo Molotov e la “celebrazione della partecipazione”. La condivisione delle tematiche No Tav non è in discussione da parte di nessuno di noi, credo, tanto è vero che costituisce parte integrante del manifesto. E già questo giustifica la partecipazione, che nel mio caso particolare, è anche un modo di raccordare volti e nomi. Non è alpinismo? Probabilmente no, ma se questa fosse una conditio sine qua non, dovrei dimettermi seduta stante da Alpinismo Molotov, dal momento che io non sono un alpinista, bensì un escursionista, e nemmeno dei più prestanti. Non è molotov? Non so rispondere, non ricordo se negli scritti che sono girati compare una definizione tecnica di “molotov”.

2RR: A Torino le manifestazioni sono sporche. Foriere di agguati  vigliacchi. Tre anni fa un imponente spiegamento di polizia non ha  “saputo” fermare quattro scritte sui muri, che solerti velinari hanno  gabellato per “oltraggi alla memoria di Norberto Bobbio” e ancora più  solerti politicanti si sono affrettati a sottoscrivere. Torino è la  città che ha ridato una carica dirigenziale a Spartaco Mortola, il Mr.  Molotov della Diaz. Che tenne fede al suo curriculum mandando le  divise a innaffiare di lacrimogeni i manifestanti che volevano tornare  a Milano. Un karma negativo sembra aleggiare sulla linea  Milano-Torino, come vedremo.

FS: Assistiamo allo smantellamento di Torino. Via le scenografie e i paraventi, si sbaracca e si svende quello che non serve. Sono mesi che il presidente della regione Chiamparino, il vate delle montagne olimpiche, dichiara che va tutto bene, ma bisogna sacrificarsi. Non si può più pretendere di avere i servizi nel raggio di 30 chilometri da casa e in tema di sanità bisogna riqualificare, ma risparmiando e giù la scure anche sulla cultura. La buona scuola invece fa da sola, niente o mazze o bulldozer, soffitti e intonaci crollano senza bisogno di aiuti ulteriori.
Il Tav costa 1600 euro al centimetro, 160 mila euro al metro, 160 milioni di euro al chilometro, 1,6 miliardi di euro ogni dieci chilometri. Ci vogliono venticinque chilometri di Tav per coprire il buco di bilancio che le Olimpiadi del 2006 hanno causato alla casse di Torino, ma sono sufficienti tre chilometri e mezzo a evitare il piano “riqualificazione e risparmio” per la sanità. Lo diciamo da qui, dalla capitale del gigantismo pubblicamente assistito, l’unica grande opera in cui crediamo è UGO.

LS: Tutto quello che posso dire è che, in mancanza di validi motivi, mi sarebbe dispiaciuto non esserci. Non è molto, mi rendo conto, ma è qualcosa. Insieme ai qualcosa dei compagni, farà un tutto. Nessuno si salva da solo.

FS: Ripasso mentalmente il pentalogo che ci tiene insieme e sì, in ogni punto trovo conferma. Per me vale la pena di raccontare di questa calata di valligiani che con passo oratorio invadono Torino.

Per attitudine e stile, prassi, sguardo sulla “montagna”, l’Alpinismo Molotov è ipso facto una pratica antifascista e No Tav.

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02 Mar2015

#AlpinismoMolotov
DefascistizzaRe il Monte Učka / Monte Maggiore

2 Marzo 2015. Written by Redazione_am. Posted in Récit

È stata riferita su Giap la sortita in stile alpinismo molotov di ieri – domenica 1 marzo – sulla vetta del Monte Učka / Monte Maggiore in Croazia. L’anno scorso un manipolo di neofascisti italiani ha inscenato sulla sua cima la solita pagliacciata di tetro revanscismo. Un gruppo di audaci ha deciso di portare su quel palco una diversa rappresentazione.

 

Alpinismo Molotov e ScaRamouche sul Monte Učka.

 

Per defascistizzare il Monte Učka si è palesata un’inedita alleanza tra i compagni di Alpinismo Molotov e Scaramouche: i primi hanno disinfettato la vetta lasciando sfogliare dal vento le pagine dei libri che si erano caricati negli zaini lungo la salita, mentre Scaramouche – indossata la maschera e brandendo lo Spirito di Marat – ha neutralizzato lo spettro del “porco fascista”. L’aria che si respira sul Monte Učka è tornata ora a essere respirabile.

Presto sul nostro blog un dettagliato resoconto della giornata.

 

La maschera del porco fascista abbandonata sul Monte Učka.

La maschera del porco fascista abbandonata sul Monte Učka.

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20 Feb2015

Sentieri proletari.
Lontano da città e fabbriche, cento anni su per montagne in cerca di libertà

20 Febbraio 2015. Written by Redazione_am. Posted in Libri, Sorgenti

di Mr Mill

 

Il lavoro di Alberto Di Monte, confluito nella scrittura di Sentieri proletari. Storia dell’Associazione Proletari Escursionisti (Mursia, 2015), affonda le sue radici nel binomio ricordare/raccontare: combinazione inscindibile e necessaria per narrare un sodalizio i cui echi sono andati affievolendosi nel tempo, fino a renderla oggi poco meno che una storia perduta. Di Monte, per riuscire a saldare questo binomio, ha dovuto preliminarmente faticare non poco alla ricerca di tracce e testimonianze di questa esperienza associativa che, fin dalla sua nascita, si è caratterizzata per l’intransigenza nel perseguire i suoi obiettivi statutari, resi in sintesi nel motto «Sempre più in alto, per una nuova umanità».

Eppure l’Associazione Antialcoolica Escursionisti Proletari – poi solo APE – ebbe un ruolo importante nella definizione di una controcultura operaia militante in campo sportivo nell’epoca in cui, siamo nella seconda decade del Novecento, diveniva una priorità contrapporre alle istituzioni borghesi attive nell’organizzazione del tempo libero attraverso lo sport esperienze di gestione collettiva del tempo di libertà – per dirla marxianamente. Come scrive Di Monte, «lo sport poteva essere espressione di uno status elitario oppure strumento di emancipazione per qualificare il tempo libero degli operai e delle loro famiglie: due concezioni totalmente incompatibili» (p. 23). Sono gli anni in cui una radicata diffidenza verso le pratiche sportive da parte delle organizzazioni e dei partiti della sinistra viene messa in discussione, in cui inizia a trovare spazio su Avanti! e Avanguardia – due testate della stampa socialista – il dibattito sull’opportunità o meno d’avviare un proprio circuito di attività sportiva, anni in cui le pagine verdi di Sport e proletariato fanno concorrenza a quelle rosa della Gazzetta dello Sport. Nel nome dell’internazionalismo veniva rigettata la logica sciovinista della competizione sportiva che contrapponeva tra loro lavoratori chiamati a gareggiare sotto i rispettivi vessilli nazionali; non si trattava solamente di una ricollocazione di campo ideale ma anche materiale e d’ordine pratico: moderare i costi per la partecipazione alle attività sociali, in primis – per le associazioni alpinistiche ed escursionistiche – la quota associativa.

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11 Feb2015

Inquieto.
Un’altra canzone per #AlpinismoMolotov

11 Febbraio 2015. Written by Redazione_am. Posted in Musica

di Filo Sottile

Forse ciò che mi fa amare enormemente la vita
è il contrasto delle sensazioni

Gian Piero Motti

 

1. In bilico, Inquieto

L’inno inufficiale di #AlpinismoMolotov | #Negazione, «Sempre in bilico» https://t.co/qwZkL3bv5i Su proposta di @fil0s0ttile. Accettata.

— Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) 2 Agosto 2014

Sempre in bilico dei Negazione è l’inno inufficiale di questa banda disparata che prova a praticare l’alpinismo molotov.

Sempre in bilico
sei sempre in bilico
tra l’odio e l’amore
tra gioia e la tristezza
tra un senso di potenza
e il vuoto del fallimento.

E poi ancora, nelle strofe successive: paure e sogni, sensazioni eccitanti e frustranti pudori e via così. Contrasti emozionali che si possono leggere anche nei récit d’ascension degli alpinisti laureati, e che fanno pensare che tenersi in equilibrio in cresta sia solo il corrispettivo fisico di un funambolismo interiore quasi più rischioso.
Fino a qualche tempo fa non avrei immaginato che una canzone intrisa di rabbia e asfalto e periferia, un’espressione tipica del punk torinese, potesse raccontare di imprese montane in senso lato, e in particolare di questo Alpinismo Molotov che muove i primi passi, tentennanti e avventurosi.
Tuttavia, fra le coppie di opposti fra i quali i Negazione tracciano la loro via ne manca una che a me sembra propria di questo progetto nascente. La coppia di opposti in questione è presente, sebbene non ostentata, in un’altra canzone. Una canzone che invece un’ascesa e una vetta sembra suggerirle in maniera più evidente.
Sto parlando di Inquieto[1] dei CSI.

 

 

Oscar Wilde scrive che la musica è la reminiscenza di vicende che non abbiamo vissuto. Inquieto per anni è stata questo per me: l’insorgere tumultuoso di un ricordo non mio. L’ho ascoltata ossessivamente per anni senza sapere di che diavolo parlasse, fino a quando non ho scoperto di provare piacere a camminare su sentieri accidentati e scoscesi. Da allora si è fatta strada un’ipotesi di lettura che con la consuzione delle suole è maturata.
Non pretendo, né mi interessa affermare, di aver svelato le intenzioni dei CSI. Desidero invece mettere in luce ciò che questa canzone sa dire del camminare, e del camminare in montagna e dell’alpinismo molotov.

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06 Feb2015

Sentieri proletari.
Intervista ad Alberto Di Monte

6 Febbraio 2015. Written by Redazione_am. Posted in Libri, Sorgenti

Negli stessi giorni in cui sul blog di Alpinismo Molotov veniva pubblicato il post inaugurale, sugli scaffali delle librerie si è fatto spazio un libro – scritto da Alberto Di Monte (aka Abo) – che racconta la travagliata storia lunga un secolo di un’associazione che ha sempre proposto un approccio controcorrente all’andare per montagne: Sentieri Proletari. Storia dell’Associazione Proletari Escursionisti (Mursia).

La banda disparata di Alpinismo Molotov non crede alle coincidenze, ma alla fottuta risonanza sì. Se non bastasse che tra le nostre compagne e i nostri compagni di scarpinate c’è l’alveare dell’Ape Milano, ricostituito nel 2012, questa dell’APE storica è un’esperienza molotov ante litteram e noi – come è scritto anche nel nostro pentalogo – siamo alla ricerca di storie a cui ridare voce e su cui innestare le nostre pratiche. Vi proponiamo quindi un’intervista ad Alberto Di Monte, che anticipa la recensione del libro che a breve pubblicheremo. Se non vi bastasse, altri pezzi di questa storia potete trovarli sul tumblog di Sentieri Proletari.

D.: Partiamo dall’immagine di copertina: c’è una bellissima foto di gruppo, con uomini, donne, ragazzi e bambini che dal primo piano riempiono il declivio di un colle fin sulla sommità. Come è riportato nella relativa nota, la fotografia è del 1922 e immortala la gita di alcune sezioni dell’APE al Monte San Giovanni delle Formiche. Siamo tre anni dopo la fondazione a Lecco dell’Associazione Antialcolica Proletari Escursionisti, quattro prima del suo scioglimento per mano prefettizia a seguito dell’approvazione delle Leggi fascistissime. Allargando metaforicamente l’inquadratura dell’immagine, come ci racconteresti questa prima fase del sodalizio apeino?

R.: Nel luglio 1923, l’allora dirigente socialista massimalista Giacinto Menotti Serrati, pubblica sulle pagine di Sport e proletariato “Lo sport e la classe lavoratrice”, un editoriale che suona come un manifesto dello sport proletario. Dopo aver indicato le radici dell’alpinismo popolare nella nascita dell’Unione Operaia Escursionisti Italiani, ed evidenziato il tradimento delle intenzioni iniziali, Serrati afferma che attorno all’APE e l’APEF (punte di diamante dello sport popolare rispettivamente in montagna e in città) bisogna costruire una nuova idea di tempo libero. Liberi dalla competizione cieca ma aperti all’agonismo, liberi dai partiti ma certi dei valori di solidarietà ed internazionalismo, liberi dalle organizzazioni della borghesia ma decisi a edificare alternative credibili. La stagione dell’APE storica, che arriverà in breve tempo a contare una trentina di sezioni sparse per lo stivale, è però soprattutto storia di grandi gite sociali in cui le famiglie operaie si riprendono quel tempo libero sottratto allo sfruttamento in fabbrica, per restituirgli un senso di evasione dalla città, liberazione e vita in comune.

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