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12 Mar2019

The Milky Way: con la cinepresa lungo la rotta migratoria valsusina

12 Marzo 2019. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Per tornare a occuparci delle migrazioni attraverso le Alpi, e in particolare di quella che è stata definita la “rotta valsusina”, abbiamo incontrato Claudio Cadei e Nicola Zambelli di SMK Video Factory e Luigi D’Alife, che avevamo già intervistato lo scorso anno sullo stesso tema. L’occasione è data dal loro nuovo progetto The Milky Way che ha come tema centrale proprio l’attraversamento da parte delle e dei migranti del confine italo-francese.

AM: Sulla piattaforma dove avete lanciato il crowdfounding per finanziare la realizzazione del progetto avete riportato una frase che parla di fatti del ‘46-‘48:

«Essi vengono nottetempo accompagnati sino al confine da una guida di Bardonecchia e poi si arrangiano a discendere. Naturalmente, dato l’inadeguato equipaggiamento, specie se incontrano cattivo tempo, spesse volte non riescono a proseguire e muoiono sull’alto versante francese. Due o tre al mese almeno lasciano la vita in questo modo.»

Luigi: Sì, è un rapporto dell’epoca.

AM: Quindi il documentario non parla solo del presente, ma ha una profondità storica…

Luigi: Sì, un po’ sì, non vuol essere un documentario storico ma ci sembrava importante capire prima di tutto il contesto territoriale in cui ci troviamo e anche il tipo di storia che ha quel territorio, in relazione a chi lo vive e a chi lo attraversa. Anche senza andare troppo indietro nel tempo, quella che l’anno scorso dai media mainstream era chiamata “la nuova rotta dell’emigrazione” in realtà di nuovo non ha assolutamente nulla, perché è una rotta da millenni utilizzata per spostarsi e, negli ultimi 200 anni, ha visto centinaia di migliaia di italiani provare ad andare clandestinamente in Francia.
Per tornare a tempi più vicini, dal dopoguerra in poi, in particolare tra il ‘46 e la fine degli anni Cinquanta, c’è stato un grande flusso di italiani che ha attraversato quei territori e che sostanzialmente si è trovato a vivere dinamiche che, anche se in fasi storiche diverse, sono molto simili a quelle che si vivono oggi. Quindi, sicuramente, uno sguardo su questo contesto era assolutamente necessario per raccontare quanto sta succedendo oggi.
La frase che citavi tu era in realtà parte di un rapporto redatto da un agente del ministero negli anni del dopoguerra, che era stato inviato in Valle Stretta per cercare il relitto di un aereo americano abbattuto. Ma sono diversi gli episodi relativi a quegli anni che documentano l’intensa attività migratoria. Ad esempio, il comune di Giaglione nel ‘47 chiese supporto alla prefettura di Torino perché sostanzialmente non c’era più posto nel cimitero per seppellire i cadaveri delle persone che non riuscirono a sopravvivere al passaggio.

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03 Gen2019

Meridiano di fuoco, la nascita del Nucleo Alpinisti Proletari. Un’auto-intervista collettiva

3 Gennaio 2019. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Auto-intervista collettiva ad Alberto Peruffo come contatto dei NAP dopo la stesura di TTT, togliere-togliere-togliere.

Lungo la SP 246, che porta da Montecchio a Valdagno, verso le Piccole Dolomiti vicentine, compare questo cartellone ricolonizzato da autori poco-noti. Siamo nel cuore dei territori devastati del Veneto, tra la Superstrada Pedemontana Veneta e la Fabbrica Miteni di Trissino, celebre per l’inquinamento da Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche responsabili della più grande contaminazione dell’acqua potabile d’Europa, che ha messo a rischio la salute di 350.000 abitanti. Quell’acqua – un bacino grande come il lago di Garda – scende dalle montagne di Recoaro. Da questa foto Archivio CCC deriva la rielaborazione grafica TTT nell’articolo del Manifesto pubblicato su GognaBlog.

«Non fermatevi di fronte alla metafora rivoluzionaria del nostro linguaggio: la prole, siete voi; la falce, le spighe del bene comune, super partes; il martello, il suono armonioso dei nostri chiodi e del nostro cuore» (NAP)

Che cos’è questo manifesto e chi sono i NAP?

TTT è presa di posizione, un manifesto sui generis, certamente forte e molto fuori dal normale, dalle norme. Sia di comportamento, sia di linguaggio. Ci tirerà addosso un sacco di critiche. Ma abbiamo passato un limite e bisogna porre un argine. Siamo stanchi di gente che spitta a destra e a manca, senza conoscere la geografia e la storia dei luoghi, senza preparazione, senza percorso e senza fatica – anche cognitiva – sulle montagne che vanno ad usurpare. Solo perché hanno uno strumento devastatore in mano. Di cui non conoscono le conseguenze.

I NAP sono un gruppo di preparati giovani alpinisti fuori dalla norma, appoggiati da meno giovani e altrettanto – usiamo questa parola, perché legittima, nello specifico certamente – ribelli. Appaiono e scompaiono, anche a casa mia. Rispettano la natura delle pareti e spingono al massimo l’arrampicata libera, le loro singole possibilità declinate a quelle dei territori, l’originario free climbing che in montagna sarebbe dovuto diventare il più possibile clean climbing, per riprendere le vecchie definizioni californiane, spesso incomprese, fraintese o forse, solo semplicemente, trattenute. Ciò che leggerete è frutto di una solida scrittura collettiva che è stata voluta fortemente da loro.

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20 Nov2018

Alpinismo queer, transfemminismo molotov

20 Novembre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Anche se per noi è un luogo d’elezione, non ci siamo mai illusi di trovare, nella montagna, una salvifica frontiera, una via di fuga dalle nostre quotidianità, un “altrove” rispetto alla società delle ingiustizie e delle prevaricazioni. Non a caso, tra gli obiettivi che ci prefissammo nel manifesto di Alpinismo Molotov, e che ancora oggi perseguiamo, ci sono quelli di «denunciare l’oleografia, sbertucciare eroismo, superomismo e machismo». Tanto i sentieri che si inerpicano quanto le strade delle nostre città sono infestati da individui sinistri: xenofobi, omofobi e transfobici per i quali la montagna è terreno di conquista e rivalsa personale. Ed è da tempo immemore, da quando le montagne conquistarono gli uomini, che la loro immagine e la loro narrazione sono state plasmate – citando George Lakoff – sul modello del (e dalla penna di qualche) «Padre Severo».

Per noi, invece, andar su e giù per i declivi e guardare il mondo dal punto di vista delle storte montagne è prassi fondamentale, perché ci arricchisce di «“nuove armi” con cui affrontare il vivere quotidiano». Un arricchimento reso possibile dalla dimensione collettiva del nostro procedere (e retrocedere, quando serve), dalla preminenza delle parole sul passo (ci piace chiamarlo «passo oratorio»), dal procedere «regolando il passo al ritmo del più lento», dal comandamento che ci ha impartito il movimento No Tav della Valsusa: «Si parte e si torna insieme».

Ci definiamo una “banda disparata”, consapevoli che una sola vocale ci distingue da una banda disperata: a salvarci è la stessa dimensione collettiva, le relazioni che si sono intrecciate grazie ad Alpinismo Molotov, le amicizie e lo spirito di sorellanza che si sono strette. Questo collettivo alpinistico è stato, per molt* di noi, un sacchetto di sabbia sull’uscio, un argine contro la marea di passioni tristi che la società contemporanea sciaborda a ritmo costante.

Oggi su Giap è stata pubblicata la prima parte di un “racconto di formazione” scritto dalla nostra compagna Filo Sottile: Sì trav. Come la militanza #NoTav mi ha dato il coraggio di diventare me stessa, più volte vi è citato Alpinismo Molotov, ma non è per questo che vi invitiamo a leggerlo: quello di Filo è un intervento eccezionale, che grida a gran voce che – anche là dove pare impossibile e tutto sembra dire «di qui non si passa», «tutt* insieme, con un po’ di determinazione e creatività si può passare». E diventare se stess*, diventare persone.

Alpinismo Molotov – oggi più di ieri – è disparatamente (e disperatamente!) transfemminalpinista.

 

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06 Nov2018

Ai fantasmi della Diserzione e dell’Ammutinamento, a chi disobbedì alla guerra

6 Novembre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Negli ultimi anni in diverse occasioni abbiamo manifestato il nostro disgusto per la retorica di guerra che ha scandito quest’ultimo triennio, 2015-2018, in occasione del centenario di quella carneficina che fu la Prima guerra mondiale. Una retorica che lungo un secolo si presenta come linea di continuità e che ha fatto della “grande guerra” il mito fondativo dello stato-nazione Italia. Una retorica che, come abbiamo scritto, non avrebbe risparmiato le Alpi, un secolo fa assurte a «sacro confine» che andava per l’Italia spostato di forza verso nord per logiche imperialiste e di annessione, le stesse ragioni che portarono alla guerra e che produssero una carneficina senza precedenti, facendo della popolazione civile un bersaglio allo stesso modo delle truppe degli eserciti nemici e di ogni territorio un campo di battaglia in cui sperimentare nuove e micidiali tecnologie militari.

La Grande Sbornia Nazionalista dovrebbe aver raggiunto il punto più alto con le cerimonie del 4 Novembre, «Festa dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate», giornata celebrativa istituita nel 1919 e che ha attraversato decenni di storia italiana: l’Italia monarchica e liberale, quella fascista e quella repubblicana. Non solo le grandi celebrazioni con le alte cariche dello stato sull’attenti, ai piedi dell’Altare della patria come nelle città simbolo dell’irredentismo italiano Trento e Trieste, non solo nei discorsi dei generali e dei settori conservatori e reazionari della società italiana (che in maniera inquietante, ma non sorprendentemente, si amplificano rispecchiandosi uno nell’altro), ma in ogni paese e città. Perché quella guerra si è cristallizzata in una memoria di stato che si è stratificata lungo il secolo passato fino a divenire parte stessa del paesaggio italiano: nei fiumi e nelle montagne “sacri alla patria” (si veda la recente intitolazione del monte Adamello), nell’odonomastica dei paesi e delle città, nei monumenti ai «figli migliori» ammazzati per la grandeur nazionale disseminati in ogni paese.

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14 Set2018

Il codice dell’oro nella “Valle dei segni”.
Alpinismo Molotov Live a Capo di Ponte (BS)

14 Settembre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Il codice dell’oro, di cui abbiamo già scritto sul blog, questo strano libro nato bifronte e che va arricchendosi di nuove facce adattandosi al contesto e all’occasione in cui viene presentato dai suoi tre autori (o meglio, quattro) – Mariano Tomatis, Davide Gastaldo, Filo Sottile e Matilde Dell’Oro Hermil –, si sta rivelando un prodigioso utensile per hackerare realtà e narrazioni.

Chi ha partecipato nel giugno scorso alla nostra festa cosmica ha avuto la possibilità di rendersene conto di persona, partecipando alla presentazione di questo libro sull’altipiano di Macereto. Una testimonianza nero su bianco della capacità di traslare dalle Alpi agli Appennini – per restare al caso appena citato – uno sguardo che non sia vittima della credulità e, al contempo, non rinunci al gusto dell’incanto e della meraviglia è Il paradiso della regina Sibilla. Un manuale per la creazione dell’Incanto, che Mariano Tomatis aveva curato proprio in occasione di Diverso il suo rilievo 2018.

Si tratta di procedere in bilico, muovendosi alla ricerca di sempre nuovi punti di equilibrio, cercando appoggi sicuri dove posare i piedi, dato che questo percorso – questa via, questa ricerca – non può che essere sconnesso e irregolare, così come irregolare è una linea di sutura.

Cosa c’entra con la montagna? Molto, almeno dal nostro punto di vista. Nel nostro manifesto è scritto che «l’Alpinismo Molotov va sulle montagne per recuperare storie che a piedi si vedono e tessono meglio», e ancora che «la “montagna” è un deposito di storie e segni di passate rivolte, resistenze, repressioni, che attendono di avere nuovamente voce». Non è invece scritto, ma andrebbe aggiunto, che altrettanto importante per noi è trovare il modo migliore per ridare voce alle storie recuperate e luce ai segni rinvenuti.

A partire da queste considerazioni l’occasione che si è data di poter presentare il Codice dell’oro in Valcamonica – la “Valle dei segni”, come sancito dalla macchina del marketing territoriale, che questa volta azzecca una scelta felice –, all’interno di uno dei parchi archeologici di arte rupestre di Capo di Ponte, non poteva essere che accolta con entusiasmo.

Prima di continuare, ecco i dettagli della presentazione: sabato 22 settembre 2018, ore 15:30, presso il Parco archeologico comunale di Seradina – Bedolina, Capo di Ponte (BS).

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08 Ago2018

Curare il sisma con un sisma. Risorgimarche e la montagna che non ha nulla da festeggiare

8 Agosto 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

La montagna come zona depressa, luogo in cui portare lavoro, ricchezza, turismo: a questa narrazione semplificatoria abbiamo sempre prestato attenzione e posto critiche alle false soluzioni: eliski, nuovi impianti di risalita, eventifici d’alta quota, eccetera.

Le montagne sempre più sono ridotte a splendido e muto scenario per eventi e spettacoli, scenografia non artificiale per artificiali attrazioni da luna park.

Siamo organizzatori di Diverso il suo rilievo, una festa che si svolge in montagna, a suo modo il nostro banco di prova della teoria che si fa prassi, abbiamo sempre sostenuto un festival importante come quello di Alta Felicità in Valsusa e ci siamo chiesti esplicitamente come si possa fare una festa in montagna.

Quel che ci è chiaro è che non c’è una risposta conclusiva, univoca e definitiva, al quesito. Al solito, la realtà è complessa ed è buona pratica non accettare risposte semplici(stiche).
Detto questo, ci sono casi in cui le dimensioni, l’impatto e le modalità con cui vengono svolti determinati eventi in aree montane non dovrebbero lasciare dubbi sulla loro inopportunità o comunque sulla loro criticità.

Ci sono eventi però che pare non possano essere messi in discussione, come Risorgimarche, kermesse di concerti che vengono proposti sui Sibillini.
In maniera appassionata Phil Connors ne ha messo in luce le criticità in una sua analisi apparsa su Facebook. La proponiamo volentieri sul nostro blog (altri commenti critici ci vengono segnalati: Paolo Piacentini, Leonardo Animali, Mario di Vito).

Il concerto di Jovanotti a Risorgimarche.

 

Provo a spiegare perché Risorgimarche è un evento che mi sta profondamente sulle palle. Inizio con due precisazioni.

A chi dice (tanti amici e amiche che stimo) “io ci sono stato ed è bellissimo” rispondo laconicamente “grazie ar cazzo”, un concerto di un’artista che ti piace (presumo, visto, che ci sei andato), gratis e in una location evocativa. Ovviamente, ti è piaciuto. Purtroppo però dire che una cosa ci piace non può essere l’unico discrimine o l’ancora di salvezza, anche chi va in un resort a 3000 metri di quota o chi parcheggia sopra alla fioritura di Castelluccio dice “io ci sono stato ed è bellissimo”. La propria singola soddisfazione, ripeto, non basta.
Seconda precisazione rispetto a chi dice “e allora … (le foibe, i marò, Montelago, Woodstock, la sagra de la papera, il deltaplano, le SAE)” vorrei dire che a colpi di “allora” siamo arrivati a dover rispiegare perché bisogna vaccinarsi o perché se sei nero hai diritto di campare come me.

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