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07 Ott2016

Il lupo è una questione politica. Intervista a Luca Giunti, prima parte

7 Ottobre 2016. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Più volte nella mailing list di Alpinismo Molotov si è discusso del lupo. Nel marzo di quest’anno abbiamo rilanciato questo appello. Oggi cominciamo la pubblicazione della prima parte di una lunga conversazione avuta con Luca Giunti, guardiaparco del Parco Orsiera-Rocciavrè, collaboratore dell’equipe piemontese di Life WolfAlps e coautore del libro Tav No Tav, le ragioni di una scelta con Luca Mercalli.

(Foto di Luca Giunti)

Alpinismo Molotov: Per cominciare ti chiediamo un inquadramento storico: il lupo quando si è estinto sulle Alpi? Quando è ricomparso e da dove è venuto?

Luca Giunti: A me piace usare i verbi per quello che valgono e in qualche caso sembrerà che io sia brutale e antipatico. Comincio da quello che mi hai chiesto. Il lupo non si è estinto mai: l’abbiamo sterminato. Estinguersi in scienze naturali vuol dire quando una popolazione giunge in un vicolo cieco naturale per cui restano in pochi e piano piano si estinguono. È una roba che dura qualche generazione. Quella è l’estinzione.

Il lupo l’abbiamo sterminato. L’abbiamo ammazzato in tutti i modi possibili e immaginabili, che sono sostanzialmente di tre tipi: fucilate, tagliole e bocconi avvelenati.

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28 Lug2016

Dove rifugiarsi in fuga dai rifugi? Una lettera aperta

28 Luglio 2016. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Scollinando 2015 - Rifugio Marinelli

Scollinando 2015 – Rifugio Marinelli (2.120 m s.l.m.)

Da tempo nella mailing-list di Alpinismo Molotov è viva una discussione su uso dei rifugi, conseguenze delle attività da questi proposte sull’ambiente montano e contesti.
La vocazione originaria dei rifugi alpini è via via cambiata nel tempo, la montagna – o meglio, la presenza umana in montagna – banalmente non è immune dai mutamenti sociali che viviamo quotidianamente a valle. Capita così che la notizia di iniziative organizzate in qualche rifugio che paiono del tutto aliene dall’ambiente montano ci pongano di fronte una serie di domande (oltre a una reazione a caldo di indignazione): esiste un limite che definisca ciò che è legittimo e sensato proporre in montagna? Se esiste, è immaginabile tracciarlo in modo definitivo? Ha senso farlo? Rispondere non è facile, soprattutto volendo evitare di farlo in modo dogmatico, mantenendo l’equilibrio tra la necessità di tutela di un ambiente naturale fragile come quello delle “terre alte” senza cadere in una visione purista e un po’ nostalgica. Perché in campo entrano una serie di elementi di cui tenere conto, fattori culturali (come pensiamo, è stata pensata e penseremo la montagna), ambientali e anche economici; più nello specifico: i diversi contesti in cui sono presenti rifugi, i rifugisti con le loro necessità e le loro differenti idee di montagna, le caratteristiche contemporanee del turismo, i profili socio-culturali dei potenziali frequentatori di un rifugio.

Un modo per portare allo scoperto questa discussione ci è stato offerto pochi giorni fa, quando abbiamo ricevuto una lettera aperta sulle attività proposte dal rifugio Giovanni e Olinto Marinelli, situato nelle Api Carniche. In particolar modo l’iniziativa più discutibile – che si ripete da qualche anno, sollevando a ogni edizione critiche (si veda questo post su Gogna Blog)– è una festa in quota con musica da discoteca  sparata dalle casse e molta gente presente, perlopiù scorrazzata al rifugio su mezzi motorizzati. Un caso, questo del Marinelli, significativo e che insieme ad altre notizie che si trovano sulla stampa anche in questi giorni – come la chiusura del rifugio Guido Lorenzi sul gruppo del Cristallo a seguito della chiusura dell’ovovia che permetteva di raggiungere comodamente il rifugio… – pongono la questione di quale futuro immaginare per i rifugi in montagna.

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22 Lug2016

“L’unico modo per essere liberi è essere colti”. In ricordo di Roberto Iannilli

22 Luglio 2016. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Il massiccio del Gran Sasso.

Il massiccio del Gran Sasso.

Ci ha lasciati un pezzo di storia del Gran Sasso e uno degli alpinisti meno commerciali, più puri e appassionati degli ultimi anni. Un umile: “Non è il grado, la difficoltà, la prestazione atletica o la pericolosità, che fanno il vero alpinismo, ma è l’ emozione che se ne riceve.” Impegnato con il suo compagno di cordata Luca D’Andrea nell’apertura di una nuova via sulla parete nord del Monte Camicia, nei giorni scorsi un incidente è stato per loro fatale.

Roberto (Iannilli) non è uno di quegli alpinisti fortunati, nati al nord sotto qualche picco dolomitico o ai piedi dei grandi spazi alpini. Non è nemmeno figlio di una delle tante dinastie, è romano de Roma. Gente così di solito pratica l’alpinismo solo per hobby, per qualche uscita. Ulteriore aggravante: ha cominciato a frequentare la montagna tardi, ormai quasi trentenne, ma non ha più saputo smettere.

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22 Giu2016

Dieci anni e più di storie, culture e lotte della montagna: Nunatak

22 Giugno 2016. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Nunatak - copertina n. 42Per coloro che sono sempre alla ricerca di letture incentrate su montagne e conflitto, di storie che raccontino il vivere contemporaneo sui monti così come la memoria di cosa abbia significato farlo nel passato, un punto di riferimento è certamente rappresentato dalla rivista Nunatak. Pubblicazione autoprodotta che circola nelle reti di distribuzione alternative, il primo numero di Nunatak è stato pubblicato nell’inverno del 2006, arrivando con la pubblicazione dell’edizione della primavera appena trascorsa a inaugurare il corso del suo nuovo decennio. Nell’editoriale del primo numero così veniva presentato il punto di vista da cui si sarebbe poi sviluppato il lungo percorso di ricerca all’interno delle pagine della rivista:

Siamo convinti che la montagna sia una zona di “confine” dove ancora è possibile trovare accoglienza e sviluppare quel conflitto necessario per svincolarsi dal dominio e dal cosiddetto “progresso” che hanno trasformato le nostre vallate, distrutto le nostre culture, imposto brutture e disastri in nome del turismo e della merce (magari per il prestigio effimero di accogliere le Olimpiadi Invernali, o vedere una valle tagliata in due da un treno “altamente veloce”), consapevoli però del fatto che anche qui, in qualche modo, ci si può imbattere in meccanismi di consumo, di produzione e di profitto. Anche qui prospera il patriarcato, il razzismo e l’intolleranza. Anche qui pervade la mentalità del lavoro come unico fine della propria esistenza e tante altre caratteristiche negative della nostra società.

Non si tratta qui di essere pienamente in sintonia e d’assumere in toto questa visione, ma di coglierne la ricchezza in un panorama culturale in cui il dibattito intorno ai temi della montagna tende all’appiattimento. Per questo, consideriamo Nunatak un’esperienza importante che ci auguriamo possa continuare ancora a lungo il cammino intrapreso. Al collettivo di Nunatak abbiamo chiesto di poter pubblicare su Alpinismo Molotov l’editoriale del numero 42, il primo superata la soglia dei dieci anni, ché ci è parso al contempo prendere atto della strada fin qui percorsa e rilanciare il percorso di ricerca che ha fatto di Nunatak un punto di riferimento per molte e molti di noi.

Per chi ancora non la conoscesse, Nunatak si può richiedere inviando un’e-mail all’indirizzo nunatak@autistici.org, mentre a questo link è possibile scaricare liberamente tutti i numeri pubblicati  dall’inverno 2006 all’inverno 2014.

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01 Giu2016

#Ailanto: l’albero maudit che porta il paradiso fra il cemento

1 Giugno 2016. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

di Filo Sottile

1. Primo incontro

Fire escapes & Ailanthus, NYC. (Digital Collections - The New York Public Library)

Fire escapes & Ailanthus, NYC. (Digital Collections – The New York Public Library)

La prima volta che ho prestato attenzione a un esemplare di ailanto è stato nel 2004. Lavoravo in un capannone della zona industriale di Rivalta di Torino. Un luogo infelice, benché pinzato fra le amene campagne e il torrente Sangone. A gennaio avevo posto fine alla mia carriera di educatore e da febbraio, riciclato nell’artigianato, parcheggiavo la macchina sotto questo albero spoglio, corteccia grigia, liscia, alto poco meno di dieci metri. Al suo fianco c’era un altro albero, poco più basso, apparentemente della stessa specie, ma privo di quelli che mi parevano ciuffi di fiori secchi. Quei due alberi erano spuntati nelle fessure del marciapiede e si erano fatti strada allargando e spaccando. Si trattava evidentemente di abusivi, nonostante questo sembravano molto più in salute degli aceri e dei carpini piantumati.
La puntualità non è mai stata il mio forte. Quando arrivo io, con il mio consueto margine di ritardo, ho sempre la certezza che il posto che trovo libero è quello che nessun altro ha voluto occupare. Franchino, un mio collega puntualissimo, diceva che vicino a quegli alberi lui non ci parcheggiava mai: sotto la furia dei temporali spesso si rompevano i rami, e poi gli dava fastidio il pacciame di foglie marcite che stazionava a terra.
Quello è diventato il mio posto auto e, tolti i mesi da giugno a settembre in cui parcheggiare lì sotto significava mettere la macchina al fresco, nessuno l’ha messo in discussione.
Cinque o sei giorni alla settimana, per quarantotto settimane l’anno, per dieci anni fa un bel po’. Quei due alberi ho avuto modo di osservarli per bene. Nel 2009 mi è poi venuta persino voglia di sapere come si chiamassero. Mio padre mi ha detto: in Sicilia lo chiamano summaccabolico, summaccu.
Si sbagliava, ma non era il solo.

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16 Mag2016

Appennino molotov, resistente e meticcio

16 Maggio 2016. Written by Redazione_am. Posted in Narrazioni

Si parla diffusamente, ma mai abbastanza, dell’importanza delle donne curde dello YPG in funzione anti ISIS. Non solo per il loro apporto materiale nella azioni di guerra ma anche per il ruolo simbolico e per la reazione che i soldati del califfato hanno nell’incontrare combattenti donne. Non deve essere stato molto diverso dal senso di sbigottimento e rabbia che i fascisti del Battaglione M IX Settembre (M stava per Mussolini, il 9 settembre perché si costituirono all’indomani dell’armistizio), impegnati nelle azioni antipartigiane nell’Appennino Centrale, provarono nel trovarsi di fronte partigiani “negri” sul suolo italiano. Perché questo avvenne nel corso della Resistenza sulle pendici del Monte San Vicino, nelle Marche.

Il "Gruppo Roti" (Archivio Famiglia Baldini)

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