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08 Ago2018

Curare il sisma con un sisma. Risorgimarche e la montagna che non ha nulla da festeggiare

8 Agosto 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

La montagna come zona depressa, luogo in cui portare lavoro, ricchezza, turismo: a questa narrazione semplificatoria abbiamo sempre prestato attenzione e posto critiche alle false soluzioni: eliski, nuovi impianti di risalita, eventifici d’alta quota, eccetera.

Le montagne sempre più sono ridotte a splendido e muto scenario per eventi e spettacoli, scenografia non artificiale per artificiali attrazioni da luna park.

Siamo organizzatori di Diverso il suo rilievo, una festa che si svolge in montagna, a suo modo il nostro banco di prova della teoria che si fa prassi, abbiamo sempre sostenuto un festival importante come quello di Alta Felicità in Valsusa e ci siamo chiesti esplicitamente come si possa fare una festa in montagna.

Quel che ci è chiaro è che non c’è una risposta conclusiva, univoca e definitiva, al quesito. Al solito, la realtà è complessa ed è buona pratica non accettare risposte semplici(stiche).
Detto questo, ci sono casi in cui le dimensioni, l’impatto e le modalità con cui vengono svolti determinati eventi in aree montane non dovrebbero lasciare dubbi sulla loro inopportunità o comunque sulla loro criticità.

Ci sono eventi però che pare non possano essere messi in discussione, come Risorgimarche, kermesse di concerti che vengono proposti sui Sibillini.
In maniera appassionata Phil Connors ne ha messo in luce le criticità in una sua analisi apparsa su Facebook. La proponiamo volentieri sul nostro blog (altri commenti critici ci vengono segnalati: Paolo Piacentini, Leonardo Animali, Mario di Vito).

Il concerto di Jovanotti a Risorgimarche.

 

Provo a spiegare perché Risorgimarche è un evento che mi sta profondamente sulle palle. Inizio con due precisazioni.

A chi dice (tanti amici e amiche che stimo) “io ci sono stato ed è bellissimo” rispondo laconicamente “grazie ar cazzo”, un concerto di un’artista che ti piace (presumo, visto, che ci sei andato), gratis e in una location evocativa. Ovviamente, ti è piaciuto. Purtroppo però dire che una cosa ci piace non può essere l’unico discrimine o l’ancora di salvezza, anche chi va in un resort a 3000 metri di quota o chi parcheggia sopra alla fioritura di Castelluccio dice “io ci sono stato ed è bellissimo”. La propria singola soddisfazione, ripeto, non basta.
Seconda precisazione rispetto a chi dice “e allora … (le foibe, i marò, Montelago, Woodstock, la sagra de la papera, il deltaplano, le SAE)” vorrei dire che a colpi di “allora” siamo arrivati a dover rispiegare perché bisogna vaccinarsi o perché se sei nero hai diritto di campare come me.

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10 Lug2018

Le dimensioni non contano… il nazionalismo tossico in Adamello rimane

10 Luglio 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Si sono svolte nel fine settimana appena passato le iniziative «Adamello – Vetta Sacra alla Patria», in questo post avevamo raccontato l’evoluzione del progetto dal dicembre 2016 fino a gennaio 2018. Ci pare doveroso un aggiornamento e proporre alcune riflessioni a caldo, anche perché se già all’inizio di quest’anno il progetto era stato ampiamente ridimensionato per ricomporre il vario Comitato promotore dopo le proteste e le polemiche sul forte impatto ambientale che avrebbe avuto la realizzazione del progetto iniziale, l’effettivo svolgimento delle celebrazioni si è caratterizzato per un ulteriore ridimensionamento degli sfarzi annunciati per questa cerimonia e il tutto si è svolto in tono minore.

Volevano un bandierone da un chilometro, hanno (mal) steso un tricolore di 50 metri per 9 appena sotto la vetta (versante sud); volevano il Presidente della Repubblica, hanno avuto un assessore regionale; volevano le Frecce tricolori, hanno avuto il sorvolo di tre Tornado militari decollati dall’aeroporto militare di Ghedi; puntavano a un evento che avesse un respiro nazionale, ma anche la copertura dei media è rimasta largamente ancorata alla dimensione locale.

Scarponi di un alpino liberati dal ghiacciaio in Adamello.

Quella che invece risulta confermata, nonostante gli sforzi degli organizzatori di ammantare l’iniziativa di spirito di fratellanza tra i popoli che durante la Grande guerra si fronteggiarono lungo il fronte adamellino, è la narrazione degli eventi bellici, plasmati a uso e consumo del presente, dove gli “eroi” di un secolo fa – e quelli ricordati, senza mai nome e cognome, sono sempre eroi, anche se a guerreggiare ci erano finiti obtorto collo, portati in trincea con la forza coercitiva dello stato – sono arruolati oggi per rafforzare una rappresentazione della storia d’Italia priva di punti di rottura e di conflittualità. Non è un caso che il nocciolo duro del comitato promotore sia composto da militari, in servizio o a riposo: l’Esercito italiano si è sempre dimostrato solerte nell’autoassolvere le proprie gerarchie da ogni responsabilità (per le migliaia di uomini mandate al macello per la conquista del nulla, come per le decimazioni ai danni degli insubordinati) e nell’autorappresentarsi come elemento di continuità statuale resistente a ogni rottura della storia.

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29 Mag2018

I confini della patria nella lunga estate calda. Intervista a Italian Limes in vista di Diverso il suo rilievo 2018

29 Maggio 2018. Written by Redazione_am. Posted in Diverso il suo rilievo, Rizomi / Esplorazioni

Italian Limes sarà ospite della nostra festa, Diverso il suo rilievo 2018 (hey, manca pochissimo!). Chi sta dietro e porta avanti il progetto – Marco Ferrari, Elisa Pasqual, Andrea Bagnato – interverrà durante la discussione intitolata Il clima è cambiato che si terrà sabato 2 giugno alle ore 18,00, una tavola rotonda a cui parteciperanno anche Wu Ming 1 e Matteo Meschiari. Questa intervista – realizzata il 19 aprile scorso – ha lo scopo principale di presentare il progetto a chi segue il nostro blog. Per Italian Limes ha risposto alle nostre domande Marco.

AM: Iniziamo dal grado zero: di cosa si occupa il progetto Italian Limes e come è nato?

IL: Abbiamo iniziato a lavorarci nel 2014 perché siamo stati invitati a proporre un tema di ricerca e un’installazione per la Biennale di Architettura di Venezia. L’intento dei curatori (Rem Koolhaas e Ippolito Pestellini Laparelli per la sezione “Monditalia”, all’interno della quale eravamo ospitati) era quello di esplorare il territorio italiano attraverso una serie di progetti, ognuno dei quali doveva essere incentrato su un luogo e un tema particolari. Ci è sembrato da subito interessante guardare al confine italiano come una sorta di “falso luogo”, un dispositivo attraverso il quale indagare le relazioni fra geopolitica, cartografia e rappresentazione del territorio. Quindi abbiamo deciso di guardare non tanto al confine mediterraneo – all’epoca già ampiamente al centro della cronaca e del dibattito politico – ma a quello settentrionale, alpino: un confine in apparenza “pacificato”, smaterializzato dall’istituzione degli Accordi di Schengen.

AM: Tra l’altro ultimamente, ancora nelle ultime settimane, tutta questa polemica che probabilmente si basa anche su interpretazioni parziali sul confine marittimo fra la Francia e l’Italia è tornata alla ribalta…

IL: Sì, anche su questo confine ci sono molte questioni irrisolte, da questa che hai appena citato tu, a quella più nota del Monte Bianco, che ciclicamente torna sulle pagine dei giornali. A noi, però, interessava mettere in discussione la distinzione fra un confine “interno” (come appunto viene definito quello che separa l’Italia dalle altre nazioni europee) ed uno “esterno”, che delimita lo spazio Schengen a meridione. Ci interessava, in particolare, indagare la scomparsa della manifestazione fisica del confine terrestre a seguito dell’apertura delle frontiere europee di metà anni ’90 – un confine, però, che rimane chiaramente indicato sulla carta. Cos’è un confine, da un punto di vista sia fisico che legislativo? Come lo si riconosce quando lo si attraversa? Esistono delle differenze fra confini naturali e artificiali? Non da ultimo, volevamo guardare alle Alpi come a un caso studio unico nel suo genere: pur essendo un grande parco nel tessuto di un’enorme città policentrica – quale è oggi l’Europa – è ancora un territorio formalmente diviso fra otto nazioni diverse.

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21 Mag2018

Alla ricerca della Rocca del Diavolo

21 Maggio 2018. Written by Redazione_am. Posted in Narrazioni

Ci sono passi che muovono parole e chiedono di essere raccontati e parole che muovono passi, che spingono chi le legge o le ascolta in cerca di orme e sentieri. I tre autori del Codice dell’Oro (Mariano tomatis, Davide Gastaldo e Filo Sottile) ci chiedono esplicitamente di usare Roc Maol e Mompantero, il libro di storia locale e folklore pubblicato da Matilde Dell’Oro Hermil nell’ultimo decennio dell’Ottocento, come una mappa del tesoro, un atlante dei luoghi magnetizzati della Val Cenischia, l’indirizzario delle presenze magiche del Rocciamelone. Si tratta di un invito a scoprire  e riscoprire un angolo della val Susa e a guardarla attraverso la lente, spesso deformante, ma in qualche caso rilevatrice, dei racconti di Matilde Dell’Oro Hermil.

La nobildonna segusina, a giudicare dai suoi scritti, condivide con noi due attitudini: quella a narrare il territorio e quella del passo oratorio. Quando ci racconta la sua ascesa al Rocciamelone il suo sguardo è mobile, attento, rivolto alle persone che vivono la montagna, e non tutto concentrato sullo sforzo, la fatica, la chimera della vetta. L’arrivo in cima anzi è del tutto omesso.
Il tono è assai distante da quello trionfalistico, patetico e superomistico che usa suo fratello Ernesto, uno dei fondatori del CAI di Susa, nel suo récit dell’ascesa alla Rocca D’Ambin. Matilde non ingaggia lotte con l’Alpe, è una narratrice.

Per cantare il Rocciamelone e Mompantero adotta una strategia singolare, ci segnala tutti i siti di interesse magico, tutti quei luoghi che come stargate o portali dimensionali sembrano aprire il territorio a qualcosa che sfugge ai sensi.
Uno dei segni eccedenti che colpisce di più l’immaginazione è la Rocca del Diavolo. Si tratta di una conformazione rocciosa che riprodurrebbe le fattezze del diavolo o del dio Pan o di Mercurio.
Una roccia è potenzialmente eterna, capace di travalicare senza difficoltà il tempo di vita degli esseri umani. Leggendo è facile chiedersi se quella roccia abbia resistito a frane e altri accidenti, se sia ancora lì, se qualcuno sappia ancora come ci si arrivi e se esista ancora un sentiero. Davide, l’unico autoctono dei tre autori del Codice dell’oro, si è messo in caccia di indicazioni e poi in marcia, sulle tracce di un dio – anch’esso curiosamente uno e trino – che parrebbe abitare le pendici del Rocciamelone. Quello che segue è il racconto del suo cammino.

Lo pubblichiamo perché quella di cercare i genii loci è, primo, un’esortazione alla molteplicità, a far deflagrare le narrazioni univoche, appiattenti dei luoghi e, secondo, a esplorare a piedi i territori e tornare a raccontarli.

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18 Mag2018

Un approfondimento sugli incendi boschivi: la trascrizione dell’incontro a Cels di Exilles

18 Maggio 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Dopo gli incendi in provincia di Torino dell’autunno scorso, e sull’onda emotiva del disastro che aveva colpito con particolare accanimento la “nostra” Valsusa, avevamo scritto un post che abbozzava alcuni discorsi, e altri ne sfiorava centrandoli male, sempre con una conoscenza necessariamente superficiale di quello che stava accadendo.

Qualche settimana dopo si è tenuto un incontro alla frazione Cels di Exilles, che ha ospitato tre interventi di persone con un alto livello di conoscenza tecnica e con le mani ancora sporche di cenere. Persone che erano state dentro i fatti con la sapienza indispensabile per capirli e poi venir fuori a spiegarceli. In ordine d’intervento: Luca Giunti, Luca Anselmo, Paolo Chirio. L’incontro è stato introdotto da Luca Abbà.

Con il nostro abituale passo lento, ci abbiamo messo mesi per sbobinare, trascrivere, aggiustare e impaginare quei tre interventi, con la collaborazione degli autori stessi. Il malloppo è ora scaricabile qui (o cliccando sull’immagine) perché, anche se oggi nulla sta bruciando e la paura è lontana, ogni frase di quel pomeriggio è troppo preziosa per poterla dimenticare e perdere, l’utilità di questa riflessione pubblica sarà infatti valida per comprendere meglio di cosa parliamo quando parliamo di incendi boschivi, non solo in Valsusa.

Perché, che lo vogliamo o no, le fiamme e la paura torneranno: purtroppo è inevitabile.

Clicca sull’immagine per scaricare il PDF.

 

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26 Apr2018

«Nessun uomo è un’isola ma ogni persona è una montagna». Intervista a Slavina

26 Aprile 2018. Written by Redazione_am. Posted in Diverso il suo rilievo, Narrazioni

Durante la nostra festa, Diverso il suo rilievo 2018, nella giornata di venerdì 1 giugno è in programma un monologo inedito di Slavina (inizialmente previsto per sabato 2, è stato spostato a venerdì per ragioni organizzative), attivista postporno originaria di Pretare, paese ai piedi del monte Vettore. Preparato in collaborazione con Flaccidia, il monologo s’intitola Ode alle zampe di capra. Una rilettura pornofemminista della leggenda delle fate di Pretare (poi vedete voi se lasciare o meno il porno).

In attesa di poter assistere alla performance, abbiamo rivolto alcune domande a Slavina, cercando di indagare il suo rapporto e quello del suo lavoro con la montagna.

Buona lettura.

 

AM: Nei tuoi lavori non ci sono collegamenti evidenti con la montagna. Come mai hai scelto la festa di alpinismo molotov per presentare il nuovo spettacolo che stai scrivendo? Cosa puoi anticiparcene?

Slavina: Sono cresciuta in mezzo ai Sibillini. Uno dei miei nonni era originario di Pretare, una frazione di Arquata del Tronto (comune devastato dal terremoto del 2016) e ho passato lì tutte le estati dei primi anni della mia vita. La sagoma del monte Vettore come appariva da quel versante la potrei disegnare a memoria.
Io durante l’anno abitavo in un quartiere della periferia di Roma, ero una bambina di città e per me la montagna ha sempre significato non solo il contatto con la natura ma soprattutto la libertà di movimento. Essendo l’ambiente dei Sibillini il primo spazio in cui nella vita mi sono sentita libera ci tornavo sempre volentieri.
Poi 13 anni fa sono emigrata a Barcellona e pur tornando spesso in Italia il legame con quello che per me era un luogo vivo di memorie si è decisamente allentato. Poi il sisma ha distrutto la casa di famiglia e la relazione si è spezzata in maniera molto violenta. Mi era rimasta solo una ferita…
Allora quando ho saputo che la festa di Alpinismo Molotov si sarebbe tenuta sui Sibillini ho pensato che sarebbe stato bello tornare “a casa” potendo condividere con delle creature simili una storia che volevo raccontare da tanto tempo.
Perché il monologo che presenterò alla festa non è parte di nessuno spettacolo, almeno non ancora, ma è un esperimento di storytelling illustrato che sto preparando in collaborazione con Flaccidia [qui il suo blog], artista grafica originaria di Macerata con cui avevo voglia di lavorare da anni. Ed è bello e non casuale forse che dopo esserci cercate nel mondo riusciamo a ritrovarci alle radici, per raccontare una storia di donne libere delle/sulle montagne.

Slavina diciottenne a Pretare.

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