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03 Gen2019

Meridiano di fuoco, la nascita del Nucleo Alpinisti Proletari. Un’auto-intervista collettiva

3 Gennaio 2019. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Auto-intervista collettiva ad Alberto Peruffo come contatto dei NAP dopo la stesura di TTT, togliere-togliere-togliere.

Lungo la SP 246, che porta da Montecchio a Valdagno, verso le Piccole Dolomiti vicentine, compare questo cartellone ricolonizzato da autori poco-noti. Siamo nel cuore dei territori devastati del Veneto, tra la Superstrada Pedemontana Veneta e la Fabbrica Miteni di Trissino, celebre per l’inquinamento da Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche responsabili della più grande contaminazione dell’acqua potabile d’Europa, che ha messo a rischio la salute di 350.000 abitanti. Quell’acqua – un bacino grande come il lago di Garda – scende dalle montagne di Recoaro. Da questa foto Archivio CCC deriva la rielaborazione grafica TTT nell’articolo del Manifesto pubblicato su GognaBlog.

«Non fermatevi di fronte alla metafora rivoluzionaria del nostro linguaggio: la prole, siete voi; la falce, le spighe del bene comune, super partes; il martello, il suono armonioso dei nostri chiodi e del nostro cuore» (NAP)

Che cos’è questo manifesto e chi sono i NAP?

TTT è presa di posizione, un manifesto sui generis, certamente forte e molto fuori dal normale, dalle norme. Sia di comportamento, sia di linguaggio. Ci tirerà addosso un sacco di critiche. Ma abbiamo passato un limite e bisogna porre un argine. Siamo stanchi di gente che spitta a destra e a manca, senza conoscere la geografia e la storia dei luoghi, senza preparazione, senza percorso e senza fatica – anche cognitiva – sulle montagne che vanno ad usurpare. Solo perché hanno uno strumento devastatore in mano. Di cui non conoscono le conseguenze.

I NAP sono un gruppo di preparati giovani alpinisti fuori dalla norma, appoggiati da meno giovani e altrettanto – usiamo questa parola, perché legittima, nello specifico certamente – ribelli. Appaiono e scompaiono, anche a casa mia. Rispettano la natura delle pareti e spingono al massimo l’arrampicata libera, le loro singole possibilità declinate a quelle dei territori, l’originario free climbing che in montagna sarebbe dovuto diventare il più possibile clean climbing, per riprendere le vecchie definizioni californiane, spesso incomprese, fraintese o forse, solo semplicemente, trattenute. Ciò che leggerete è frutto di una solida scrittura collettiva che è stata voluta fortemente da loro.

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18 Dic2018

L’umanità e la franchezza. Scrivere oggi di montagna
di Matteo Melchiorre

18 Dicembre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Libri

A maggio del 2018 è stato pubblicato da Priuli & Verlucca Mario Rigoni Stern. Un uomo, tante storie, nessun confine, un volume che raccoglie gli atti del convegno che si tenne nel 2015 ad Asiago, convegno dedicato, appunto, alle opere e alla figura di Mario Rigoni Stern.
È superfluo qui presentare Mario Rigoni Stern, va però sottolineato che le sue opere hanno segnato la scrittura sulla montagna del Novecento italiano e che forte era il rapporto di Rigoni Stern con la montagna. Un legame che era uno dei fattori che contribuì all’amicizia con due altri fondamentali autori, Primo Levi e Nuto Revelli.

Nel volume dedicato a Mario Rigoni Stern edito da Priuli & Verlucca troviamo anche alcuni testi inediti dato che, come è riportato nella scheda del libro, «il convegno ha avviato nuovi dialoghi sull’opera e la figura dello scrittore, aperti a possibili sviluppi di ricerca, in prossimità di quello che sarebbe stato il suo novantasettesimo compleanno e a ridosso del decimo anniversario della morte.»
Sulla stessa scheda del libro si legge che gli inediti pubblicati sono tre, ma ce n’è un quarto ed è quello che in particolar modo ha attirato la nostra attenzione: si tratta di un contributo appositamente scritto, a inizio 2018, per la pubblicazione nel volume in questione da Matteo Melchiorre – nostro ospite a Diverso il suo rilievo 2017 per presentare il suo La via di Schenèr. Un’esplorazione storica nelle Alpi, già autore di Requiem per un albero, di La banda della superstrada Fenadora-Anzù (con vaneggiamenti sovversivi) e del più recente Storia di alberi e della loro terra (che abbiamo presentato in una serata #AlpinismoMolotovLive).

Il contributo di Melchiorre si sviluppa come una estensione del discorso portato avanti nella sua produzione narrativa – incentrata sulle peculiarità della società contemporanea al di sopra di una certa quota altimetrica –, caratterizzata da rigore, eleganza e franchezza: un sapiente far ruotare storia e geografia l’una sull’altra alla ricerca, in profondità, delle ragioni di medio e lungo periodo del mutamento sociale dentro i fatti che si svolgono nel breve periodo. Una ricerca incomoda, in primo luogo per chi la conduce, e severa, che prova a sottrarsi ai cliché e ai pregiudizi accomodanti quanto confortanti anche per i lettori e le lettrici.
Il contributo, intitolato L’umanità e la franchezza, nello specifico, verte «sullo scrivere oggi di montagna» ed è uno strumento prezioso: ci aiuta a essere consapevoli del carattere colonialista nella rappresentazione storicamente stratificata delle alture, offre una prospettiva critica per confrontarsi con quella piccola rinascita della letteratura di montagna, non legata al milieu della letteratura alpinistica, che si è registrata negli ultimi anni e che ha portato la narrazione delle montagne a trovare spazio nelle scansie “alte” delle librerie.

Per tutte queste ragioni, abbiamo deciso – in accordo con l’autore Matteo Melchiorre e con il consenso alla pubblicazione di Priuli & Verlucca, che ringraziamo – di pubblicare questo contributo sul nostro blog.

 

L’umanità e la franchezza. Scrivere oggi di montagna

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Credo sia utile, se non addirittura necessario, dichiarare per quali ragioni io mi prenda il lusso di dire la mia sul conto di un tema, le scritture di montagna, e sul conto di uno scrittore, Mario Rigoni Stern, rispetto ai quali dovrei soltanto togliermi il cappello, fare un inchino e lasciare la parola a quanti abbiano strumenti più raffinati dei miei.
Sono un semplice lettore che ha trovato nei libri di Rigoni Stern molto di che riflettere e da imparare. Non sono né un critico letterario, né un filologo, né uno studioso di letteratura italiana del Novecento. Il mio mestiere è quello dello storico. Mi occupo di tardo Medioevo.
Frugo negli archivi, intrattenendomi ben volentieri con carte e documenti. Negli ultimi anni mi sono dedicato abbastanza regolarmente a ricerche storiche relative alla montagna.
Da più parti, però, mi vien detto che sono uno storico recalcitrante in quanto scrivo, oltre a monografie scientifiche e a saggi storici su riviste del settore, libri che hanno un loro specifico taglio narrativo. Non sono affatto autore di romanzi storici nel senso classico del termine (genere che peraltro mi convince pochissimo). Mi limito a scrivere di storia lasciando spazio alla componente intrinsecamente narrativa che dà alimento alla ricerca storica. Sarà per questo, perché scrivo narrativa occupandomi di questioni storiche, che alcuni lettori dei miei libri ritengono che io sia, più che uno storico recalcitrante, uno scrittore recalcitrante. Vai a sapere da che parte sia giusto guardarla.
C’è anche un’altra cosa, tuttavia, necessaria a inquadrare il mio interesse per la montagna e per i libri di Mario Rigoni Stern. Abito a Feltre da pochi mesi, ma in precedenza ho vissuto in paesi situati ai piedi del Monte Tomatico. Paesi piccoli, con i boschi tra i piedi e le montagne tutto intorno. Sono per questo un montanaro? Non saprei dirlo. Se essere un montanaro significa abitare ai piedi o sulle coste delle montagne e avere pratica più o meno quotidiana con boschi, legname, orti, animali domestici o selvatici, gente rustica, sentieri e via dicendo, allora sì: sono un montanaro.
Sono però convinto che l’altitudine conti non poco nel rilascio di una patente di montanaro. Ci sono vari tipi di patente. Quella di «montanaro di prima classe», a quanto ne so, viene normalmente rilasciata a quanti vivano stabilmente dagli 800 metri di quota in su. Per quelli che, come me, vivono in zone montane ma fra i 350 e i 450 metri sul livello del mare non può essere rilasciata che una più modesta patente di «montanaro di seconda classe».
Una patente di montanaro di seconda classe. Ricerche storiche di argomento alpino. Curiosità nell’esplorazione delle potenzialità della scrittura narrativa.
Sono questi tre fattori che mi hanno messo a confronto con le opere di Rigoni Stern. All’inizio sono state le letture discontinue effettuate tra i quindici e i venticinque anni, letture più o meno sbocconcellate e mediate dalle istituzioni scolastiche. Nella primavera dell’anno scorso, tuttavia, ho pensato di dedicarmi alla rilettura sistematica dei libri di Rigoni Stern, cogliendovi un paio di aspetti che negli anni precedenti avevo potuto appena intuire.

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20 Nov2018

Alpinismo queer, transfemminismo molotov

20 Novembre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Anche se per noi è un luogo d’elezione, non ci siamo mai illusi di trovare, nella montagna, una salvifica frontiera, una via di fuga dalle nostre quotidianità, un “altrove” rispetto alla società delle ingiustizie e delle prevaricazioni. Non a caso, tra gli obiettivi che ci prefissammo nel manifesto di Alpinismo Molotov, e che ancora oggi perseguiamo, ci sono quelli di «denunciare l’oleografia, sbertucciare eroismo, superomismo e machismo». Tanto i sentieri che si inerpicano quanto le strade delle nostre città sono infestati da individui sinistri: xenofobi, omofobi e transfobici per i quali la montagna è terreno di conquista e rivalsa personale. Ed è da tempo immemore, da quando le montagne conquistarono gli uomini, che la loro immagine e la loro narrazione sono state plasmate – citando George Lakoff – sul modello del (e dalla penna di qualche) «Padre Severo».

Per noi, invece, andar su e giù per i declivi e guardare il mondo dal punto di vista delle storte montagne è prassi fondamentale, perché ci arricchisce di «“nuove armi” con cui affrontare il vivere quotidiano». Un arricchimento reso possibile dalla dimensione collettiva del nostro procedere (e retrocedere, quando serve), dalla preminenza delle parole sul passo (ci piace chiamarlo «passo oratorio»), dal procedere «regolando il passo al ritmo del più lento», dal comandamento che ci ha impartito il movimento No Tav della Valsusa: «Si parte e si torna insieme».

Ci definiamo una “banda disparata”, consapevoli che una sola vocale ci distingue da una banda disperata: a salvarci è la stessa dimensione collettiva, le relazioni che si sono intrecciate grazie ad Alpinismo Molotov, le amicizie e lo spirito di sorellanza che si sono strette. Questo collettivo alpinistico è stato, per molt* di noi, un sacchetto di sabbia sull’uscio, un argine contro la marea di passioni tristi che la società contemporanea sciaborda a ritmo costante.

Oggi su Giap è stata pubblicata la prima parte di un “racconto di formazione” scritto dalla nostra compagna Filo Sottile: Sì trav. Come la militanza #NoTav mi ha dato il coraggio di diventare me stessa, più volte vi è citato Alpinismo Molotov, ma non è per questo che vi invitiamo a leggerlo: quello di Filo è un intervento eccezionale, che grida a gran voce che – anche là dove pare impossibile e tutto sembra dire «di qui non si passa», «tutt* insieme, con un po’ di determinazione e creatività si può passare». E diventare se stess*, diventare persone.

Alpinismo Molotov – oggi più di ieri – è disparatamente (e disperatamente!) transfemminalpinista.

 

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06 Nov2018

Ai fantasmi della Diserzione e dell’Ammutinamento, a chi disobbedì alla guerra

6 Novembre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Negli ultimi anni in diverse occasioni abbiamo manifestato il nostro disgusto per la retorica di guerra che ha scandito quest’ultimo triennio, 2015-2018, in occasione del centenario di quella carneficina che fu la Prima guerra mondiale. Una retorica che lungo un secolo si presenta come linea di continuità e che ha fatto della “grande guerra” il mito fondativo dello stato-nazione Italia. Una retorica che, come abbiamo scritto, non avrebbe risparmiato le Alpi, un secolo fa assurte a «sacro confine» che andava per l’Italia spostato di forza verso nord per logiche imperialiste e di annessione, le stesse ragioni che portarono alla guerra e che produssero una carneficina senza precedenti, facendo della popolazione civile un bersaglio allo stesso modo delle truppe degli eserciti nemici e di ogni territorio un campo di battaglia in cui sperimentare nuove e micidiali tecnologie militari.

La Grande Sbornia Nazionalista dovrebbe aver raggiunto il punto più alto con le cerimonie del 4 Novembre, «Festa dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate», giornata celebrativa istituita nel 1919 e che ha attraversato decenni di storia italiana: l’Italia monarchica e liberale, quella fascista e quella repubblicana. Non solo le grandi celebrazioni con le alte cariche dello stato sull’attenti, ai piedi dell’Altare della patria come nelle città simbolo dell’irredentismo italiano Trento e Trieste, non solo nei discorsi dei generali e dei settori conservatori e reazionari della società italiana (che in maniera inquietante, ma non sorprendentemente, si amplificano rispecchiandosi uno nell’altro), ma in ogni paese e città. Perché quella guerra si è cristallizzata in una memoria di stato che si è stratificata lungo il secolo passato fino a divenire parte stessa del paesaggio italiano: nei fiumi e nelle montagne “sacri alla patria” (si veda la recente intitolazione del monte Adamello), nell’odonomastica dei paesi e delle città, nei monumenti ai «figli migliori» ammazzati per la grandeur nazionale disseminati in ogni paese.

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04 Ott2018

Storie di ordinarie trivellazioni. Un racconto

4 Ottobre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Narrazioni

Le storie dei luoghi rischiano di perdersi nel turbinio del tempo presente. Spostarsi a velocità di bipede permette di cogliere l’eco di queste storie e di accorgersi di quanto e come i segni stratificati dell’azione dell’uomo abbiano mutato il paesaggio. Questi segni, spesso, sono profonde e vive ferite: scempi ambientali, installazioni industriali che avvelenano l’ambiente.
L’alta valle del Sauro, nel cuore della Basilicata, è disseminata di impianti d’estrazione petrolifera, in parte già operativi, in parte ancora fermi, ma pronti a entrare in azione. Questi impianti sono di proprietà di Total, multinazionale petrolifera i cui tentacoli si allargano in svariati campi di produzione.

Kali, un’escursionista, ha visitato l’area e raccolto le sue impressioni nel racconto che pubblichiamo a seguire.
Le sue parole trasmettono la bramosia dell’Entità che avvelena la terra, gli animali, gli esseri umani. Un’entità maligna che si maschera dietro una retorica insinuante, ipocrita e incantatoria, di “responsabilità d’impresa”. Un’entità la cui essenza predatoria è animata dallo spirito capitalistico fattosi materia.

La devastazione ambientale che avanza sotto ai nostri occhi pare non trovare freno, chi ne è veicolo si ostina a negare i cambiamenti climatici in corso e, al contempo, ne alimenta le cause. Raccontare e dare rappresentazione all’Entità – come ha ben dimostrato Wu Ming 1 in Un viaggio che non promettiamo breve, da pochi giorni disponibile in free download su Giap, e come ben sa Turi Vaccaro, oggi in galera, che l’Entità ha avuto la forza di sfidare – può essere uno strumento atto a spezzare l’inganno, a mostrare per quel che è la devastazione: fare il vuoto lì dove c’è la vita.

Il racconto è stato regalato da Kali all’Associazione proletari escursionisti (APE), nostri compagni di scarpinate con cui lo scambio è sempre aperto, che a loro volta l’hanno donato ad Alpinismo Molotov per la pubblicazione. Cogliamo questa occasione per segnalare che il sempre più ampio network apeino si ritroverà dal 19 al 21 ottobre prossimo al Rifugio Sel Rocca Locatelli al Pian dei Resinelli per un incontro nazionale aperto ad «aderenti e sodali».

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14 Set2018

Il codice dell’oro nella “Valle dei segni”.
Alpinismo Molotov Live a Capo di Ponte (BS)

14 Settembre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Il codice dell’oro, di cui abbiamo già scritto sul blog, questo strano libro nato bifronte e che va arricchendosi di nuove facce adattandosi al contesto e all’occasione in cui viene presentato dai suoi tre autori (o meglio, quattro) – Mariano Tomatis, Davide Gastaldo, Filo Sottile e Matilde Dell’Oro Hermil –, si sta rivelando un prodigioso utensile per hackerare realtà e narrazioni.

Chi ha partecipato nel giugno scorso alla nostra festa cosmica ha avuto la possibilità di rendersene conto di persona, partecipando alla presentazione di questo libro sull’altipiano di Macereto. Una testimonianza nero su bianco della capacità di traslare dalle Alpi agli Appennini – per restare al caso appena citato – uno sguardo che non sia vittima della credulità e, al contempo, non rinunci al gusto dell’incanto e della meraviglia è Il paradiso della regina Sibilla. Un manuale per la creazione dell’Incanto, che Mariano Tomatis aveva curato proprio in occasione di Diverso il suo rilievo 2018.

Si tratta di procedere in bilico, muovendosi alla ricerca di sempre nuovi punti di equilibrio, cercando appoggi sicuri dove posare i piedi, dato che questo percorso – questa via, questa ricerca – non può che essere sconnesso e irregolare, così come irregolare è una linea di sutura.

Cosa c’entra con la montagna? Molto, almeno dal nostro punto di vista. Nel nostro manifesto è scritto che «l’Alpinismo Molotov va sulle montagne per recuperare storie che a piedi si vedono e tessono meglio», e ancora che «la “montagna” è un deposito di storie e segni di passate rivolte, resistenze, repressioni, che attendono di avere nuovamente voce». Non è invece scritto, ma andrebbe aggiunto, che altrettanto importante per noi è trovare il modo migliore per ridare voce alle storie recuperate e luce ai segni rinvenuti.

A partire da queste considerazioni l’occasione che si è data di poter presentare il Codice dell’oro in Valcamonica – la “Valle dei segni”, come sancito dalla macchina del marketing territoriale, che questa volta azzecca una scelta felice –, all’interno di uno dei parchi archeologici di arte rupestre di Capo di Ponte, non poteva essere che accolta con entusiasmo.

Prima di continuare, ecco i dettagli della presentazione: sabato 22 settembre 2018, ore 15:30, presso il Parco archeologico comunale di Seradina – Bedolina, Capo di Ponte (BS).

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