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08 Lug2019

Sul binomio musica e montagna: tracce di una discussione sugli eventi in quota

8 Luglio 2019. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Il binomio musica-montagna è un tema che ciclicamente ci ritroviamo ad affrontare in lista. Qualche tempo fa, sono state le polemiche tra Messner e Jovanotti relative al concerto che si dovrebbe tenere alla fine di agosto presso Plan de Corones a far tornare sotto i riflettori questo tema. Non ci interessa particolarmente entrare nel merito di quella specifica querelle, ma prenderne spunto in quanto declinazione della più generale mercificazione della montagna, con le domande che questo processo inevitabilmente pone, ma dovremmo più propriamente dire “con le domande che questo processo inevitabilmente mette a tacere.”

Tra i punti  emersi dalla nostra conversazione, il fatto che ciò che accomuna tutti questi grandi eventi in quota, o comunque nella cornice di un ambiente naturale di pregio, è l’essere per l’appunto, nella cornice. A nessuno importa che il medesimo spettacolo sia fruibile senza differenza alcuna in qualsiasi altro luogo, nel fondovalle o in città, le montagne sono un piacevole sfondo, un tocco di colore, tutt’al più la scusa per una simpatica gita fuori porta.

La cosa paradossale è che tutto questo passi con buona pace di quasi tutti come una modalità di “promozione del territorio”. Curiosa forma di promozione del territorio quella in cui il territorio è praticamente irrilevante.

Aprile 2019

Mr Mill: in tema, mi segnalano il “dibattito” su un dj-set di Giorgio Moroder all’Alpe Tognola: prima diniego della valutazione ambientale, a cui è seguita una “contro-valutazione” degli albergatori/organizzatori con concessione del permesso da parte della giunta Fugatti del Trentino con obbligo di compensazioni ambientali (!)…

Ecco sul Trentino, ho trovato anche la delibera della Provincia autonoma di Trento, l’oggetto dice già tutto: «Concerto di Giorgio Moroder previsto per il giorno 7 aprile 2019, in località Alpe di Tognola. Riconoscimento della sussistenza di motivi di rilevante interesse pubblico di natura economica, nonostante conclusioni negative della valutazione d’incidenza effettuata ai sensi dell’art. 6 della Direttiva 92/43/CEE “Habitat”, e contestuale adozione delle misure di compensazione idonee a garantire la coerenza globale della rete “Natura 2000”, ai sensi del comma 3 dell’art. 39 della legge provinciale n. 11 del 23 maggio 2007 “Governo del territorio forestale e montano, dei corsi d’acqua e delle aree protette”».

Vecio Baordo: Questa delle compensazioni ambientali potrebbe essere il “Cetriolo  Globale” (cit.) che vola a un metro da terra nei prossimi decenni per tutto quanto riguarderà le questioni di ambiente. Potrebbe arrivare a sostituire la valutazione d’impatto, o a trasformarla in un “preventivo” che l’ente pubblico di turno rilascerebbe per quantificare le compensazioni a fronte di un intervento. Potrebbe portare a sostituire qualsiasi divieto con autorizzazioni a pagamento. Se scuci abbastanza ghinee puoi pure andare in moto sui sentieri e fare eliski dove ti pare. Potrebbe essere un modo in più per unire la lotta ambientale con la lotta di classe. E perderle entrambe in un colpo solo.

Davide: La “legge Galasso”, che tutela beni paesaggistici e ambientali, è del 1985. Prima l’urbanistica e la paesaggistica erano normate da un decreto del 1942 che poneva vincoli molto blandi. Ora, in teoria, dovrebbe essere molto più complicato approvare certe brutture, anche perché il singolo Comune non ha il potere di decidere in autonomia, ci sono le commissioni paesaggistiche,  il  PPR, svariate firme d’avallo… il che vuol dire che le responsabilità – almeno sulle cose più recenti – sono molteplici.

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03 Apr2019

Ghiacciai e confini al tempo del cambiamento climatico

3 Aprile 2019. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Lo scorso 15 marzo si è tenuto, presso il CSA Magazzino 47 di Brescia, un incontro organizzato da APE Brescia dal titolo Il cambiamento climatico si beve i ghiacciai. Il relatore dell’incontro era Andrea Toffaletti, da 15 anni operatore del Servizio glaciologico lombardo. La sua relazione si è aperta partendo da elementi generali di glaciologia, per passare poi allo specifico delle condizioni attuali dei ghiacciai alpini e, in particolare, di quelli adamellini. La documentata e ricca relazione è stata registrata e l’audio si può ascoltare a questo link, dove è possibile anche scaricare le slide utilizzate come supporto visivo alla relazione.

A margine di questo incontro, abbiamo posto alcune domande ad Andrea e oggi pubblichiamo l’intervista: così come per l’iniziativa di APE Brescia, anche noi abbiamo cercato di toccare nell’intervista argomenti più teorici e generali, per poi entrare nello specifico dell’area dell’Adamello, comunque significativa rispetto alla generalità dell’arco alpino, di cui Andrea ha maggiore conoscenza.

La pubblicazione di questa intervista ci offre l’occasione per segnalare, sempre in tema di ghiacciai e riscaldamento globale, la recente pubblicazione del volume curato da Italian Limes dal titolo A Moving Border. Alpine Cartographies of Climate Change (Columbia University Press, 2019). La pubblicazione era stata incidentalmente anticipata dal nostro blog circa un anno fa, nell’intervista alla crew di Italian Limes, che sarebbe stata ospite a Diverso il suo rilievo 2018, intervista significativamente intitolata I confini della patria nella lunga estate calda.
In questo volume, che rappresenta in qualche misura la summa del progetto quinquennale sviluppato da Italian Limes, il rapporto tra ghiacciai e mutamento climatico è interrogato dal punto di vista storico-geografico, quindi eminentemente politico. È stato questo “diverso rilievo” che sin dal primo contatto con il progetto Italian Limes ci ha affascinato, perché mostra in tutta evidenza la capacità di penetrazione di uno sguardo obliquo in un tema “molare”, come, nello specifico, quello dei confini e, quindi, dello Stato-nazione e della sua costruzione storico-politica. E ancora, la capacità di individuare e hackerare lo strumento-concetto di «confine mobile», facendone un attrezzo atto a sabotare l’aura trascendente del dispositivo che comunemente chiamiamo “confine”.
Tra i contributi presenti nel volume è presente una conversazione tra Italian Limes e Wu Ming 1 – pubblicata in lingua italiana su Giap –, ulteriore slittamento di prospettiva che permette di evidenziare con ancor maggiore forza che

l’idea di «confine naturale» è in realtà il prodotto di una precisa narrazione storica, politica e geografica, e ci si apre davanti agli occhi una verità più ampia: il cambiamento climatico mette in discussione dalle fondamenta l’idea stessa di sovranità territoriale.

 

Il cambiamento climatico si beve i ghiacciai. Intervista ad Andrea Toffaletti

AM: Tu sei un operatore del Servizio glaciologico lombardo (SGL), un’associazione scientifica no-profit che dalla fine degli anni Ottanta monitora i ghiaccia lombardi con campagne annuali. Prima di tutto, ci racconti brevemente quali sono i soggetti con cui collabora il SGL per monitorare i ghiacciai presenti in Italia?

AT: Il Servizio glaciologico lombardo fa parte di un più ampia rete che racchiude tutte le associazione regionali che operano sull’arco alpino. In Piemonte opera la Società meteorologica italiana, in Trentino il Comitato Glaciologico Trentino, in Alto Adige c’è il Servizio glaciologico Alto-Adige, anche in Veneto esiste un monitoraggio così come in Valle d’Aosta con la Fondazione montagna sicura. Siamo tutti coordinati dal Comitato glaciologico italiano, che è l’associazione nazionale, nata nel 1914, dove confluiscono tutti i dati delle campagne glaciologiche che vengono poi pubblicati su Geografia fisica e dinamica quaternaria. Lì si fa il punto sulla situazione dei ghiacciai alpini ed appenninici, per quest’ultimo settore il monitoraggio avviene per il Ghiacciaio del Calderone che viene ancora considerato un ghiacciaio vero e proprio, anche se ormai è da considerarsi un glacionevato avendo perso quasi completamente la sua dinamicità

AM: Qual è la situazione dei ghiacciai alpini?

AT: La situazione è ovviamente negativa per tutti i settori alpini: ci sono settori che alcuni anni beneficiano di nevicate più importanti di altri ma in definitiva il trend è negativo ovunque. Soprattutto sulle Alpi Occidentali e Sud-Occidentali, come le Alpi Marittime, si è registrato una netta e veloce deglacializzazione, ma in tutte le Alpi, la situazione è la stessa: una forte accelerazione del regresso glaciale. La caratteristica che si è venuta a creare negli ultimi anni è che la “linea di equilibrio”, chiamata fino a qualche anno fa “limite delle nevi perenni”, si è portata dai 2.950 m slm degli anni Novanta fino oltre i 3.200-3.300 m slm del periodo attuale. La linea di equilibrio è quella linea dove il bilancio del ghiacciaio è uguale a 0 e che suddivide il ghiacciaio stesso in una zona a monte dove prevalgono gli accumuli (neve, valanghe, accumuli eolici) e una a valle dove sono preponderanti le perdite, variando di quota in funzione delle condizioni climatiche. Di conseguenza sono ormai ben poche le zone delle Alpi che sono interessate da un glacialismo in equilibrio, con l’attuale fase climatica, e attivo. In Lombardia l’unica zona dove, nelle ultimi difficili annate, si è conservata neve alla fine dell’estate, è quella dell’Altopiano di Fellaria, in Val Malenco, a sud della cima del Bernina, un altopiano posto attorno tra i 3.400 e i 3.600 m slm dove si registra – grazie al cielo! – una permanenza di neve residua anche a fine estate.

Foto: Archivio SGL.

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14 Mar2019

Primo Levi: parole e passi che amiamo percorrere

14 Marzo 2019. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni, Senza categoria

Prima che nascesse questo blog, prima ancora che cominciassimo a chiamare “alpinismo molotov” quello che stavamo facendo, e da allora in poi per tutti gli anni a venire, a pensarci bene il nostro spirito guida è sempre stato Primo Levi. A volte ne abbiamo parlato, altre volte non ne abbiamo nemmeno avuto bisogno.

Tornammo a valle coi nostri mezzi e al locandiere, che ci chiedeva ridacchiando come ce la eravamo passata, e intanto sogguardava i nostri visi stralunati, rispondemmo sfrontatamente che avevamo fatto un’ottima gita, pagammo il conto e ce ne andammo con dignità. Era questa, la carne dell’orso: ed ora, che sono passati molti anni, rimpiango di averne mangiata poca, poiché, di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto, neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino.
(Primo Levi, Ferro in Il sistema periodico, Einaudi, 1975)

Il compagno di avventure di Primo Levi sulle montagne piemontesi era Sandro Delmastro, primo caduto delle brigate partigiane “Giustizia e Libertà” nel cuneese. E in quelle parole c’è tutto ciò che noi chiamiamo “spirito molotov”.

Primo Levi in vetta al Monte Disgrazia (agosto 1942).

Segnaliamo quindi con grandissimo piacere la rubrica Dizionario Levi inaugurata nei giorni scorsi su doppiozero e così presentata:

Il testimone, il chimico, lo scrittore, il narratore fantastico, l’etologo, l’antropologo, l’alpinista, il linguista, l’enigmista, e altro ancora. Primo Levi è un autore poliedrico la cui conoscenza è una scoperta continua. Nel centenario della sua nascita (31 luglio 1919) abbiamo pensato di costruire un Dizionario Levi con l’apporto dei nostri collaboratori per approfondire in una serie di brevi voci molti degli aspetti di questo fondamentale autore la cui opera è ancora da scoprire.

Il primo lemma di questo dizionario è Alpinismo, il testo è scritto da Giuseppe Mendicino.

Buona lettura.

 

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12 Mar2019

The Milky Way: con la cinepresa lungo la rotta migratoria valsusina

12 Marzo 2019. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Per tornare a occuparci delle migrazioni attraverso le Alpi, e in particolare di quella che è stata definita la “rotta valsusina”, abbiamo incontrato Claudio Cadei e Nicola Zambelli di SMK Video Factory e Luigi D’Alife, che avevamo già intervistato lo scorso anno sullo stesso tema. L’occasione è data dal loro nuovo progetto The Milky Way che ha come tema centrale proprio l’attraversamento da parte delle e dei migranti del confine italo-francese.

AM: Sulla piattaforma dove avete lanciato il crowdfounding per finanziare la realizzazione del progetto avete riportato una frase che parla di fatti del ‘46-‘48:

«Essi vengono nottetempo accompagnati sino al confine da una guida di Bardonecchia e poi si arrangiano a discendere. Naturalmente, dato l’inadeguato equipaggiamento, specie se incontrano cattivo tempo, spesse volte non riescono a proseguire e muoiono sull’alto versante francese. Due o tre al mese almeno lasciano la vita in questo modo.»

Luigi: Sì, è un rapporto dell’epoca.

AM: Quindi il documentario non parla solo del presente, ma ha una profondità storica…

Luigi: Sì, un po’ sì, non vuol essere un documentario storico ma ci sembrava importante capire prima di tutto il contesto territoriale in cui ci troviamo e anche il tipo di storia che ha quel territorio, in relazione a chi lo vive e a chi lo attraversa. Anche senza andare troppo indietro nel tempo, quella che l’anno scorso dai media mainstream era chiamata “la nuova rotta dell’emigrazione” in realtà di nuovo non ha assolutamente nulla, perché è una rotta da millenni utilizzata per spostarsi e, negli ultimi 200 anni, ha visto centinaia di migliaia di italiani provare ad andare clandestinamente in Francia.
Per tornare a tempi più vicini, dal dopoguerra in poi, in particolare tra il ‘46 e la fine degli anni Cinquanta, c’è stato un grande flusso di italiani che ha attraversato quei territori e che sostanzialmente si è trovato a vivere dinamiche che, anche se in fasi storiche diverse, sono molto simili a quelle che si vivono oggi. Quindi, sicuramente, uno sguardo su questo contesto era assolutamente necessario per raccontare quanto sta succedendo oggi.
La frase che citavi tu era in realtà parte di un rapporto redatto da un agente del ministero negli anni del dopoguerra, che era stato inviato in Valle Stretta per cercare il relitto di un aereo americano abbattuto. Ma sono diversi gli episodi relativi a quegli anni che documentano l’intensa attività migratoria. Ad esempio, il comune di Giaglione nel ‘47 chiese supporto alla prefettura di Torino perché sostanzialmente non c’era più posto nel cimitero per seppellire i cadaveri delle persone che non riuscirono a sopravvivere al passaggio.

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04 Feb2019

Libertà.
Un racconto di Francesca Schiavon

4 Febbraio 2019. Written by Redazione_am. Posted in Libri

Alpinismo Molotov in questi anni ha cercato di raccontare una montagna altra da quella che si legge di solito sui media mainstream e sulle riviste specializzate. Una montagna che è allo stesso tempo rifugio e prigione, cerniera e frattura, terreno da colonizzare e sfruttare, crogiuolo di nuove alleanze. Le vicende individuali e collettive degli esseri umani e degli altri viventi che la abitano per essere lette in un’ottica diversa devono essere osservate da punti di vista obliqui, inaspettati.

È uscita di recente altri.immaginari, antologia dei differenti modi di godere (Golena, 2018), una raccolta di racconti di autrici, autori, autoru transfemmist* e queer. Libertà è il titolo del contributo di Francesca Schiavon. Il suo racconto percorre un crinale, una via incerta e farraginosa, ma con il passo di chi sa immaginare l’azzardo dei passaggi pericolosi.

Libertà racconta allo stesso tempo una vicenda di montagna e di resistenze, sì, al plurale. È ambientato in montagna, nelle fasi conclusive della Guerra civile spagnola, e l’io narrante è ispirato a Teresa, Florencio, Durruti, la Pastora – questi i nomi con cui è stat* conosciut* –, una combattente antifranchista realmente esistita.
Francesca, che in montagna ci vive davvero e ha una piccola casa editrice, ci ha concesso di ripubblicarlo qui integralmente.

Buona lettura.

Libertà

Francisco aveva di nuovo l’espressione di un lupo impazzito. Guardava un punto imprecisato a mezz’aria, beveva a piccoli sorsi dal bicchierino scheggiato la grappa che lui stesso aveva distillato da non so quali scarti della cucina. Io non ne sopportavo nemmeno l’odore, sembrava alcol misto a sudore e cattiveria. E sconfitta. Eravamo nascosti da settimane in una grotta buia, in mezzo alle montagne più inospitali della Spagna, da soli, io con la mia pazienza di pastora, lui con la sua frustrazione di guerriero. Eppure non ci avevano ancora presi, la Guardia Civil non aveva né gambe né coraggio per braccarci fin lassù. Eravamo razziatori impietosi, predatori imprevedibili, affamati, rabbiosi e stanchi oltre ogni limite umano. Tanto che ogni giorno mi chiedevo quale fosse il senso della parola umanità e fino a che punto lo avessimo sovvertito e stravolto. Gli ideali per i quali eravamo finiti lassù erano come affissi su una parete invisibile e, anche se non li vedevamo, li avevamo sempre presenti nella testa, fin dentro agli occhi. Grazie a quegli ideali e ai compagni con i quali li avevamo condivisi avevo imparato a leggere. Non so com’è imparare a leggere quando sei un bambino piccolo, per me, che ho cominciato a vent’anni, è stato come nascere di nuovo e le parole dei libri le cui pagine lentamente decodificavo mi si sono ficcate nella testa con tutta la loro potenza, con il colore, la forma, con tutte le virgole e gli a capo. Non mi lasciano mai.

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16 Gen2019

Quello che si è arrotondato sfregando.
#AlpinismoMolotov Live: La via del sale

16 Gennaio 2019. Written by Redazione_am. Posted in Libri

L’azione del sale è duplice: corrode e conserva. Nel corso dei secoli scie di cloruro di sodio si sono depositate sui crinali, nei boschi e nelle valli e hanno scavato vie e mulattiere, e le hanno in qualche modo preservate. Questo complesso di percorsi ha preso il nome di Via del Sale.

Alberto “Abo” Di Monte, geografo, webmaster, appassionato escursionista, indagatore delle vicende dell’Associazione Proletari Escursionisti, insieme a Luca Chiaudano e Roberto Maggioni, nel giugno 2015 l’hanno percorsa (qui il loro istant blog).

Pochi mesi fa è uscito La via del Sale. Un sentiero lungo mille anni (Mursia, 2018) che non solo racconta quell’esperienza (focalizzandosi in particolare sulla rotta Varzi-Camogli), ma ricostruisce in un quadro storico-geografico quanto il sale abbia segnato l’esperienza umana e i territori attraversati.

Venerdì 18 gennaio ne parleremo dal vivo con l’autore e, così come la via del sale non può definirsi un sentiero lineare, anche noi promettiamo deviazioni.

L’appuntamento è al CSOA Gabrio, vi a Millio 42, Torino.

Ore 19,30: aperitivo mangereccio.
Ore 21,00: presentazione.

 

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