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04 Ott2018

Storie di ordinarie trivellazioni. Un racconto

4 Ottobre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Narrazioni

Le storie dei luoghi rischiano di perdersi nel turbinio del tempo presente. Spostarsi a velocità di bipede permette di cogliere l’eco di queste storie e di accorgersi di quanto e come i segni stratificati dell’azione dell’uomo abbiano mutato il paesaggio. Questi segni, spesso, sono profonde e vive ferite: scempi ambientali, installazioni industriali che avvelenano l’ambiente.
L’alta valle del Sauro, nel cuore della Basilicata, è disseminata di impianti d’estrazione petrolifera, in parte già operativi, in parte ancora fermi, ma pronti a entrare in azione. Questi impianti sono di proprietà di Total, multinazionale petrolifera i cui tentacoli si allargano in svariati campi di produzione.

Kali, un’escursionista, ha visitato l’area e raccolto le sue impressioni nel racconto che pubblichiamo a seguire.
Le sue parole trasmettono la bramosia dell’Entità che avvelena la terra, gli animali, gli esseri umani. Un’entità maligna che si maschera dietro una retorica insinuante, ipocrita e incantatoria, di “responsabilità d’impresa”. Un’entità la cui essenza predatoria è animata dallo spirito capitalistico fattosi materia.

La devastazione ambientale che avanza sotto ai nostri occhi pare non trovare freno, chi ne è veicolo si ostina a negare i cambiamenti climatici in corso e, al contempo, ne alimenta le cause. Raccontare e dare rappresentazione all’Entità – come ha ben dimostrato Wu Ming 1 in Un viaggio che non promettiamo breve, da pochi giorni disponibile in free download su Giap, e come ben sa Turi Vaccaro, oggi in galera, che l’Entità ha avuto la forza di sfidare – può essere uno strumento atto a spezzare l’inganno, a mostrare per quel che è la devastazione: fare il vuoto lì dove c’è la vita.

Il racconto è stato regalato da Kali all’Associazione proletari escursionisti (APE), nostri compagni di scarpinate con cui lo scambio è sempre aperto, che a loro volta l’hanno donato ad Alpinismo Molotov per la pubblicazione. Cogliamo questa occasione per segnalare che il sempre più ampio network apeino si ritroverà dal 19 al 21 ottobre prossimo al Rifugio Sel Rocca Locatelli al Pian dei Resinelli per un incontro nazionale aperto ad «aderenti e sodali».

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21 Mag2018

Alla ricerca della Rocca del Diavolo

21 Maggio 2018. Written by Redazione_am. Posted in Narrazioni

Ci sono passi che muovono parole e chiedono di essere raccontati e parole che muovono passi, che spingono chi le legge o le ascolta in cerca di orme e sentieri. I tre autori del Codice dell’Oro (Mariano tomatis, Davide Gastaldo e Filo Sottile) ci chiedono esplicitamente di usare Roc Maol e Mompantero, il libro di storia locale e folklore pubblicato da Matilde Dell’Oro Hermil nell’ultimo decennio dell’Ottocento, come una mappa del tesoro, un atlante dei luoghi magnetizzati della Val Cenischia, l’indirizzario delle presenze magiche del Rocciamelone. Si tratta di un invito a scoprire  e riscoprire un angolo della val Susa e a guardarla attraverso la lente, spesso deformante, ma in qualche caso rilevatrice, dei racconti di Matilde Dell’Oro Hermil.

La nobildonna segusina, a giudicare dai suoi scritti, condivide con noi due attitudini: quella a narrare il territorio e quella del passo oratorio. Quando ci racconta la sua ascesa al Rocciamelone il suo sguardo è mobile, attento, rivolto alle persone che vivono la montagna, e non tutto concentrato sullo sforzo, la fatica, la chimera della vetta. L’arrivo in cima anzi è del tutto omesso.
Il tono è assai distante da quello trionfalistico, patetico e superomistico che usa suo fratello Ernesto, uno dei fondatori del CAI di Susa, nel suo récit dell’ascesa alla Rocca D’Ambin. Matilde non ingaggia lotte con l’Alpe, è una narratrice.

Per cantare il Rocciamelone e Mompantero adotta una strategia singolare, ci segnala tutti i siti di interesse magico, tutti quei luoghi che come stargate o portali dimensionali sembrano aprire il territorio a qualcosa che sfugge ai sensi.
Uno dei segni eccedenti che colpisce di più l’immaginazione è la Rocca del Diavolo. Si tratta di una conformazione rocciosa che riprodurrebbe le fattezze del diavolo o del dio Pan o di Mercurio.
Una roccia è potenzialmente eterna, capace di travalicare senza difficoltà il tempo di vita degli esseri umani. Leggendo è facile chiedersi se quella roccia abbia resistito a frane e altri accidenti, se sia ancora lì, se qualcuno sappia ancora come ci si arrivi e se esista ancora un sentiero. Davide, l’unico autoctono dei tre autori del Codice dell’oro, si è messo in caccia di indicazioni e poi in marcia, sulle tracce di un dio – anch’esso curiosamente uno e trino – che parrebbe abitare le pendici del Rocciamelone. Quello che segue è il racconto del suo cammino.

Lo pubblichiamo perché quella di cercare i genii loci è, primo, un’esortazione alla molteplicità, a far deflagrare le narrazioni univoche, appiattenti dei luoghi e, secondo, a esplorare a piedi i territori e tornare a raccontarli.

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26 Apr2018

«Nessun uomo è un’isola ma ogni persona è una montagna». Intervista a Slavina

26 Aprile 2018. Written by Redazione_am. Posted in Diverso il suo rilievo, Narrazioni

Durante la nostra festa, Diverso il suo rilievo 2018, nella giornata di venerdì 1 giugno è in programma un monologo inedito di Slavina (inizialmente previsto per sabato 2, è stato spostato a venerdì per ragioni organizzative), attivista postporno originaria di Pretare, paese ai piedi del monte Vettore. Preparato in collaborazione con Flaccidia, il monologo s’intitola Ode alle zampe di capra. Una rilettura pornofemminista della leggenda delle fate di Pretare (poi vedete voi se lasciare o meno il porno).

In attesa di poter assistere alla performance, abbiamo rivolto alcune domande a Slavina, cercando di indagare il suo rapporto e quello del suo lavoro con la montagna.

Buona lettura.

 

AM: Nei tuoi lavori non ci sono collegamenti evidenti con la montagna. Come mai hai scelto la festa di alpinismo molotov per presentare il nuovo spettacolo che stai scrivendo? Cosa puoi anticiparcene?

Slavina: Sono cresciuta in mezzo ai Sibillini. Uno dei miei nonni era originario di Pretare, una frazione di Arquata del Tronto (comune devastato dal terremoto del 2016) e ho passato lì tutte le estati dei primi anni della mia vita. La sagoma del monte Vettore come appariva da quel versante la potrei disegnare a memoria.
Io durante l’anno abitavo in un quartiere della periferia di Roma, ero una bambina di città e per me la montagna ha sempre significato non solo il contatto con la natura ma soprattutto la libertà di movimento. Essendo l’ambiente dei Sibillini il primo spazio in cui nella vita mi sono sentita libera ci tornavo sempre volentieri.
Poi 13 anni fa sono emigrata a Barcellona e pur tornando spesso in Italia il legame con quello che per me era un luogo vivo di memorie si è decisamente allentato. Poi il sisma ha distrutto la casa di famiglia e la relazione si è spezzata in maniera molto violenta. Mi era rimasta solo una ferita…
Allora quando ho saputo che la festa di Alpinismo Molotov si sarebbe tenuta sui Sibillini ho pensato che sarebbe stato bello tornare “a casa” potendo condividere con delle creature simili una storia che volevo raccontare da tanto tempo.
Perché il monologo che presenterò alla festa non è parte di nessuno spettacolo, almeno non ancora, ma è un esperimento di storytelling illustrato che sto preparando in collaborazione con Flaccidia [qui il suo blog], artista grafica originaria di Macerata con cui avevo voglia di lavorare da anni. Ed è bello e non casuale forse che dopo esserci cercate nel mondo riusciamo a ritrovarci alle radici, per raccontare una storia di donne libere delle/sulle montagne.

Slavina diciottenne a Pretare.

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08 Giu2017

Una piccola opera utile. Appunti sul Gran Pertus

8 Giugno 2017. Written by Redazione_am. Posted in Diverso il suo rilievo, Narrazioni

di Roberto Gastaldo

 

Sabato 3 giugno, all’interno di Diverso il suo rilievo, abbiamo effettuato un’escursione ai Quattro Denti di Chiomonte (che, come qualcuno ha notato durante la salita, non sono esattamente quattro, il nome è dovuto al fatto che in piemontese “quatr” si usa per “un po’ di”). Siamo stati piacevolmente stupiti dal numero dei partecipanti, siamo partiti in 94 per un’escursione di oltre 1000 metri di dislivello, alcuni hanno dovuto fermarsi lungo il percorso, ma 84 persone sono arrivate fino in cima, e questa, assieme ai commenti sentiti durante la discesa, è stata una grande soddisfazione. Il numero ha portato però ad una certa dispersione, in conseguenza della quale quando la coda del gruppo ha raggiunto il Gran Pertus la testa aveva già proseguito verso la cima, e così alcuni non hanno potuto ascoltare la storia di quell’opera. Per loro, per chi si era fermato prima e per chi proprio non era partito pubblichiamo qui gli appunti che sono stati letti.

Il nome ufficiale è “Trou de Touilles”, ma tutti lo conoscono come “Il Gran Pertus”, il grande buco. Fu scavato nel XVI secolo su richiesta degli abitanti di Cels, frazione di Exilles, e di quelli delle Ramats, frazione di Chiomonte, per portare le acque del rio Touilles sul versante exillese e chiomontino. Si dà per certo che esistesse già un acquedotto sospeso in legno che aggirava i Quattro Denti, ma era di scarsa portata e richiedeva molte spese di manutenzione, inoltre era utilizzabile nei soli mesi estivi. In anni precedenti si era già tentato di realizzare il traforo, ma l’impresa era stata abbandonata dopo pochi metri di scavo per i problemi che presentava. Fu Colombano Romeàn, un minatore nato a Ramats e che aveva lavorato tutta la vita in Francia, nel dipartimento del Gard, che tornando al paese natale ormai cinquantenne decise di riprenderla e concluderla. Ancora oggi l’opera idraulica viene indicata sulla cartografia con il toponimo di “Traforo Romean”.

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16 Mag2016

Appennino molotov, resistente e meticcio

16 Maggio 2016. Written by Redazione_am. Posted in Narrazioni

Si parla diffusamente, ma mai abbastanza, dell’importanza delle donne curde dello YPG in funzione anti ISIS. Non solo per il loro apporto materiale nella azioni di guerra ma anche per il ruolo simbolico e per la reazione che i soldati del califfato hanno nell’incontrare combattenti donne. Non deve essere stato molto diverso dal senso di sbigottimento e rabbia che i fascisti del Battaglione M IX Settembre (M stava per Mussolini, il 9 settembre perché si costituirono all’indomani dell’armistizio), impegnati nelle azioni antipartigiane nell’Appennino Centrale, provarono nel trovarsi di fronte partigiani “negri” sul suolo italiano. Perché questo avvenne nel corso della Resistenza sulle pendici del Monte San Vicino, nelle Marche.

Il "Gruppo Roti" (Archivio Famiglia Baldini)

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05 Mag2016

Sul Thabor. Un racconto

5 Maggio 2016. Written by Redazione_am. Posted in Narrazioni

di Yamunin

Partenza e arrivo:
Grange di Valle Stretta – Névache (Francia)
Quota di partenza: 1765m
Quota massima: 3178m
Dislivello: 1450m
Tempo di salita: 6 h

 

È una giornata d’estate. Il fine settimana lavoro in una pizzeria in cui accolgo i clienti, riempio boccali di birra e imparo a portare ai tavoli tre piatti per volta, con relativa pizza. Il lavoro va avanti fino alle due di notte, poi c’è la passeggiata notturna de-faticante con i miei cani. Il resto dei giorni è fatta di studio, passeggiate, ricerca di un nuovo lavoro, scrittura, lettura dei classici del giallo. Bunker, Le Breton, Manchette soprattutto. Crimine e montagna nel Piccolo blues di Manchette.

Una sera il circolo è interrotto da una telefonata di Diserzione:

– Ciao.
– Ciao, disturbo?
– Figurati, come va?
– … senti, che ne diresti di andare in montagna?
– Quando?
– Pensavo di andare sabato e…
– Sabato lavoro, scusa t’ho interrotto.
– Beh, ecco, c’è la mia ragazza che vuole andare a fare una camminata sul Thabor, di notte.
– Ah.

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