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10 Gen2017

Segnali di vita sul territorio. Riflessioni intorno a Requiem per un albero di Matteo Melchiorre

10 Gennaio 2017. Written by Redazione_am. Posted in Libri

di Filo Sottile

Avevamo una casa su un albero, un grande olmo
che sovrastava un terreno vuoto a Castle Rock.
Oggi in quel lotto c’è una società di traslochi,
e l’olmo è scomparso. Progresso.

Stephen King, Il corpo, in Stagioni diverse

 

1.

I tre prunus cerasifera atropurpurea di via Aldo Moro, Rivalta.

Al centro dell’inquadratura ci sono tre prunus cerasifera atropurpurea. Sullo sfondo, prato e condomini di edilizia popolare. Le case marroni, le case di via Aldo Moro. Ci ho vissuto per diciotto anni.

Ieri sera ho finito di leggere Requiem per un albero (Spartaco, 2007) e stamattina sono tornato qui. Il libro ritrae un’assenza, il suggello di un’epoca, l’incombere di un nuovo corso. I tre prunus hanno chiuso l’infanzia di tanti bambini e ragazzi delle case marroni. Requiem per un albero me li ha ricordati, sono venuto a fotografarli. Qui, in questo prato, prima che arrivassero loro, si giocava. Soprattutto a calcio.

A Rivalta c’erano proprio dei tornei fra case. Le case rosse, le case bianche, le case gialle, le case dei ferrovieri, le case di via Labriola, le case di via Brodolini. Ogni agglomerato condominiale aveva il suo campo (quasi sempre rettangolare e, in due casi fortunati, con le porte) e a turno ospitava le compagini delle altre case. Una roba informale, completamente organizzata dai ragazzi. Questo era il nostro campo. Le porte non ce le avevamo, ma le panchine ai due estremi erano al posto giusto. Prima della partita, il portiere saltava a piedi giunti con le braccia in su. Dove arrivavano le punta delle dita c’era la traversa. Più o meno.

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08 Nov2016

Si parte e si torna insieme. In cordata per un viaggio che non promettiamo breve

8 Novembre 2016. Written by Redazione_am. Posted in In cammino, Libri, Récit

Le bottiglie senza etichetta non ci sono mai piaciute!

La grafica realizzata per l’occasione da @inpuntadisella, inviata accompagnata da queste parole: «Le bottiglie senza etichetta non mi sono mai piaciute»

Durante il lungo, feroce periodo durante il quale ha scritto “Un Viaggio Che Non Promettiamo Breve”, Wu Ming 1 ha voluto coinvolgere in qualità di “lettore di prova” un’intera mailing list: quella che si raccoglie intorno a questo blog, nato dalle costole di un’altra sua opera solista, “Point Lenana”, e battezzato “ufficialmente” con la  salita (e discesa) del Rocciamelone, raccontata nel récit #AlpinismoMolotov. No Picnic on Rocciamelone.

Probabilmente è la prima volta che una mailing list viene usata in questo modo, ma ci importa fino a un certo punto: si possono scalare vie sulle montagne anche senza preoccuparsi se qualcuno ci sia passato prima. È vero che non abbiamo trovato chiodature precedenti, ma non si può mai dire. L’importante è che sia stato bello, e lo è stato molto.

In occasione dell’uscita del libro abbiamo pensato di accatastare qui di seguito, un po’ alla rinfusa, alcuni passaggi di scambi elettropostali che, visti guardando indietro, ci sembrano più significativi, e alcuni commenti a lavoro finito di chi pensava di poter dire qualcosa su questo libro.

I nomi e le date non contano, quindi abbiamo deciso di non metterceli.

Siamo tutti complici, si parte e si torna insieme.

*

“Questo glielo scrivo o evito?” Per settimane questo è stato il leitmotiv. Quasi ad ogni ricezione di una nuova sezione di “un viaggio che non promettiamo breve” si riaccendeva il ricordo di un episodio che aveva a che fare con quel capitolo. A volte era un episodio importante, e allora la risposta era facile, altre volte era qualcosa di non fondamentale, un episodio relativo ad un ‘ramo secco’ che non aveva portato nulla all’esito finale degli eventi, e allora la domanda si riproponeva “Glielo mando o lo risparmio?” Perché poi era chiaro che il rischio era quello, che con tutta la mole di materiale che già era condensato in quelle pagine ogni goccia fosse quella che l’alambicco lo faceva non traboccare ma esplodere.

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27 Ott2016

Un metro quadro di natura. Recensione de La foresta nascosta

27 Ottobre 2016. Written by Redazione_am. Posted in Libri

di Filo Sottile

La foresta nascostaIeri un’amica mi ha raccontato che sua figlia, sette anni, ha celebrato in classe l’arrivo dell’autunno. Le hanno dato una scheda prestampata con una foglia d’acero, una castagna, una zucca di Halloween e l’indicazione di colorare senza uscire dai margini.
«Il giardino della scuola – mi dice l’amica – è pieno di alberi e nel parco lì vicino ci sono gli ippocastani, non era meglio mettere la giacca ai bambini e far loro scoprire l’autunno all’aria aperta?»
L’esperienza del mondo naturale è continuamente ostacolata da filtri che, con o senza il nostro consenso, vengono frapposti.
La foresta nascosta, un anno a osservare la natura di David George Haskell (Einaudi, 2014) è un invito potente a riappropriarsi del tempo della contemplazione diretta, non mediata. Un tempo in cui affinare i nostri sensi, plasmati per fiutare l’odore della terra fertile e riconoscere i frutti sulle piante, mica solo gas di scarico e luce al neon. Un tempo di conoscenza di noi stessi e del mondo, un tempo dedicato alla bellezza.

La foresta nascosta è un oggetto narrativo non identificato, un diario che raccoglie un anno di osservazioni di un singolo metro quadro di foresta primaria nel Tennessee. Ogni incontro, accidente, mutamento apre scenari in cui l’aspetto divulgativo, quello lirico, filosofico ed ecologico sono strettamente connessi. Haskell per esempio, seguendo le orme di un cervo, ci conduce a considerare l’assenza di profondità storica di certe analisi ambientali, e ancora più in là, con il viatico delle intuizione di Darwin, a riconoscere la stazza di un bradipo gigante nella conformazione degli agrifogli e degli spini di Giuda.

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11 Gen2016

Everest 1996 e Anatolij Bukreev. Un hasard objectif molotov

11 Gennaio 2016. Written by Redazione_am. Posted in Libri

di Mr Mill

 

Ci sono eventi che diventano perno per una molteplicità di narrazioni, sia per stile che per punti di vista. Quando si tratta di eventi tragici avvenuti in montagna spesso quel che si legge tra le righe dei primi resoconti giornalistici ha il tono sensazionalistico, per poi virare su quello scandalistico nel momento in cui si procede nel tentativo di individuare il fattore unico e determinante – magari nella carne e nelle ossa di un o un’alpinista – della tragedia, in un giochetto che ha poco senso giacché si svolge tutto ex-post. Arrivano poi le ricostruzioni più circostanziate, scritte da chi è in possesso degli strumenti conoscitivi minimi per interpretare fatti che si sono svolti in situazioni e luoghi di cui non tutti hanno conoscenza, né diretta né, spesso, nemmeno mediata (escludendo i superficiali articoli di cronaca di cui sopra). I protagonisti coinvolti in prima persona in uno di questi eventi forniranno da subito materiale per l’elaborazione di queste prime – e già tra loro eterogenee – narrazioni sotto forma di interviste o dichiarazioni, ma solo con il passare del tempo arriveranno a proporne un personale racconto completo. Per ultime capita che vengano prodotte narrazioni in cui l’evento d’origine diviene un semplice pretesto per la costruzione di una narrazione che sappia sedurre il gusto del grande pubblico, in cui le ragioni conoscitive vengono annullate e la complessità mistificata.

Le narrazioni di quel che accadde nel maggio 1996 durante la discesa dall’Everest da parte di tre spedizioni commerciali, in cui persero la vita tre alpinisti, ben rappresenta la dinamica sopra descritta. Nell’arco di poco tempo su Alpinismo Molotov sono state pubblicate due recensioni che riguardano diverse narrazioni di quei tragici fatti: quella del film Everest scritta da Martina Gianfranceschi (qui) e quella proposta da Roberto Gastaldo del best-seller firmato dal giornalista-scrittore-alpinista Jon Krakauer dal titolo Aria sottile (qui). Niente più di un caso, in Alpinismo Molotov non era stato programmato di affrontare questi diversi punti di vista a riguardo dei fatti che si svolsero oramai 20 anni fa nella zona della morte sull’Everest. Allo stesso modo io non avevo programmato la lettura della ricostruzione da parte di Anatolij Bukreev – che fu una delle guide di una delle tre spedizioni coinvolte nei fatti – scritta a quattro mani con il giornalista Gary Weston Dewalt. L’essermi trovato tra le mani questo libro – dal titolo Everest 1996 – non ho potuto non interpretarlo come un hasard objectif molotov e pertanto, senza attesa, l’ho letto di gran lena. E ora ne scrivo.

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30 Nov2015

L’Aria Sottile dell’Everest. Sul libro di Jon Krakauer

30 Novembre 2015. Written by Redazione_am. Posted in Libri

di Roberto Gastaldo

 

Aria Sottile Jon KrakauerHo deciso di leggere Aria sottile dopo aver visto il film Everest ed essermi trovato perfettamente d’accordo con la recensione pubblicata qualche settimana fa su Alpinismo Molotov. Mi è venuta voglia di leggerlo perché si intuiva che, affogati nella lattiginosità hollywoodiana, c’erano pezzi di sostanza totalmente diversa, ben più consistenti ed interessanti; ho messo alla prova l’intuizione e ne sono contento, perché  Aria sottile è uno splendido racconto, con tanti punti di forza e pochi punti deboli. Qui di seguito proverò a descrivervi gli uni e gli altri, cercando di rovinare il meno possibile la lettura, anche se è impossibile evitare del tutto gli spoiler.

Aria sottile, così come Everest, racconta la spedizione che portò all’evento conosciuto come “disastro dell’Everest”, spedizione di cui Krakauer faceva parte. Va evidenziato che il libro nasce come estensione di un già ampio reportage pubblicato sulla rivista Outside commissionato prima degli eventi e che era la ragione stessa della presenza dell’autore sul posto.

Il primo punto di forza del romanzo è che, al contrario del film, appare scritto con la volontà di spiegare la dinamica dei fatti. Nel film in tutta la giornata cardine della vicenda ci sono solo tre luoghi riconoscibili: il campo 4, la vetta e l’Hillary Step. In ogni occasione in cui i protagonisti si trovano in un punto diverso risulta difficilissimo capire dove siano e spesso anche identificarli nei vortici di neve non è agevole, mentre nel libro la trama scorre molto più comprensibile, per quanto possibile data la situazione caotica e la difficoltà dei testimoni a ricordare lucidamente quegli eventi. Come racconta l’autore:

Durante la fase di documentazione chiesi ad altre tre persone di raccontare un incidente a cui avevamo assistito tutti e quattro in cima alla montagna, e non riuscimmo a raggiungere un accordo neppure su fatti essenziali come l’ora, le parole che erano state pronunciate, o addirittura l’identità dei presenti.

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30 Ott2015

Lo zaino dello storico ambientale: Le montagne della patria di Marco Armiero

30 Ottobre 2015. Written by Redazione_am. Posted in Libri

di Filo Sottile e Mr Mill

 

Le montagne della patria.«Non portare via un sasso dalla Toscana, altrimenti la Toscana muore»: è l’allarme affranto e paradossale di Maurizio Crozza, fra le tracce di Cicciput [1]. «Chi viene in Toscana  – dice invece Marco Armiero nella premessa a Le montagne della patria. Natura e nazione nella storia d’Italia (Einaudi, 2013) – si aspetta di vedere oliveti e filari di viti con un campanile sullo sfondo, uno scenario naturale dove la quota di ciò che è antropico è in ogni caso molto alta».

Presenze complementari – il sasso e il frantoio, i colli e i vigneti – sono elementi che con pari importanza contribuiscono a definire quel dato paesaggio.

La Toscana è un pretesto. Ogni luogo, in quest’ottica, diventa un’intersezione di tensioni ecologiche, culturali, politiche, geologiche. Nessun luogo frequentato dall’uomo è naturale, così come non esistono questioni umane del tutto esenti dal dato ambientale.

C’è un altro aspetto:

«Capire la natura nelle nostre teste è altrettanto importante che capire la natura intorno a noi, perché l’una modella e filtra senza posa il modo in cui percepiamo l’altra».[2]

La natura può essere compresa solamente tenendo conto del rapporto di forte interdipendenza fra questa e la cultura di chi la racconta, che varia sia temporalmente che spazialmente.

L’Italia è un paese accidentato: percorsa in longitudine dagli Appennini, coronata dall’arco alpino, frazionata da valli, massicci e guglie. Non si può prescindere da questi elementi fisici per parlarne. La montagna è parte costitutiva dell’idea stessa di Italia. Per quanto le montagne siano lì, imponenti nella loro mole, apparentemente immutabili ai nostri occhi, il solo osservarle già implica una continua risignificazione.

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