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28 Mag2021

Siamo percorsi. I “Sentieri Migranti” e la pratica di calpestare i confini

28 Maggio 2021. Written by Redazione_am. Posted in Libri

Nel marzo scorso è stato pubblicato il nuovo libro di Alberto “Abo” Di Monte, nostro compagno di scarpinate, siano queste una serie di passi o cordate di parole. Il libro arriva a chiudere una tetralogia “anomala”, composta da narrazioni dedicate ai rilievi montuosi (in maniera esclusiva o parziale) e a chi, a diverso titolo, ne ha fatto esperienza.
Esperienza che va intesa qui – come scrive Stefania Consigliere nel suo Favole del reincanto – come «conoscenza della trasformazione», ricordando che allo stesso modo, viceversa, «non c’è conoscenza che non sia trasformativa»; tutt’altra cosa rispetto a quel marketing esperienziale impegnato a colonizzare le menti, anche quando i nostri corpi salgono di quota lungo i sentieri, e che è uno strumento della totalizzazione dei regimi immaginari (ancora Consigliere) perseguita dalla modernità e dal capitalismo neoliberale.
Una tetralogia, dicevamo, aperta con Sentieri proletari. Storia dell’Associazione Proletari Escursionisti, pubblicato nel 2015, un libro attorno al quale ai tempi intervistammo l’autore e che fu poi – l’intervista – uno dei primissimi post di Alpinismo Molotov.

Sentieri migranti. Tracce che calpestano il confine – questo il titolo della recente pubblicazione per Mursia – parla di migranti e della incomprimibile necessità di movimento dei corpi, e lo fa dal punto di vista situato di chi si oppone a quel dispositivo di controllo politico e sociale che sono i confini, linee immaginarie che si materializzano nella violenza agita dallo Stato-nazione in ostacoli alla libertà di movimento. Non a caso il sottotitolo del libro richiama alla mente un’azione che si svolse a inizio 2018 – Calpestiamo il confine! – tra Ventimiglia e Mentone, organizzata da Ape Milano (di cui Abo è un infaticabile animatore) e dal Collettivo alpino zapatista.

Nelle parole dell’autore, «il testo racconta cinque tracce, disseminate per l’intero arco alpino, lungo le quali muovono i propri passi le persone migranti irregolarizzate e in cerca di un futuro non ancora scritto.»

In questi anni, su questo blog ma anche per le strade o lungo i sentieri, abbiamo dedicato attenzione e più di un contributo a queste tracce che attraversano le catene montuose, disvelando di quest’ultime il loro essere cerniera anziché spazi separatori come vengono perlopiù rappresentate nel discorso pubblico. Tornare a chiacchierare con Abo su questo suo nuovo libro è stato un passo conseguente al discorso costruito fino a oggi.

Buona lettura.

***

AM: Iniziamo con uno visuale panoramica: come è nato il libro e come hai lavorato, chi ti ha aiutato, con chi hai collaborato?

Abo: Ci sono due possibili risposte a questa domanda. Da una parte il lavoro che ho fatto si compone di letture, tanta rassegna stampa, e soprattutto tantissimo cammino, appunto quel reiterato e incessante andare avanti e indietro per alcuni di questi sentieri, in parte tutt’ora utilizzati, in parte ampiamente sfruttati nei dieci anni che ci separano dall’inizio delle primavere arabe. È stata un po’ anche la mia personale liberazione, diciamo così, dalla fase uno del lockdown eccetera: ritagliarmi via via che era possibile i fine settimana per prendere al volo un treno (perché quasi tutto è stato fatto in sella agli interregionali) per raggiungere appunto i confinali.

L’altra possibile risposta, anche se è più intimista e forse meno interessante per voi, appare con chiarezza nella mia testa: questo è il quarto libro che ho fatto con Mursia editore e mi piace immaginarla un po’ come una tetralogia. Anche se non lo è in senso pieno, c’è però qualcosa di tutti i tre testi precedenti dentro questo. Il primo – quello dedicato alla storia dell’A.P.E. – si chiamava Sentieri proletari. Se una storia del ‘900 aveva per titolo Sentieri proletari, una storia ambientata nel nostro presente poteva portare nell’intestazione, appunto, Sentieri migranti. Al sottotitolo (Tracce che calpestano il confine, ndr) il compito di chiarire il resto.

Il secondo testo della serie narrava invece di sport popolare (Sport e proletariato. Una storia di stampa sportiva, di atleti e di lotta di classe, ndr) e stampa sportiva. Ogni volta che mi è capitato di presentarlo – o comunque di ragionarci sopra – mi sono sempre sorpreso a soffermarmi sul racconto di questi italiani che sul colle del Frejus – migranti della classe meno abbiente – perdevano la vita affrontando una bufera senza i mezzi necessari. In uno dei numeri del settimanale c’era questo articolo di denuncia che riprendeva un rotocalco francese sull’assurdità che in tempi così moderni, quali erano quelli del 1923, ci fossero ancora persone che, per il solo fatto di non avere i documenti in regola, affrontavano le Alpi tra quei pericoli nonostante tutte le possibilità, l’offerta diciamo tecnica e scientifica, a cui si era arrivati all’indomani del primo conflitto mondiale e per la precisione novantotto anni fa.

L’ultimo volume, apparentemente più distante e in altra misura più prossimo, è appunto La via del sale. Un testo che tratta di un cammino di più giorni, di viandanza e di una postura, diciamo così, distante da un approccio turistico anche nelle sue versioni dolci, e orientato più al tema di una nuova scoperta di un passato di commercio lungo mulattiere oggi celato tra le fronde.

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07 Apr2021

Camminare con lentezza, in continuità con le lotte. Torna Il sentiero degli dei

7 Aprile 2021. Written by Redazione_am. Posted in Libri

Guarda il disegno qui a lato. C’è un grande cantiere incassato tra le montagne. È il cantiere di una galleria, un tunnel ferroviario: ci sono treni sulle rotaie. Due cisterne di chissà cosa, di quelle che da Viareggio in poi ti fanno paura, figurati cacciate in un tunnel sotto una montagna. Ma almeno non si vedono vagoni passeggeri, quindi forse è una linea merci.

In primo piano, in ombra, un tizio con uno zaino da montagna, piuttosto grosso. Si indovinano sacco a pelo e tazza di metallo. Probabilmente il tipo sta fuori più giorni e si trova a passare alto sul cantiere, del quale sembra perplesso, forse preoccupato.

Secondo te dov’è questo posto? Proviamo a indovinare, non è difficile: Chiomonte, il cantiere “della TAV”, così è ormai per tutti, anche se ora si chiama “il TAC” ed è soprattutto una linea merci, o quantomeno quello è il pretesto per scavare. Il sentiero è uno dei non molti che si inoltrano in Val Clarea, frequentata da pochi perché, almeno a quote medio basse, è ripida, buia, molto dislivello, zero turismo.

Invece no: come vedi qui sotto è la copertina di un libro, un libro fondamentale per andare in montagna cercando di capire qualcosa, di guardare e non solo vedere: Il sentiero degli dei. Un racconto a piedi tra Bologna e Firenze. Questa è la nuova edizione aumentata, come spiegato qui dal suo autore Wu Ming 2.

Si tratta di un oggetto narrativo non identificato che parla di montagne, per questo su Alpinismo Molotov desta (rinnovato) interesse e ne segnaliamo la nuova edizione. Ma ci interessa anche perché, seppur se non parla di Chiomonte come l’immagine di copertina ci ha portato a immaginare, contribuisce a capire quel cantiere e tutti i cantieri in opera – o in programma – che nel nome delle “grandi infrastrutture” avveleneranno montagne, colline o pianure e ne sfregeranno indelebilmente i paesaggi, aggrediranno ecosistemi delicati o porteranno il colpo di grazia a quelli già duramente messi alla prova dell’antropizzazione a colpi di colate di cemento. Racconta un disastro compiuto e quindi spiega i disastro in atto. Racconta il futuro.

Realisticamente non sarà questo libro a farci vincere, come nessun altro. Non basta un grande editore e la sua capacità di distribuzione, non basta che lo leggano in tanti. Occorre anche altro, ma quell’altro cresce anche con i libri. E che si vinca o si perda, servirà in ogni caso per ricordare negli anni a venire, con la giusta dose di insanabile rancore, l’accanimento feroce del sistema che reitera a fotocopia le stesse porcate.

 

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18 Feb2020

Partigiani d’Oltremare, ribelli della montagna

18 Febbraio 2020. Written by Redazione_am. Posted in Libri

Da alcuni giorni nelle librerie è finalmente disponibile Partigiani d’Oltremare. Dal Corno d’Africa alla Resistenza italiana di Matteo Petracci. È una notizia che apprendiamo con grande piacere, non solo perché tracce di questo libro sono impresse nell’edizione 2018 della nostra festa “Diverso il suo rilievo” – che in quell’anno si tenne sull’altipiano di Macereto, nelle Marche –, quando Matteo accompagnò con le storie che sono ora raccolte nelle pagine di questo volume un’escursione (per la precisione, due escursioni: una di sabato e una di domenica) a passo oratorio; ma soprattutto per le emozioni che Matteo e quelle storie narrate ed evocate riuscirono a imprimere durante quelle giornate e che, con la pubblicazione del libro, oggi potranno essere vissute da un pubblico più vasto.

Le vicende di questi africani che combatterono il nazifascismo in provincia di Macerata, su declivi a portata di vista dall’altipiano di Macereto, sono un caso esemplare di una chiave interpretativa della resistenza armata al nazifascismo che è stata erroneamente sottovalutata, quella di una Resistenza «italiana» che fu multietnica, creola, internazionalista e migrante. Questa interpretazione in una certa misura va beneficamente a contaminare e “sporcare” quella essenzialista della “purezza della Montagna”: se le montagne sono state spazi – geografici e sociali – di resistenza alle forme di dominio succedutesi nei secoli, non possono che esserlo state perché luoghi di attraversamento, d’incontro e di conflittualità. Spazi dalle increspature ruvide, così come la resistenza al nazifascismo in Italia è tutt’altra cosa che una narrazione liscia e compatta, come vorrebbero sia l’ondata revisionistica che la retorica monumentalizzante.

Partigiani d’Oltremare è scritto da uno storico con strumenti e metodi propri della storiografia, ma Matteo Petracci non si è limitato a questo: a seguire la ricostruzione storica delle vicende di questi liberatori d’Oltremare, nel volume sono presenti tre epiloghi – Tutti a casa, o quasi; Il corpo di un caduto; La figlia di un superstite – dal piglio più narrativo in cui viene raccontato quali stuporosi incontri possono nascere da un percorso di ricerca che rappresenta, fattivamente, un caso di fare storia attivo e partecipativo.

E a conferma di questa tensione segnaliamo la proposta di due appuntamenti per ripercorrere il cammino che i partigiani d’Oltremare, dopo la fuga da Villa Spada di Treia, percorsero per raggiungere l’abbazia di Roti, base dei ribelli sul Monte San Vicino: dal 30 aprile al 3 maggio e dal 10 al 13 settembre, accompagnati (dalle storie e dalle parole di) Matteo Petracci e Wu Ming 2. Per chi volesse partecipare, tutte le informazioni si possono trovare qui.

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04 Feb2019

Libertà.
Un racconto di Francesca Schiavon

4 Febbraio 2019. Written by Redazione_am. Posted in Libri

Alpinismo Molotov in questi anni ha cercato di raccontare una montagna altra da quella che si legge di solito sui media mainstream e sulle riviste specializzate. Una montagna che è allo stesso tempo rifugio e prigione, cerniera e frattura, terreno da colonizzare e sfruttare, crogiuolo di nuove alleanze. Le vicende individuali e collettive degli esseri umani e degli altri viventi che la abitano per essere lette in un’ottica diversa devono essere osservate da punti di vista obliqui, inaspettati.

È uscita di recente altri.immaginari, antologia dei differenti modi di godere (Golena, 2018), una raccolta di racconti di autrici, autori, autoru transfemmist* e queer. Libertà è il titolo del contributo di Francesca Schiavon. Il suo racconto percorre un crinale, una via incerta e farraginosa, ma con il passo di chi sa immaginare l’azzardo dei passaggi pericolosi.

Libertà racconta allo stesso tempo una vicenda di montagna e di resistenze, sì, al plurale. È ambientato in montagna, nelle fasi conclusive della Guerra civile spagnola, e l’io narrante è ispirato a Teresa, Florencio, Durruti, la Pastora – questi i nomi con cui è stat* conosciut* –, una combattente antifranchista realmente esistita.
Francesca, che in montagna ci vive davvero e ha una piccola casa editrice, ci ha concesso di ripubblicarlo qui integralmente.

Buona lettura.

Libertà

Francisco aveva di nuovo l’espressione di un lupo impazzito. Guardava un punto imprecisato a mezz’aria, beveva a piccoli sorsi dal bicchierino scheggiato la grappa che lui stesso aveva distillato da non so quali scarti della cucina. Io non ne sopportavo nemmeno l’odore, sembrava alcol misto a sudore e cattiveria. E sconfitta. Eravamo nascosti da settimane in una grotta buia, in mezzo alle montagne più inospitali della Spagna, da soli, io con la mia pazienza di pastora, lui con la sua frustrazione di guerriero. Eppure non ci avevano ancora presi, la Guardia Civil non aveva né gambe né coraggio per braccarci fin lassù. Eravamo razziatori impietosi, predatori imprevedibili, affamati, rabbiosi e stanchi oltre ogni limite umano. Tanto che ogni giorno mi chiedevo quale fosse il senso della parola umanità e fino a che punto lo avessimo sovvertito e stravolto. Gli ideali per i quali eravamo finiti lassù erano come affissi su una parete invisibile e, anche se non li vedevamo, li avevamo sempre presenti nella testa, fin dentro agli occhi. Grazie a quegli ideali e ai compagni con i quali li avevamo condivisi avevo imparato a leggere. Non so com’è imparare a leggere quando sei un bambino piccolo, per me, che ho cominciato a vent’anni, è stato come nascere di nuovo e le parole dei libri le cui pagine lentamente decodificavo mi si sono ficcate nella testa con tutta la loro potenza, con il colore, la forma, con tutte le virgole e gli a capo. Non mi lasciano mai.

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16 Gen2019

Quello che si è arrotondato sfregando.
#AlpinismoMolotov Live: La via del sale

16 Gennaio 2019. Written by Redazione_am. Posted in Libri

L’azione del sale è duplice: corrode e conserva. Nel corso dei secoli scie di cloruro di sodio si sono depositate sui crinali, nei boschi e nelle valli e hanno scavato vie e mulattiere, e le hanno in qualche modo preservate. Questo complesso di percorsi ha preso il nome di Via del Sale.

Alberto “Abo” Di Monte, geografo, webmaster, appassionato escursionista, indagatore delle vicende dell’Associazione Proletari Escursionisti, insieme a Luca Chiaudano e Roberto Maggioni, nel giugno 2015 l’hanno percorsa (qui il loro istant blog).

Pochi mesi fa è uscito La via del Sale. Un sentiero lungo mille anni (Mursia, 2018) che non solo racconta quell’esperienza (focalizzandosi in particolare sulla rotta Varzi-Camogli), ma ricostruisce in un quadro storico-geografico quanto il sale abbia segnato l’esperienza umana e i territori attraversati.

Venerdì 18 gennaio ne parleremo dal vivo con l’autore e, così come la via del sale non può definirsi un sentiero lineare, anche noi promettiamo deviazioni.

L’appuntamento è al CSOA Gabrio, vi a Millio 42, Torino.

Ore 19,30: aperitivo mangereccio.
Ore 21,00: presentazione.

 

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18 Dic2018

L’umanità e la franchezza. Scrivere oggi di montagna
di Matteo Melchiorre

18 Dicembre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Libri

A maggio del 2018 è stato pubblicato da Priuli & Verlucca Mario Rigoni Stern. Un uomo, tante storie, nessun confine, un volume che raccoglie gli atti del convegno che si tenne nel 2015 ad Asiago, convegno dedicato, appunto, alle opere e alla figura di Mario Rigoni Stern.
È superfluo qui presentare Mario Rigoni Stern, va però sottolineato che le sue opere hanno segnato la scrittura sulla montagna del Novecento italiano e che forte era il rapporto di Rigoni Stern con la montagna. Un legame che era uno dei fattori che contribuì all’amicizia con due altri fondamentali autori, Primo Levi e Nuto Revelli.

Nel volume dedicato a Mario Rigoni Stern edito da Priuli & Verlucca troviamo anche alcuni testi inediti dato che, come è riportato nella scheda del libro, «il convegno ha avviato nuovi dialoghi sull’opera e la figura dello scrittore, aperti a possibili sviluppi di ricerca, in prossimità di quello che sarebbe stato il suo novantasettesimo compleanno e a ridosso del decimo anniversario della morte.»
Sulla stessa scheda del libro si legge che gli inediti pubblicati sono tre, ma ce n’è un quarto ed è quello che in particolar modo ha attirato la nostra attenzione: si tratta di un contributo appositamente scritto, a inizio 2018, per la pubblicazione nel volume in questione da Matteo Melchiorre – nostro ospite a Diverso il suo rilievo 2017 per presentare il suo La via di Schenèr. Un’esplorazione storica nelle Alpi, già autore di Requiem per un albero, di La banda della superstrada Fenadora-Anzù (con vaneggiamenti sovversivi) e del più recente Storia di alberi e della loro terra (che abbiamo presentato in una serata #AlpinismoMolotovLive).

Il contributo di Melchiorre si sviluppa come una estensione del discorso portato avanti nella sua produzione narrativa – incentrata sulle peculiarità della società contemporanea al di sopra di una certa quota altimetrica –, caratterizzata da rigore, eleganza e franchezza: un sapiente far ruotare storia e geografia l’una sull’altra alla ricerca, in profondità, delle ragioni di medio e lungo periodo del mutamento sociale dentro i fatti che si svolgono nel breve periodo. Una ricerca incomoda, in primo luogo per chi la conduce, e severa, che prova a sottrarsi ai cliché e ai pregiudizi accomodanti quanto confortanti anche per i lettori e le lettrici.
Il contributo, intitolato L’umanità e la franchezza, nello specifico, verte «sullo scrivere oggi di montagna» ed è uno strumento prezioso: ci aiuta a essere consapevoli del carattere colonialista nella rappresentazione storicamente stratificata delle alture, offre una prospettiva critica per confrontarsi con quella piccola rinascita della letteratura di montagna, non legata al milieu della letteratura alpinistica, che si è registrata negli ultimi anni e che ha portato la narrazione delle montagne a trovare spazio nelle scansie “alte” delle librerie.

Per tutte queste ragioni, abbiamo deciso – in accordo con l’autore Matteo Melchiorre e con il consenso alla pubblicazione di Priuli & Verlucca, che ringraziamo – di pubblicare questo contributo sul nostro blog.

 

L’umanità e la franchezza. Scrivere oggi di montagna

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Credo sia utile, se non addirittura necessario, dichiarare per quali ragioni io mi prenda il lusso di dire la mia sul conto di un tema, le scritture di montagna, e sul conto di uno scrittore, Mario Rigoni Stern, rispetto ai quali dovrei soltanto togliermi il cappello, fare un inchino e lasciare la parola a quanti abbiano strumenti più raffinati dei miei.
Sono un semplice lettore che ha trovato nei libri di Rigoni Stern molto di che riflettere e da imparare. Non sono né un critico letterario, né un filologo, né uno studioso di letteratura italiana del Novecento. Il mio mestiere è quello dello storico. Mi occupo di tardo Medioevo.
Frugo negli archivi, intrattenendomi ben volentieri con carte e documenti. Negli ultimi anni mi sono dedicato abbastanza regolarmente a ricerche storiche relative alla montagna.
Da più parti, però, mi vien detto che sono uno storico recalcitrante in quanto scrivo, oltre a monografie scientifiche e a saggi storici su riviste del settore, libri che hanno un loro specifico taglio narrativo. Non sono affatto autore di romanzi storici nel senso classico del termine (genere che peraltro mi convince pochissimo). Mi limito a scrivere di storia lasciando spazio alla componente intrinsecamente narrativa che dà alimento alla ricerca storica. Sarà per questo, perché scrivo narrativa occupandomi di questioni storiche, che alcuni lettori dei miei libri ritengono che io sia, più che uno storico recalcitrante, uno scrittore recalcitrante. Vai a sapere da che parte sia giusto guardarla.
C’è anche un’altra cosa, tuttavia, necessaria a inquadrare il mio interesse per la montagna e per i libri di Mario Rigoni Stern. Abito a Feltre da pochi mesi, ma in precedenza ho vissuto in paesi situati ai piedi del Monte Tomatico. Paesi piccoli, con i boschi tra i piedi e le montagne tutto intorno. Sono per questo un montanaro? Non saprei dirlo. Se essere un montanaro significa abitare ai piedi o sulle coste delle montagne e avere pratica più o meno quotidiana con boschi, legname, orti, animali domestici o selvatici, gente rustica, sentieri e via dicendo, allora sì: sono un montanaro.
Sono però convinto che l’altitudine conti non poco nel rilascio di una patente di montanaro. Ci sono vari tipi di patente. Quella di «montanaro di prima classe», a quanto ne so, viene normalmente rilasciata a quanti vivano stabilmente dagli 800 metri di quota in su. Per quelli che, come me, vivono in zone montane ma fra i 350 e i 450 metri sul livello del mare non può essere rilasciata che una più modesta patente di «montanaro di seconda classe».
Una patente di montanaro di seconda classe. Ricerche storiche di argomento alpino. Curiosità nell’esplorazione delle potenzialità della scrittura narrativa.
Sono questi tre fattori che mi hanno messo a confronto con le opere di Rigoni Stern. All’inizio sono state le letture discontinue effettuate tra i quindici e i venticinque anni, letture più o meno sbocconcellate e mediate dalle istituzioni scolastiche. Nella primavera dell’anno scorso, tuttavia, ho pensato di dedicarmi alla rilettura sistematica dei libri di Rigoni Stern, cogliendovi un paio di aspetti che negli anni precedenti avevo potuto appena intuire.

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