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15 Nov2022

Il diamante scomparso.
Dove ghiaccio e acqua non ci sono più: ricognizioni e appunti

15 Novembre 2022. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

– È il diamante più grande del mondo.
– No, – corresse lo zingaro. – È ghiaccio.

 Gabriel Garcia Marquez – Cent’anni di solitudine

 

È un’estate, quella del 2022, che sembra non finire mai. Nella seconda metà di ottobre è finalmente arrivata un po’ di pioggia, ma con temperature ben sopra la media e in ogni caso non sufficiente a colmare la carenza idrica dei mesi precedenti. Le gare di Coppa del Mondo di Sci, previste nel comprensorio Cervinia Zermatt a fine ottobre sono state annullate per impraticabilità di campo. E una manifestazione legata agli sport invernali che viene annullata perché, di fatto, manca l’inverno, ci sembra emblematica. Allo stesso modo non ci è sembrato tardi raccogliere e dare forma a una serie di osservazioni e di immagini che ci siamo scambiat* nel collettivo nei mesi scorsi, in seguito alle nostre uscite durante la cosiddetta “bella stagione”.

***

18 giugno 2022
Salita in giornata con la prima funivia, condizioni molto secche tipo fine agosto. Temperature tropicali già dal primo mattino. Pendio di salita in ghiaccio fino a 3800m circa, dopo un pochino di neve è ancora presente.

3 luglio 2022
Partiti con la prima funivia da Staffal ore 7/30.
Le condizioni del ghiacciaio sono da fine agosto. Molti crepacci aperti, pozzanghere e rigoli d’acqua che scendono copiosi.

3 luglio 2022
Oggi il meteo è stabile, ma rispetto a un mese fa la situazione neve si è stravolta, il ghiacciaio di Bors era un lenzuolo bianco, senza un segno, ora è per metà pietrame, l’altra metà e grigio e con crepi…

Simonetta: Queste sopra sono tre relazioni di salita alla Punta Giordani: lungo la via normale la prima e la terza, la seconda lungo la Cresta del Soldato, pubblicate su Gulliver.it e su On-ice, prima che io arrivassi in zona, il 10 luglio 2022. La punta Giordani, che rientra nell’elenco dei Quattromila delle Alpi, è in effetti una spalla della Piramide Vincent al Monte Rosa, una salita estremamente facile, che viene spesso percorsa da chi per la prima volta si avvicina all’alta quota.
Appena scesa dalla funivia, guardo la via di salita e ci metto più di un attimo a riconoscerla. Non c’è più traccia di neve. Striature di ghiaccio nero, crepacci visibilmente aperti, ruscelli che ci scorrono sotto i piedi mentre ci dirigiamo verso la Capanna Gnifetti. L’Isola di roccia si è sensibilmente allargata. La via normale è costellata di sassi, in un modo che mi ricorda l’Etna dopo un’eruzione. In queste condizioni, sarebbe più corretto dire che non esiste più una via normale.
Salii per la prima e unica volta alla Punta Giordani lungo la normale nell’estate 2014. Un’estate  assai piovosa preceduta da un inverno ricco di neve. Le condizioni erano talmente buone che nemmeno ci legammo, tutti i crepacci erano chiusi. In quella stessa stagione salii a metà settembre la capanna Margherita. Anche in quel caso fu una salita quasi senza storia, copertura nevosa ancora buona, nessun crepaccio, temperature molto basse.
Può sembrare un atto di egoismo o semplicemente fuori luogo andare in quota in una stagione del genere. Eppure avevo bisogno di legarmi ancora a una corda, di infilare i ramponi, di essere sicura che uno degli ambienti che amo di più al mondo esistesse ancora.

Via normale alla punta Giordani – Luglio 2014 vs. luglio 2022

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28 Mag2021

Siamo percorsi. I “Sentieri Migranti” e la pratica di calpestare i confini

28 Maggio 2021. Written by Redazione_am. Posted in Libri

Nel marzo scorso è stato pubblicato il nuovo libro di Alberto “Abo” Di Monte, nostro compagno di scarpinate, siano queste una serie di passi o cordate di parole. Il libro arriva a chiudere una tetralogia “anomala”, composta da narrazioni dedicate ai rilievi montuosi (in maniera esclusiva o parziale) e a chi, a diverso titolo, ne ha fatto esperienza.
Esperienza che va intesa qui – come scrive Stefania Consigliere nel suo Favole del reincanto – come «conoscenza della trasformazione», ricordando che allo stesso modo, viceversa, «non c’è conoscenza che non sia trasformativa»; tutt’altra cosa rispetto a quel marketing esperienziale impegnato a colonizzare le menti, anche quando i nostri corpi salgono di quota lungo i sentieri, e che è uno strumento della totalizzazione dei regimi immaginari (ancora Consigliere) perseguita dalla modernità e dal capitalismo neoliberale.
Una tetralogia, dicevamo, aperta con Sentieri proletari. Storia dell’Associazione Proletari Escursionisti, pubblicato nel 2015, un libro attorno al quale ai tempi intervistammo l’autore e che fu poi – l’intervista – uno dei primissimi post di Alpinismo Molotov.

Sentieri migranti. Tracce che calpestano il confine – questo il titolo della recente pubblicazione per Mursia – parla di migranti e della incomprimibile necessità di movimento dei corpi, e lo fa dal punto di vista situato di chi si oppone a quel dispositivo di controllo politico e sociale che sono i confini, linee immaginarie che si materializzano nella violenza agita dallo Stato-nazione in ostacoli alla libertà di movimento. Non a caso il sottotitolo del libro richiama alla mente un’azione che si svolse a inizio 2018 – Calpestiamo il confine! – tra Ventimiglia e Mentone, organizzata da Ape Milano (di cui Abo è un infaticabile animatore) e dal Collettivo alpino zapatista.

Nelle parole dell’autore, «il testo racconta cinque tracce, disseminate per l’intero arco alpino, lungo le quali muovono i propri passi le persone migranti irregolarizzate e in cerca di un futuro non ancora scritto.»

In questi anni, su questo blog ma anche per le strade o lungo i sentieri, abbiamo dedicato attenzione e più di un contributo a queste tracce che attraversano le catene montuose, disvelando di quest’ultime il loro essere cerniera anziché spazi separatori come vengono perlopiù rappresentate nel discorso pubblico. Tornare a chiacchierare con Abo su questo suo nuovo libro è stato un passo conseguente al discorso costruito fino a oggi.

Buona lettura.

***

AM: Iniziamo con uno visuale panoramica: come è nato il libro e come hai lavorato, chi ti ha aiutato, con chi hai collaborato?

Abo: Ci sono due possibili risposte a questa domanda. Da una parte il lavoro che ho fatto si compone di letture, tanta rassegna stampa, e soprattutto tantissimo cammino, appunto quel reiterato e incessante andare avanti e indietro per alcuni di questi sentieri, in parte tutt’ora utilizzati, in parte ampiamente sfruttati nei dieci anni che ci separano dall’inizio delle primavere arabe. È stata un po’ anche la mia personale liberazione, diciamo così, dalla fase uno del lockdown eccetera: ritagliarmi via via che era possibile i fine settimana per prendere al volo un treno (perché quasi tutto è stato fatto in sella agli interregionali) per raggiungere appunto i confinali.

L’altra possibile risposta, anche se è più intimista e forse meno interessante per voi, appare con chiarezza nella mia testa: questo è il quarto libro che ho fatto con Mursia editore e mi piace immaginarla un po’ come una tetralogia. Anche se non lo è in senso pieno, c’è però qualcosa di tutti i tre testi precedenti dentro questo. Il primo – quello dedicato alla storia dell’A.P.E. – si chiamava Sentieri proletari. Se una storia del ‘900 aveva per titolo Sentieri proletari, una storia ambientata nel nostro presente poteva portare nell’intestazione, appunto, Sentieri migranti. Al sottotitolo (Tracce che calpestano il confine, ndr) il compito di chiarire il resto.

Il secondo testo della serie narrava invece di sport popolare (Sport e proletariato. Una storia di stampa sportiva, di atleti e di lotta di classe, ndr) e stampa sportiva. Ogni volta che mi è capitato di presentarlo – o comunque di ragionarci sopra – mi sono sempre sorpreso a soffermarmi sul racconto di questi italiani che sul colle del Frejus – migranti della classe meno abbiente – perdevano la vita affrontando una bufera senza i mezzi necessari. In uno dei numeri del settimanale c’era questo articolo di denuncia che riprendeva un rotocalco francese sull’assurdità che in tempi così moderni, quali erano quelli del 1923, ci fossero ancora persone che, per il solo fatto di non avere i documenti in regola, affrontavano le Alpi tra quei pericoli nonostante tutte le possibilità, l’offerta diciamo tecnica e scientifica, a cui si era arrivati all’indomani del primo conflitto mondiale e per la precisione novantotto anni fa.

L’ultimo volume, apparentemente più distante e in altra misura più prossimo, è appunto La via del sale. Un testo che tratta di un cammino di più giorni, di viandanza e di una postura, diciamo così, distante da un approccio turistico anche nelle sue versioni dolci, e orientato più al tema di una nuova scoperta di un passato di commercio lungo mulattiere oggi celato tra le fronde.

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07 Apr2021

Camminare con lentezza, in continuità con le lotte. Torna Il sentiero degli dei

7 Aprile 2021. Written by Redazione_am. Posted in Libri

Guarda il disegno qui a lato. C’è un grande cantiere incassato tra le montagne. È il cantiere di una galleria, un tunnel ferroviario: ci sono treni sulle rotaie. Due cisterne di chissà cosa, di quelle che da Viareggio in poi ti fanno paura, figurati cacciate in un tunnel sotto una montagna. Ma almeno non si vedono vagoni passeggeri, quindi forse è una linea merci.

In primo piano, in ombra, un tizio con uno zaino da montagna, piuttosto grosso. Si indovinano sacco a pelo e tazza di metallo. Probabilmente il tipo sta fuori più giorni e si trova a passare alto sul cantiere, del quale sembra perplesso, forse preoccupato.

Secondo te dov’è questo posto? Proviamo a indovinare, non è difficile: Chiomonte, il cantiere “della TAV”, così è ormai per tutti, anche se ora si chiama “il TAC” ed è soprattutto una linea merci, o quantomeno quello è il pretesto per scavare. Il sentiero è uno dei non molti che si inoltrano in Val Clarea, frequentata da pochi perché, almeno a quote medio basse, è ripida, buia, molto dislivello, zero turismo.

Invece no: come vedi qui sotto è la copertina di un libro, un libro fondamentale per andare in montagna cercando di capire qualcosa, di guardare e non solo vedere: Il sentiero degli dei. Un racconto a piedi tra Bologna e Firenze. Questa è la nuova edizione aumentata, come spiegato qui dal suo autore Wu Ming 2.

Si tratta di un oggetto narrativo non identificato che parla di montagne, per questo su Alpinismo Molotov desta (rinnovato) interesse e ne segnaliamo la nuova edizione. Ma ci interessa anche perché, seppur se non parla di Chiomonte come l’immagine di copertina ci ha portato a immaginare, contribuisce a capire quel cantiere e tutti i cantieri in opera – o in programma – che nel nome delle “grandi infrastrutture” avveleneranno montagne, colline o pianure e ne sfregeranno indelebilmente i paesaggi, aggrediranno ecosistemi delicati o porteranno il colpo di grazia a quelli già duramente messi alla prova dell’antropizzazione a colpi di colate di cemento. Racconta un disastro compiuto e quindi spiega i disastro in atto. Racconta il futuro.

Realisticamente non sarà questo libro a farci vincere, come nessun altro. Non basta un grande editore e la sua capacità di distribuzione, non basta che lo leggano in tanti. Occorre anche altro, ma quell’altro cresce anche con i libri. E che si vinca o si perda, servirà in ogni caso per ricordare negli anni a venire, con la giusta dose di insanabile rancore, l’accanimento feroce del sistema che reitera a fotocopia le stesse porcate.

 

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18 Set2020

Riprendiamo il cammino, compagnx di scarpinate

18 Settembre 2020. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni, Staffette

Come riprendere il cammino, come farlo in compagnia, spalla a spalla, dopo i mesi del fermo obbligato e dell’isolamento? È una domanda che ci stiamo ponendo nel retrobottega di questo blog, lì dove si confronta la banda disparata che non è Alpinismo Molotov, ma che si è assunta l’impegno di diffondere una prassi e uno sguardo critico alle montagne, in divenire, alla maniera di Alpinismo Molotov.
Per imbastire una risposta ci è stato utile tornare al principio, rileggere oggi il manifesto di Alpinismo Molotov, dove nelle prime righe – significativamente – si trova scritto:

L’espressione designa al tempo stesso un insieme di prassi in costante evoluzione e la collettività che le fa evolvere.

In questa ambivalenza abbiamo individuato un possibile saldo appoggio da cui riprendere il cammino: concentrare le energie non sulla definizione di un campo, di un’identità, ma su una prassi, sulla costruzione condivisa di un pensiero critico, pensiero situato aspramente in contrapposizione a essenzialismo e idealismi vari che riducono le montagne alla Montagna®.
Come tradurre questo nella pratica? Un primo passaggio che renda meno evanescente questo programma è il (dif)fondersi e l’entrare in contatto (fisico) con una collettività più allargata rispetto al nucleo “stretto”. Per inciso, nucleo che, suo malgrado, o per limiti dettati da un’esperienza che negli anni si è coesa attorno a una dimensione segnata dalla dimestichezza dei rapporti, può risultare a chi guarda a questa banda come un gruppo “chiuso”, almeno rispetto alle intenzioni, autentiche, di apertura.
Immaginare – tornando al nucleo della questione – un farsi spore di Alpinismo Molotov, curare il propagarsi di un micelio che produca frutti lì dove meno ci si aspetta di vederli emerge dal sottosuolo (più o meno funzionava così anche con la “vecchia talpa”, no?).

Micelio Alpinismo Molotov

Dunque, rinsaldare i legami con chi ha condiviso in Alpinismo Molotov passi e parole. E, contemporaneamente, portare passi e parole di Alpinismo Molotov lì dove possano trovare un terreno fertile per diffondersi, o meglio per circolare.

Oggi iniziamo, segnalando alcune occasioni per condividere passi e parole.

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18 Feb2020

Partigiani d’Oltremare, ribelli della montagna

18 Febbraio 2020. Written by Redazione_am. Posted in Libri

Da alcuni giorni nelle librerie è finalmente disponibile Partigiani d’Oltremare. Dal Corno d’Africa alla Resistenza italiana di Matteo Petracci. È una notizia che apprendiamo con grande piacere, non solo perché tracce di questo libro sono impresse nell’edizione 2018 della nostra festa “Diverso il suo rilievo” – che in quell’anno si tenne sull’altipiano di Macereto, nelle Marche –, quando Matteo accompagnò con le storie che sono ora raccolte nelle pagine di questo volume un’escursione (per la precisione, due escursioni: una di sabato e una di domenica) a passo oratorio; ma soprattutto per le emozioni che Matteo e quelle storie narrate ed evocate riuscirono a imprimere durante quelle giornate e che, con la pubblicazione del libro, oggi potranno essere vissute da un pubblico più vasto.

Le vicende di questi africani che combatterono il nazifascismo in provincia di Macerata, su declivi a portata di vista dall’altipiano di Macereto, sono un caso esemplare di una chiave interpretativa della resistenza armata al nazifascismo che è stata erroneamente sottovalutata, quella di una Resistenza «italiana» che fu multietnica, creola, internazionalista e migrante. Questa interpretazione in una certa misura va beneficamente a contaminare e “sporcare” quella essenzialista della “purezza della Montagna”: se le montagne sono state spazi – geografici e sociali – di resistenza alle forme di dominio succedutesi nei secoli, non possono che esserlo state perché luoghi di attraversamento, d’incontro e di conflittualità. Spazi dalle increspature ruvide, così come la resistenza al nazifascismo in Italia è tutt’altra cosa che una narrazione liscia e compatta, come vorrebbero sia l’ondata revisionistica che la retorica monumentalizzante.

Partigiani d’Oltremare è scritto da uno storico con strumenti e metodi propri della storiografia, ma Matteo Petracci non si è limitato a questo: a seguire la ricostruzione storica delle vicende di questi liberatori d’Oltremare, nel volume sono presenti tre epiloghi – Tutti a casa, o quasi; Il corpo di un caduto; La figlia di un superstite – dal piglio più narrativo in cui viene raccontato quali stuporosi incontri possono nascere da un percorso di ricerca che rappresenta, fattivamente, un caso di fare storia attivo e partecipativo.

E a conferma di questa tensione segnaliamo la proposta di due appuntamenti per ripercorrere il cammino che i partigiani d’Oltremare, dopo la fuga da Villa Spada di Treia, percorsero per raggiungere l’abbazia di Roti, base dei ribelli sul Monte San Vicino: dal 30 aprile al 3 maggio e dal 10 al 13 settembre, accompagnati (dalle storie e dalle parole di) Matteo Petracci e Wu Ming 2. Per chi volesse partecipare, tutte le informazioni si possono trovare qui.

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17 Set2019

Le fogne di Nuova Delhi e il sacco dell’umido: riflessioni a partire dal Jova Beach Party. Su #Giap

17 Settembre 2019. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Nel corso di quest’estate 2019, riempiendo di commenti l’infosfera, ha tenuto banco la querelle sul Jova Beach Party e le critiche mosse a questo mega-show spiaggiato su alcuni tratti di litorale italiano. A seguito della presa di posizione critica di Reinhold Messner rispetto alla location di Plan de Corones – Kronplatz per una data di questa tournée – l’unica data non organizzata occupando lo spazio di un arenile – avevamo dato conto di una discussione nel retrobottega di Alpinismo Molotov, pubblicata in un post dal titolo Sul binomio musica e montagna: tracce di una discussione sugli eventi in quota. Si trattava, con quel post, di riprendere e cercare di mettere a fuoco alcune questioni che riteniamo centrali nel modello di fruizione/sfruttamento delle montagne, cosa che lo scambio polemico Messner-Jovanotti ci offriva l’occasione di fare:
Tra i punti emersi dalla nostra conversazione, il fatto che ciò che accomuna tutti questi grandi eventi in quota, o comunque nella cornice di un ambiente naturale di pregio, è l’essere per l’appunto, nella cornice. A nessuno importa che il medesimo spettacolo sia fruibile senza differenza alcuna in qualsiasi altro luogo, nel fondovalle o in città, le montagne sono un piacevole sfondo, un tocco di colore, tutt’al più la scusa per una simpatica gita fuori porta.
Il concerto a Plan de Corones – Kronplatz si è svolto, noi abbiamo seguito il flusso di notizie a riguardo, comprese quelle che lasciavano intendere una riappacificazione tra Messner e Jovanotti con un ripensamento del primo (e invece no, sull’inopportunità di organizzare un grande evento come lo è una data del Jova Beach Party Messner non ha cambiato idea). Nel contempo si susseguivano segnalazioni e denunce sulle criticità ambientali e sui danni che un mega-show come questo avrebbe inferto agli ecosistemi delle varie location scelte dal duo Jovanotti – Trident (l’agenzia che ha prodotto e organizzato la tournée). Questo nonostante l’ombrello rassicurante della partecipazione all’operazione del WWF Italia, coinvolgimento sbandierato a ogni occasioni da Jovanotti.
Ci siamo quindi resi conto, a un certo momento, che questa vicenda meritava di essere analizzata anche se ci portava lontano dalle montagne, siccome contiene una gran quantità di elementi ricorrenti, una miscela tossica e foriera di gravi danni. Ne è nato un testo a firma collettiva che viene oggi pubblicato su Giap con il titolo A chi giova il Jova Beach, party trasversale del nuovo greenwashing.

Clicca sull’immagine per leggere il post su Giap.

Tra pochi giorni questo “grande evento” si concluderà a Linate, sulle piste d’atterraggio dell’aeroporto appena riasfaltate. Sarà una festa di bitume e catrame. La nocività della miscela tossica messa a punto durante le precedenti date del mega-show non sarà per questo meno dannosa, così come non decadrà in futuro la sua tossicità: non si tratterrà magari di Jovanotti, ma la funzione sistemica che questo personaggio ha rappresentato potrà essere riattivata nuovamente, in nome del capitalismo impegnato oggi nel tentativo di fare della crisi climatica uno strumento di potere che alimenterà diseguaglianze e ingiustizie.

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