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08 Apr2020

Quarantena molotov. Cospiranti evasioni. Quarta puntata

8 Aprile 2020. Written by Redazione_am. Posted in Récit





“Assembramento” è la parola che abbiamo forse ascoltato di più negli ultimi tempi. Ma di che cosa parliamo quando parliamo di assembramento?

Secondo l’ordinanza emanata lo scorso 21 marzo dal governatore della Regione Lombardia Attilio Fontana, per esempio, un’ammenda fino a cinquemila euro è prevista per chi non rispetta il divieto di “assembramento” nei luoghi pubblici (fatto salvo il distanziamento, si intende). Assembramento o adunata sediziosa? Considerando la pena, sembra ormai non esserci una grande differenza.

Eppure, almeno guardando certe foto che hanno circolato parecchio negli ultimi giorni, sembra che le strade italiane siano piene di “assembramenti”? È davvero così? O si tratta di persone che esercitano il loro pieno diritto a camminare, a respirare, a esercitare qualche segnale di vita al di fuori delle quattro mura in cui sono detenute da un mese?

Solo pochi giorni fa si è detto invece qui di come non sia difficile offrire una prospettiva distorta di un’immagine, anche senza troppi effetti speciali e far passare per un – oddio! – assembramento quello che, più probabilmente, e per ragioni del tutto fisiologiche, altro non è che una via centrale di un agglomerato urbano non deserta.

In questi giorni ci sono arrivati moltissimi racconti, talmente tanti che abbiamo deciso di tenerne un po’ per una prossima puntata. Nessun assembramento ma tante rivendicazioni solitarie del diritto inalienabile di muoversi nello spazio. Non proprio solitarie. Nel racconto di R. si parla di una passeggiata fatta da un padre e un figlio piccolo. È già stato detto che i bambini sono stati i grandi assenti nel caotico susseguirsi di divieti & decreti. Come è stato scritto su Facebook da un nostro contatto: A un certo punto, per un quarto d’ora, mia figlia ha avuto gli stessi diritti di un cane”, il tutto nel bel mezzo di una confusione al limite del grottesco.

Come ha scritto l’antropologa Rosa S. nell’articolo sopra citato:

Chi si occupa delle paure di questi bambini? Chi si occupa di rispondere alle loro domande? Le loro vite procedono sospese, appese ad un balcone [quando c’è, ndr] in attesa di un futuro “ritorno” che appare sempre più lontano.

Sta di fatto che poco o nulla sappiamo dei modi in cui le più piccole e i più piccoli stanno vivendo una condizione che somiglia per più di altri agli arresti domiciliari.
Per questo vi chiediamo di raccontare le vostre evasioni con i più piccoli, reali o anche immaginarie.

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31 Mar2020

Quarantena molotov. Necessarie evasioni autocertificate. Terza puntata

31 Marzo 2020. Written by Redazione_am. Posted in Récit

Quando ci è venuta l’idea delle “escursioni molotov ai tempi della quarantena”, non pensavamo di dar voce a qualcosa di molto più grande di noi. È quello invece che sta accadendo in queste ore e in questi giorni, in cui ci arrivano i racconti di tante “necessarie evasioni”, le voci del desiderio inalienabile dell’aperto, dell’incontro, del movimento.

Ci sembra importante continuare dare spazio a queste voci – continuate a raccontare le vostre evasioni! – perché all’isolamento cui siamo costretti non manchi la dimensione collettiva, perché la narrazione di questo tempo non sia unica e perché se questo è un viaggio, e lo è senz’altro, oggi più che mai si parte e si torna insieme.

Con l’autocertificazione, ovviamente. Al susseguirsi di nuovi moduli, sempre più dettagliati, sempre più precisi, sempre più inutili, abbiamo pensato che non potesse mancare il nostro. Direttamente dal Mistero dell’Ailanto (per ogni riferimento leggete qui) scaricatelo qui e diffondetelo. Se la quarantena #nonsiferma, le escursioni molotov nemmeno.

Insieme ai racconti, inviateci un’immagine (info@alpinismomolotov.org).

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24 Mar2020

Quarantena molotov. Necessarie evasioni. Seconda puntata

24 Marzo 2020. Written by Redazione_am. Posted in Récit

Il cammino non si arresta, continuano le evasioni della “quarantena molotov”. La militarizzazione sta dilagando, tra strategie del capro espiatorio e denunce appioppate più per mostrare i muscoli che altro. È toccata a Pietro De Vivo, tra le altre cose parte della banda di Alpinismo Molotov a cui va la nostra solidarietà, che l’ha raccontata in un post su Giap; e utilissima potrà rivelarsi anche la lettura del commento giuridico di Luca Casarotti, che occupa le seconda parte del post.
In questa puntata le “normalissime” evasioni mutano in “necessarie”, così come necessario è raccontare queste escursioni come ogni altro atto di resistenza alla narrazione egemonica che ci vuole ammutolit*.
Il perché lo ha spiegato bene Wu Ming 1:

Se ne esce socializzando la resistenza, estendendola, raccontandola, lavorando perché il racconto di queste buone pratiche fori la membrana almeno in un punto. Più persone danno testimonianza, meno opprimente sarà il clima.

Non importa se queste “necessarie evasioni” si svolgono nell’arco di poche centinaia di metri attorno al proprio domicilio – come benissimo mostra Mariano Tomatis nella pillola che chiude questo post –, conta muovere nello spazio e nel tempo i nostri sguardi.

In questa seconda puntata già sono presenti contributi che abbiamo ricevuto via posta elettronica da lettrici e lettori, l’invito a tutte e tutti è quello di seguire l’esempio: evadere, raccontare quello che i vostri sensi (anche il sesto) hanno percepito mentre camminavate, raccontarlo e inviarlo a info@alpinismomolotov.org.

Noi ci impegniamo nel continuare a dare spazio a queste rassegne di racconti: scriviamo collettivamente la quarantena molotov.

Illustrazione di Krom (2020)

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19 Mar2020

Quarantena molotov. Normalissime evasioni. Prima puntata

19 Marzo 2020. Written by Redazione_am. Posted in Récit

Giugno 2018. La banda di Alpinismo Molotov si muove insieme.

Prima di partire

Il “bacillo dei sassi” si manifesta con modalità molto diverse tra loro, trova il modo di palesarsi anche in situazioni limite. Così anche in questi giorni di quarantena ed uscite contingentate si fa largo tra decreti, ordinanze e posti di blocco per trovare il modo di esprimersi. Andare in montagna ora diventa quasi un’utopia, ci si sente come Felice Benuzzi che dal campo di prigionia osserva il Monte Kenya. Tuttavia ciascuna e ciascuno di noi per fare la spesa, per costrizioni lavorative, per le esigenze del cane o anche “semplicemente” per non impazzire esce di casa e cammina.
In questo contesto quelle che in altra situazione sarebbero normalissime passeggiate diventano “altro”, diventano vere e proprie escursioni molotov. Anzi, in questo scenario di parchi chiusi, controlli e barriere, è possibile che siano le uscite più molotov che ci sia mai capitato di fare. In fondo «[…] l’alpinismo è “molotov” nella misura in cui fa emergere nuove contraddizioni e nuovi strumenti concettuali, narrativi cognitivi per affrontarle. Si va in montagna per tornare con “nuove armi” da sfoderare nella nostra quotidianità Si va in montagna consapevoli che si procede sempre in bilico». (cfr. il manifesto di Alpinismo Molotov).
Mai come in questo momento abbiamo bisogno di far «emergere nuove contraddizioni» e dotarci di «nuovi strumenti, concettuali – narrativi – cognitivi».
Da qui l’idea di raccontare le nostre escursioni – poco importa se di chilometri lungo fossi o di poche centinaia di metri per fare la spesa – nel tentativo di inquadrare da prospettive oblique quel che ci circonda e restituire ex post, almeno nel racconto, la dimensione collettiva di quel procedere a passo oratorio che oggi ci è negata. Ecco dieci racconti di fughe molotov dall’isolamento in casa.

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09 Mar2020

Mi smo tu / Noi siamo qui: sul confine tra l’Isonzo e la Balkan route

9 Marzo 2020. Written by Redazione_am. Posted in Récit

Questo post nasce dopo un’escursione sul Carso triestino seguendo i sentieri percorsi dai migranti. A spingerci la retorica sull’invasione e le continue richieste di provvedimenti straordinari e strumenti tecnologici (ultimo caso, l’ipotetico ricorso alle fototrappole) a fare da argine ai passaggi di persone attraverso i confini.

Nel frattempo l’escalation di violenza di questi giorni – caratterizzata dall’ipocrisia della faccia moderata dell’Unione europea, più fascista dei fasci stessi, come abbiamo visto in Grecia dove del resto anche i fascisti sono impegnati, Alba dorata in testa, nella caccia al migrante – ha spostato su un piano se possibile ancora più deteriore e repressiva la politica verso i migranti.

È domenica mattina, il cielo è coperto e noi quattro stiamo per percorrere una delle tratte finali della “Balkan Route” al contrario. Attraverseremo la frontiera dal bosco, perché oggi noi possiamo farlo. Cammineremo un passo dopo l’altro lungo una delle vie di entrata in Europa su cui hanno mosso i loro passi migliaia di persone in fuga da guerre, violenza, repressione politica, o semplicemente in cammino, vive, con lo sguardo aperto verso ciò che verrà.
“Quando senti parlare del Carso ti immagini un territorio lunare, un cumulo di pietre scaricato dagli dei sulla terra Kras”, dice Davide, che del Carso conosce ogni piega, ogni pietra, sentiero e anfratto. E ogni singolo accento della lingua locale, che è anche la sua.

Il Carso terreno duro, aspro, a tratti gentile. Un territorio brutalmente lacerato dalle XII battaglie dell’Isonzo e poi dalla Seconda guerra mondiale che ha lasciato molte ferite aperte. Alcune come in questi giorni si riaprono nel giorno in cui i fascisti carnefici si mascherano da vittime. Una striscia di terra, questa, che ha dato aiuto alla resistenza partigiana, quella che da est ha liberato queste terre dal nazifascismo affermando: “Mi smo tu” (noi siamo qui), come riecheggia in un inno dei partigiani del Litorale che viene tuttora cantato ogni anno alla Risiera di San Sabba il 25 aprile.

Una terra divisa in due da un confine invisibile, alberi e rocce calcaree, taglienti come lame, prati e voragini che si aprono all’improvviso, fiumi sotterranei che continuano per chilometri unendo un territorio che la politica ha diviso e continua a farlo. Un frontiera invisibile che riprende forma con le resistenze di oggi, quelle dei migranti che attraversano questi boschi e camminano su queste pietre, le stesse su cui camminiamo noi, respirando libertà.

Le prime vittime del “viaggio” di cui possiamo ricordarci risalgono agli anni Settanta. Morirono in tre. Congelati sulle pietre del gelido Carso. Trovarono pace grazie al sindaco partigiano che di morti in cerca di libertà ne aveva visti molti.
Una storia ormai molto lontana, ma qui si continua a passare, sperare, morire… L’ultima delle vittime è caduta poche settimane fa, all’alba del primo giorno di questi anni Venti. Si tratta di Sid Ahmed Bendisari, precipitato da venti metri di altezza in fondo ad un burrone sotto il monte Carso poco distante dal castello di San Servolo. Un errore nel percorso, la stanchezza, forse un inciampo e scivola giù. Avrebbe compiuto trent’anni il prossimo 8 novembre. Impossibile trovare il suo nome sulla stampa nella consueta damnatio memorie riservata alle morti dei migranti. Morte di un padre. Sua moglie era con lui. Loro figlio attendeva ad Aïn Témouchent in Algeria a neanche trecento chilometri da Melilla, Spagna, Europa. Per tentare di raggiungerla sua mamma e suo papà dopo aver attraversato il nord Africa hanno proseguito il viaggio fino alla Turchia, quindi ai Balcani e quindi la morte a Trieste in una sorta di circumnavigazione terrestre del Mediterraneo per evitare un muro.

***

Vogliamo cercare di capirne qualcosa di più, per questo ci siamo detti, la cosa migliore è andare, muovere i nostri passi tra questi boschi e queste rocce. La nostra storia parte a pochi chilometri da Trieste, da Boršt, tradotto, chissà perché, Sant’Antonio in Bosco, frazione del comune di Dolina, San Dorligo della Valle come era stato goffamente italianizzato. In una giornata uggiosa di inizio febbraio ci avventuriamo nella landa carsica avvelenata dai nuvoloni neri che come ogni anno imperversano sopra Bazovica/Basovizza il 10 del mese. Questo febbraio, come non accadeva da almeno trent’anni, nazionalisti e ultradestra hanno perfino organizzato, senza nessuno che vi si opponesse come in passato, un corteo per le vie del paese: un reflusso di putrefazione e morte aliene alla terra che calpestiamo.

Ci incamminiamo – Elena, Alessandro, Luca e Davide – percorrendo una delle vie dove i migranti sognano la libertà ma molto spesso cadono nelle trappole della paranoia creata dai politicanti per avere un consenso politico. Tutto qui si trasforma in futuri voti per il lato marcio della nostra società, i politici saldamente ancorati sulle loro sedie e quelli che da loro si aspettano dei favori.
Il Carso di oggi è un misto di elementi diversi non solo umani: animali, vegetali e perfino minerali qui convivono senza l’assurda pretesa di affermare “questo è il mio territorio”, cosa che noi bipedi pensanti non capiremo mai. Nel bosco ci sono diverse varietà: querce, frassini, carpini e pini.

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08 Mag2019

All’inseguimento della pietra verde (e della città di Rama)

8 Maggio 2019. Written by Redazione_am. Posted in In cammino, Récit

di Mariano Tomatis e Vecio

 

Percorso: Partenza e arrivo da Falcemagna, frazione di Bussoleno (TO), m 850 s.l.m. passando per la Fugera e le cave di marmo verde (quota massima m 1650 s.l.m.).

Dislivello: m 800 circa

Tempo di percorrenza: h 4.30 circa

Questa volta partiamo su impulso di una vecchia mappa: un enorme foglio ripiegato che descrive la bassa Valsusa del Settecento (l’Archivio di Stato la colloca tra il 1764 e il 1797). Due didascalie spalancano prospettive romanzesche. Nel triangolo tra Bussoleno, Chianocco e San Giorio segnalano alcune “rovine di Ramà”: forse tracce di Rama, l’Atlantide valsusina, la ciclopica città inghiottita da una catastrofe in un lontano passato? Più in alto riportano l’indicazione di una cava di marmo; non una pietra qualsiasi, ma il prezioso “marmore verde” di Susa, il materiale preferito dalle archistar di casa Savoia, tanto che se ne trova in tutte le principali chiese torinesi. Verde: come la pietra che – secondo Alberto Fenoglio – riposa nelle viscere del vicino monte Musinè, in un

antro misterioso dove chi aveva la fortuna di penetrarvi vedeva e udiva delle cose meravigliose. Lì abitava un mago che aveva scelto quel posto solitario per compiere incantagioni e fabbricare filtri magici. (1)

In alto: mappa del XVIII sec., Archivio di Stato, Torino. A sinista: “Rovine di Ramà” e “Rivo di Ramà” (particolare). A destra: “Baracconi per la Marmore. Cima del Combal del Pera. Qui si cava il Marmore Verde” (particolare).

In alto: mappa del XVIII sec., Archivio di Stato, Torino. A sinistra: “Rovine di Ramà” e “Rivo di Ramà” (particolare). A destra: “Baracconi per la Marmore. Cima del Combal del Pera. Qui si cava il Marmore Verde” (particolare).

Difficile resistere a tante suggestioni: abbiamo tra le mani la mappa di un tesoro? Cosa sarà rimasto, a due secoli di distanza, di quanto segnala questo stropicciato ma affascinante reperto?

Lasciata alle spalle Bussoleno, raggiungiamo la frazione di Falcemagna dove parcheggiamo l’auto. Incamminandoci lungo la carrareccia che attraversa la borgata, incontriamo un compagno No TAV che vive lì per alcuni mesi dell’anno: conosce bene la zona e si adopera per tenere vivi i sentieri, ritrovando e rendendo praticabili quelli ormai spariti; riconosceremo il suo tratto nelle tracce segnate con vernice arancione. Superata Falcemagna, il sottobosco mostra ampie tracce del violento incendio che ha devastato la regione un anno fa. L’intero percorso è segnato da alberi carbonizzati – alcuni caduti, altri ancora in piedi ma completamente sventrati.

Tracce lasciate dal violento incendio del 2017.

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