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07 Dic2020

Il ritorno del Kras/Carsismo molotov, un récit collettivo.
«Ripartiamo quando dovremo star fermi!»

7 Dicembre 2020. Written by Redazione_am. Posted in Récit

Sono i passi condivisi con uno sguardo ribelle alla montagna a fare delle nostre uscite delle esperienze “Molotov”. Questo anno con i confinamenti e le chiusure motivati dalla pandemia in molti casi questa condivisione è stata resa impossibile. L’abbiamo aggirata, questa impossibilità, come nelle terre alte si fa per evitare un ostacolo, riunendo le normalissime, necessarie, liberanti, cospiranti, resistenti evasioni con la consapevolezza e il proposito di vederci e camminare spalla a spalla appena possibile.

È sul Carso che eravamo andati subito prima del lockdown ed è da qui che ripartiamo. Il Carso è molotov: terra alta senza averne l’aria, scavalca confini statali e linguistici, duro, ribelle e fecondo.
Qui un gruppo di noi ha incontrato nuovi compagnx di scarpinate ed è da questo incontro che nasce questa uscita.

***

Camminando lungo il sentiero guardo la terra e sento il dolore come ruggine ricopre quell’orrore di filo spinato. Alzo lo sguardo, cortocircuito. La struggente purezza con tutta la sua forza mi si staglia davanti irremovibile. La montagna. Ogni mio passo è in bilico tra il baratro della guerra avvinghiato nella terra e il turbine di bellezza di questa natura impavida. Ingenuamente mi chiedo come abbia fatto l’odio ad arrivare fin quassù. (Sabina)

 

Lo.Fi.: E quindi rieccoci qua, a riallacciare lo scarpone dell’alpinismo molotov “nordestino”, ché in effetti costituì il nucleo primigenio di AM tutto, considerando che è sulle tracce della prima ascensione di Felice Benuzzi al Mangart che nacque questa avventura di gambe e parole.

Poi il testimone passò a nord-ovest, con il battesimo ufficiale sul Rocciamelone, ma il nord-est – gli “orientali” secondo la ripartizione SOIUSA delle Alpi – c’era e riportò gli occidentali sulle Giulie, sulla loro cuspide massima, il Triglav, poco dopo.

Galleria del Castelletto, agosto 2015

Quella che mancava era l’articolazione di un gruppo locale stabile, forte e discorsivamente autonomo come quello di nord-ovest orbitante intorno alla Valsusa. L’ostacolo maggiore era forse il tema di fondo: lotte vive a nord-ovest, fossili a nord-est, incapsulate in radioattive questioni memoriali. Per carità, siamo ben contenti che il TAV da queste parti si sia inabissato nelle profondità carsiche da diversi anni, ma il fatto che metà degli attacchi politici da queste parti procedano da fatti accaduti tra i 100 e i 75 anni fa rende il “movimento” alquanto angusto, anchilosato, e a maggior ragione lo si sente in montagna dove le articolazioni ben oliate sono fondamentali… Così sulle macerie del castelletto della Tofana, nella campagna #MontagneControLaGuerra lanciata per contrastare il revival nazionalista del centenario della prima guerra mondiale, ci arenammo una prima volta e continuammo ad arenarci ad ogni tentativo di rivitalizazzione, come quando io e Ciopsa ci arrampicammo sul Cellon, o quando con una comitiva italo-slovena salimmo il Porezen a ricordare la resistenza contro nazisti e fascisti. Ci arenammo nella seconda parte della scalata, quella del racconto, anche per soggezione verso quel boccone di storia che avremmo dovuto mandare giù, come negli imponenti récit dell’Učka e del Bus de la Lum.

Slovenian and italian antifascists united, just like 73 years ago, to honour the fallen on mount #Porezen. Mountains against the nazi pic.twitter.com/ljvqIMHhBC

— Alpinismo Molotov (@alpi_molotov) March 26, 2018

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09 Giu2020

A guidarci l’inquinamento luminoso. Récit collettivo di un’escursione notturna e clandestina

9 Giugno 2020. Written by Redazione_am. Posted in Récit

Dopo la pubblicazione dello speciale 25 aprile con il racconto delle “resistenti evasioni”, torniamo ancora alla giornata di commemorazione della Liberazione dal nazifascismo di questo 2020. Quello che segue è il récit collettivo di un’escursione clandestina in notturna, da Bologna al cippo dedicato ai caduti partigiani che si trova a Sabbiuno di Piano.

Da poco tempo ricevuto, lo pubblichiamo sia perché il ricorso alla forma del récit collettivo al di fuori della banda di Alpinismo Molotov è una pratica che crediamo importante valorizzare e amplificare, sia perché – in questi giorni in cui finalmente molte piazze sono tornate a riempirsi di manifestanti – questo racconto ci ricorda come poco più di un mese fa si è dovuto forzare le maglie dell’imperativo “state in casa” per riuscire a portare un fiore a ricordo di chi 75 anni fa lottò per mettere fine alla barbarie nazifascista.

Buona lettura.

«Al monumento di Sabbiuno di Piano, quando ci si poteva andare.»

25 Aprile 2020

GI, E, GL, T, V, S, GB: umani.

C, P, L: cani.

S: Lo stare in quarantena non ha particolarmente sconvolto la mia quotidianità durante il giorno. Però, la noia credo che abbia acuito la mia attenzione verso l’esterno. Non è una perversione ma una predisposizione maggiore ad accogliere ciò che avviene fuori. Complice l’inverno, sicuramente, ho passato pochissimo tempo in balcone prima della quarantena e solo da poche settimane ho scoperto che, nel palazzo a sinistra di quello che ho di fronte, si affaccia il balcone di GI ed E, li posso vedere dal mio, cosí per diverse sere al tramonto condividiamo aperitivi a distanza .

GI: Sono una partita IVA. Sono in “smart working” da 7 anni. Nulla è cambiato nel mio rapporto con il mondo del lavoro. Ho 4 mesi di ritardi nei pagamenti costanti. Questi 600 euro bonus li investirò sicuramente in multe, nel caso mi dovessero fermare e non dovessi addurre una scusa abbastanza credibile. Non posso, non voglio restare a casa.
Ho passato la gioventù a giocare con il computer. I miei giochi preferiti erano Age of Empire 2 e Commandos: behind the enemy lines. Per chi non conosce questi giochi, il primo è un gioco di strategia in cui devi pianificare la crescita della tua popolazione e difenderla dagli attacchi, l’altro è uno gioco in cui un esiguo gruppo di militari viene inviato ad eseguire una missione suicida dietro le linee nemiche; naziste solitamente. Suicida perché il gioco terminava ogni qual volta venivi scoperto dal nemico. Fortunatamente si poteva salvare! Ho passato ore e ore a morire e ricominciare alla ricerca di una strategia migliore. L’osservazione del nemico era fondamentale, alcuni schemi potevi finirli solo se conoscevi a memoria gli spostamenti delle sentinelle. A volte contavo anche i passi.

S: Pochi giorni prima del 25 aprile dal suo balcone GI mi ha invitato sul loro a fare aperitivo. Nella chiacchiera, GI ed E, mi hanno spiegato la loro idea di formare un gruppetto di non più di dieci persone e arrivare al monumento dell’eccidio di Sabbiuno di Piano, 20 chilometri andata e ritorno, quattro ore circa, con partenza al tramonto. Si attraversa tutto il parco del Navile, si passa Castel Maggiore, un tratto di aperta campagna, uno brevissimo di statale (il più rischioso), e alla fine il monumento, dove avremmo lasciato dei fiori. Andrà fatto tutto al buio, le torce si portano per sicurezza ma per non rischiare di essere beccati è meglio tenerle spente. Tanto lungo quasi tutto il percorso non sono distanti lampioni, luci di capannoni, case, insomma si dovrebbe vedere abbastanza da non farsi male. A guidarci sarà l’inquinamento luminoso.

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01 Mag2020

25 aprile 2020, resistenti evasioni. Seconda puntata

1 Maggio 2020. Written by Redazione_am. Posted in Récit

La storia di L

Vivo da 5 anni in un bosco in Val Sangone, nel Comune di Giaveno, in una valle poco abitata tra la Val Chisone e la Val di Susa, in provincia di Torino. In questi giorni di isolamento vengo ripagata potendo uscire, dalla baita in cui vivo, a piedi ed evadere nei boschi in cerca di nuovi sentieri. Per l’evasione antifascista invece sapevo dove volevo andare, due luoghi che ricordano giovani morti. Così il 23 aprile ho raggiunto Roc dou preve, un masso lungo una sterrata che porta alle ultime borgate prima del colle, zona molto vissuta dai partigiani, solo 3 anni fa, in un piccolo ricovero per animali, sono state trovate due casse di armi nascoste lì nel periodo della resistenza. A  Roc duo preve vi è una targa che ricorda la morte nel 1945 di un bambino di 8 anni a causa di una mina. Quella fu una zona di rastrellamenti e di azioni molto pesanti anche per i civili. Ci sono andata a piedi dalla mia baita. Ho incontrato solo un residente di un’altra borgata che sostava sulla strada. La lapide è curata e ci sono dei fiori finti. Li ho sistemati, ho toccato quella roccia pensando alla crudeltà di minare zone boschive, ben sapendo che avrebbero portato morte a caso per lungo tempo.

Oggi invece, 25 aprile, sono stata sul versante della Val Sangone che guarda la val di Susa, quota 1000 mt, alle Prese di Fransa. Un altopiano molto bello, ai piedi del Col del Besso, una manciata di baite in pietra abbandonate, bosco di faggi e prati. Lì vi è una lapide in memoria di Tiziano Chiabai, partigiano di Udine,  ucciso dai nazifascisti durante i pesanti rastrellamenti svolti in valle nel novembre del 1944. Aveva 18 anni.

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29 Apr2020

25 aprile 2020, resistenti evasioni. Prima puntata

29 Aprile 2020. Written by Redazione_am. Posted in Récit

Ci volevano chiuse e chiusi in casa, anche nella giornata della Festa della liberazione dal nazifascismo. L’invito era ai festeggiamenti “virtuali”, il massimo concesso – per chi poteva accedere a un balcone (un balcone! Come non associarlo, il 25 aprile, a quello di piazza Venezia a Roma, altare del verbo fascista durante il Ventennio?) – l’esposizione del tricolore, l’intonazione di Bella ciao.

Ma l’occasione ha fatto fremere i corpi e tremare le gambe, e tante sono le testimonianze che si registrano di piccoli gesti ribelli (come quelle che si possono leggere nei commenti a questo post su Giap, post che è a sua volta il resoconto di una resistente evasione, meta il dirupo di Sabbiuno), di persone – con le necessarie cautele – nelle strade a commemorare le donne e gli uomini che hanno fatto la resistenza. Tra le tante, meritorio di menzione è quanto organizzato “in basso” da donne e uomini liberi che con una staffetta – la staffetta della lupa verde – hanno portato a Monte Sole pensieri resistenti raccolti lungo il tragitto. Purtroppo, senza troppa sorpresa, si sono registrati anche casi di repressione poliziesca, come nel caso, il più grave, di Milano.

In questo post iniziamo a raccogliere le resistenti evasioni che abbiamo agito, i racconti che abbiamo ricevuto, consapevoli, ancor più dopo gli ultimi annunci sulla presunta “fase 2”, che gesti come questi dovremo produrne molti per riuscire a forzare un’apertura nelle gabbie in cui ci troviamo costrett*.

È stata, nonostante tutto, una giornata di festa per molte e molti. Prima di lasciarvi ai racconti, vogliamo mostrarvi quanto avvenuto a Trieste, nelle strade della città vecchia e rispettando il distanziamento fisico: un ballo collettivo e liberatorio, un rito laico propiziatorio per quando torneremo a occupare lo spazio pubblico.

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25 Apr2020

Quarantena molotov. (Preludio alle) resistenti evasioni. Sesta puntata

25 Aprile 2020. Written by Redazione_am. Posted in Récit

Arriviamo alla sesta puntata della Quarantena Molotov nel giorno del 25 aprile, ricorrenza e festa della liberazione in Italia dal nazifascismo. Non sarà un anniversario della liberazione come gli altri, non solo perché il 75°, sarà infatti una festa mesta. Il 25 aprile rappresenta quel momento in cui lo spazio pubblico è stato sempre riempito di corpi festanti e di schegge di memoria che, per noi, produce conflitti nel presente; questo giro si salta (si vorrebbe che, almeno), lasciando ai soli riti istituzionali che imbalsamano quello che fu un movimento resistenziale vario e non riducibile, se non in cattivissima fede, a un immagine unica, ferma e composta.

Se sono ormai usuali i tentativi di annacquarlo, dalle bandiere blu di Renzi alla “festa dei caduti di tutte le guerre” proposta dalle destre, diverse sono le difficoltà che si presentano oggi a chi vuole celebrare gli ideali di chi si oppose alla barbarie nazifascista. Ma, senza rinunciare ad adottare tutte le precauzioni possibili e necessarie (cosa che d’altronde facevano anche i partigiani e le partigiane), sarebbe paradossale che nel celebrare la memoria di chi infranse la gabbia in cui i nazifascisti avevano chiuso l’umanità noi ci ingabbiassimo con le nostri stesse mani.

Fortunatamente, nelle nostre città e nei nostri paesi sono molti i luoghi che ospitano ricordi della resistenza: continuate a contribuire, a noi piace immaginare la prossima puntata di Quarantena molotov come uno “speciale 25 aprile”, una rassegna di resistenti evasioni, in cui il nostro camminare si leghi a questa ricorrenza.

Ericailcane

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16 Apr2020

Quarantena molotov. Liberanti evasioni. Quinta puntata

16 Aprile 2020. Written by Redazione_am. Posted in Récit

All’inizio furono “normalissime evasioni”, ché uscire da casa e attraversare le strade ci era parso nulla di eccezionale ma al contempo fondamentale, tanto che dopo una sola settimana queste evasioni erano per noi una pratica necessaria per non cedere a capo chino all’imperativo del #stateacasa. Stare in casa, senza distinguo (ad esclusione delle tante e dei tanti costretti a lavorare in condizioni tutt’altro che sicure), un buco nero di produzione e feticizzazione del capro espiatorio che tendeva ad assorbire ogni energia, ad attirare – anche – ogni forma di pensiero critico disinnescandone il potenziale liberante.
Per superare la soglia della propria abitazione e attraversare piccole frazioni dello spazio pubblico c’era da arrabattarsi tra modulistica in continuo (diciamo così) aggiornamento: le nostre evasioni rimanevano una necessità nonostante le si dovesse “autocertificare”. Non potevano però più dirsi normalissime. La finalità inizialmente individuata di «raccontare le nostre escursioni […] nel tentativo di inquadrare da prospettive oblique quel che ci circonda e restituire ex post, almeno nel racconto, la dimensione collettiva di quel procedere a passo oratorio che oggi ci è negata» era, ci pareva sempre più chiaro, una forma di resistenza di cui  noi – e non solo noi – non potevamo privarci. Le nostre (e vostre) evasioni divennero “cospiranti”: cospirare nel senso di «unirsi per conseguire uno scopo comune», e lo scopo comune era non rimanere schiacciate e schiacciati – tra ansia, depressione e senso d’impotenza – dalla condizione di confinamento e segregazione sociale.
Tutto questo è presente, nulla è passato; le evasioni di cui raccogliamo traccia sono vitali per più ragioni e contrastano l’egemonia del discorso tossico con cui viene generalmente raccontato il confinamento che ha effetti socialmente funesti. L’espressione “distanziamento sociale” è entrata nel linguaggio comune, provenendo da quello specialistico dell’epidemiologia; quando un’espressione diventa d’uso comune in un contesto diverso da quello in cui è stata coniata, questa assume anche un significato differente e agisce performativamente: il linguaggio non è mai neutro.
L’uso funzionale a un discorso tossico di un’espressione linguistica appiattisce dinamiche complesse, maschera e occulta quest’ultime per presentarle in futuro come naturali, frutto disincarnato dalle relazioni di potere.
Il “distanziamento fisico” (con cui si descrive il mantenimento di una distanza tra i corpi e che ci pare un’espressione meno connotata e fraintendibile che “sociale”) alimenta una condizione di rarefazione sociale in costante crescita che, nel medio periodo, produrrà sì un “distanziamento sociale”, da intendere come allentamento delle relazioni sociali. Tutto questo produrrà un surplus, rispetto al presente, di sofferenza psichica diffusa.

Continuare a intrecciare racconti di insubordinazione minima è per noi agire al fine di impedire che il “distanziamento sociale” non divenga col tempo lo spazio della definitiva atomizzazione sociale, lì dove le ingiustizie sociali e le sofferenze psichiche sono considerati questioni individuali.

In attesa di ritrovarci, nelle strade e lungo i sentieri.

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