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22 Gen2024

Ciclovie che fanno schifo: devastare il territorio in nome dell’ambiente

22 Gennaio 2024. Written by Redazione_am. Posted in Senza categoria

Tremosine: a sinistra la strada della Forra, a destra il punto sommiate della frana

Una “semplice” frana

Nel corso di un soleggiato pomeriggio, il 16 dicembre 2023, un costone di roccia affacciato sulle sponde bresciane del Lago di Garda, a Tremosine, è precipitato in acqua. Nessun innesco particolare: nessuna presunta pioggia battente. Nessun sisma o lieve scossa registrati dai sismografi e nemmeno lavori di costruzione o scavo con utilizzo di mine a sollecitare la montagna. L’unica “anomalia” di cui si può dire è stata la temperatura alquanto mite per una giornata d’inverno.
Venti gradi per meglio dire, una tipica giornata da crisi climatica. Con ogni probabilità più “fredda” di quelle che vivremo di qui in avanti, nemmeno fresca rispetto allo storico di stagione. Va pertanto esclusa anche una delle tipiche cause dei crolli invernali: il ghiaccio che si gonfia e sgonfia come un mantice tra le rocce. Quello del 16 dicembre è lo smottamento spontaneo di una porzione di monte che cede sotto al proprio peso, una non-notizia, sia che la si analizzi sulla base della storia geologica del Garda, anche recente, sia che si presti invece attenzione alla morfologia delle sue sponde.

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02 Gen2024

Siccità, incendi e alluvioni. La crisi climatica tra Adriatico e Alpi Giulie

2 Gennaio 2024. Written by Redazione_am. Posted in Senza categoria

“The serene side of Slovenia” – Il Carso isontino dopo gli incendi dell’estate 2022

C’è un giornalista infeltrito che ogni volta che ha freddo e deve mettersi il loden, poi per rappresaglia scrive un elzeviro in cui inveisce contro i gretini che credono nel riscaldamento globale. C’è anche una certa quantità di persone che gli va dietro. E c’è la reazione standard degli attivisti climatici, o anche solo delle persone di buon senso, che replicano più o meno così: il riscaldamento globale è appunto globale, quindi va valutato globalmente e non sulla base di osservazioni locali. Tutto giusto, ma non basta. Non basta perché è troppo astratto. L’alfabetizzazione scientifica è in generale molto bassa, in Italia e un po’ ovunque, e di certo non ha aiutato a migliorare la situazione l’uso demenziale della “scienza” come manganello durante la pandemia (in realtà, l’uso di una serie di proposizioni apodittiche e prescrittive infiocchettate in un linguaggio che suonava scientifico). Il fatto è che però il riscaldamento è ben visibile anche nelle osservazioni locali ed empiriche, e se si vuole convincere le persone della gravità della situazione bisogna insegnare loro a leggerne i segnali sul proprio territorio.
Lo scorso dicembre in tutta la pianura padana occidentale si sono avute a più riprese temperature massime sopra i 20 gradi. Effetto del foehn, certo, che ha soffiato con raffiche record sopra i 200 km/h. Ma il foehn non è il Vento dal nulla, è una delle manifestazioni dello sconvolgimento climatico. E infatti dopo il foehn è arrivata l’inversione termica, e l’anomalia si è spostata in quota. Forse vale davvero la pena cominciare a mappare i territori, per toccare con mano gli effetti dei cambiamenti globali nelle loro ricadute locali.
Prendiamo ad esempio le Alpi Giulie.

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08 Dic2023

L’8 dicembre è Immacolata Liberazione

8 Dicembre 2023. Written by Redazione_am. Posted in Senza categoria

“Oltre i governi e le loro politiche ci siamo noi con i nostri corpi, le nostre idee e la nostra capacità di vigilare sul territorio.” Clicca per leggere la chiamata al corteo apparsa su notav.info.

L’8 dicembre di ogni anno in Valsusa si festeggia l’Immacolata Liberazione.

Quel giorno, nel 2005, un grandissimo corteo sbaragliò le forze dell’ordine e si riprese i terreni del presidio No Tav a Venaus, sgomberato con violenza tre sere prima.

Da allora, l’8 dicembre è scadenza di lotta, occasione per fare il punto, celebrazione della potenza, del radicamento, della cocciutaggine e longevità della lotta in valle.

Non solo Alpinismo Molotov è sempre stato dalla parte del movimento No Tav, ma una delle sue anime “storiche” – nel 2024, nel nostro piccolo, festeggeremo il decennale – è valsusina. Il progetto Alpinismo Molotov è nato durante un’ascesa al Rocciamelone nell’estate del 2014. La prima edizione della festa di AM, “Diverso il suo rilievo”, si è svolta al centro sociale VisRabbia di Avigliana, Valsusa, nel 2017.

Il nostro striscione al VisRabbia di Avigliana, 4 giugno 2017

Anche oggi ci saremo: accanto al movimento, in una situazione di escalation repressiva, ma anche di rinnovata risposta, di ennesimo cambio di fase nella storia ultra-trentennale di questa lotta.

Segnaliamo anche che domani, sabato 9 dicembre, h.14:30, al Polivalente di San Didero si terrà il dibattito pubblico “Mega-opere, mega-eventi: no grazie”.

Riprendiamo quanto scritto su notav.info a proposito di quest’incontro, che si tiene in occasione della Giornata mondiale contro le Grandi Opere:

“Con le prossime Olimpiadi di Milano-Cortina 2026, l’ incubo ritorna reale nella stretta connessione tra mega-eventi e mega-opere. Riparte la litania di patriottismo e cultura dello sport che cela l’irrefrenabile voglia di appalti, accaparramenti e profitti, fondamenta di questi progetti. Riparte il ciclo di costruzione di nuove strutture, tra piste e bacini idrici per produrre neve artificiale, e la ristrutturazione di vecchi impianti al costo di distruggere progressivamente il paesaggio montano circostante […]

Di fronte ad ecosistemi svuotati ad alta velocità a suon di cave, debiti e speculazioni, in contrapposizione alla crisi ecologica provocata da questa megalomania, le montagne oggi più che mai sono baluardi da difendere . I nostri monti sono il luogo da cui nasce l’acqua e quindi la vita. Dove cede la montagna, cede un’intera catena del vivente. Come comunità rimane necessario riunirsi per condividere prospettive e pratiche di lotta in difesa di ciò che la montagna rappresenta, inaugurando e rafforzando alleanze internazionali per fermare il protrarsi di questi ecocidi.”

A chi ci sarà, diciamo: ci si vede oggi e domani in valle.

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28 Apr2023

Sbatti l’orso in prima pagina

28 Aprile 2023. Written by Redazione_am. Posted in Senza categoria, Staffette

Una colonna sonora

«La vita dell’orsa JJ4 non ci restituirà nostro figlio. Troppo comodo cercare di chiudere questa tragedia eliminando un animale, a cui non può essere imputata la volontà di uccidere. Non ci interessano i trofei della politica: noi pretendiamo che ad Andrea venga restituita dignità e riconosciuta giustizia. […] Le istituzioni non hanno fatto niente per spiegare alla gente come comportarsi con un numero così alto di orsi: cosa fare per prevenire incontri, quali zone non frequentare, come reagire a un attacco. […] Hanno lasciato tutti ignoranti e tranquilli, senza nemmeno installare i cassonetti anti-orso in tutti i paesi a rischio»

Così si è espresso Carlo Papi riguardo alla morte di suo figlio Andrea, ucciso dall’orsa JJ4 mentre transitava su una strada forestale del Monte Peller.

L’orso, una storia tra etimologia e immaginario

Abbiamo atteso affinché la tragedia occorsa potesse decantare. Ci siamo sforzati di farlo, nonostante l’enormità del dibattito che ne è scaturito.
Purtroppo nemmeno la forza delle parole dei familiari di Andrea Papi sono riuscite a sgombrare il campo dalle troppe distorsioni, a raddrizzare una discussione nata storta. Ora, dopo esserci costretti a strozzare il fiato nella speranza malriposta che potesse svilupparsi un discorso che prendesse le mosse dai dati di realtà, vorremmo provare a collocare a modo nostro i tempi, e lo spazio e gli esseri di – e in– questa storia. A intervenire con gli attrezzi che sappiamo maneggiare per provare a mettere a fuoco le prospettive, distanti dalle troppe tossicità che registriamo di continuo.

Quanto accaduto coinvolge chiunque, tanto chi in montagna ci vive quanto chi la vive per le più svariate ragioni e a noi pare che assumere la giusta distanza sia il modo, la prossemica imprescindibile per rapportarci con animali, selvatici o meno che siano. Che percepiamo come pericolosi oppure no. Una distanza – variabile da specie a specie, da esemplare a esemplare – emotiva ed analitica, resa difficile dal deflagrare sguaiato di retoriche contrastanti solo in apparenza, ma di fatto convergenti.

Il dibattito pubblico intorno alla questione orso a cui da qualche giorno assistiamo è infatti intriso di frasi fatte: purtroppo come ogni altro dibattito della contemporaneità si esaurisce in una falsa alternativa, tra posizioni che paiono avere come scopo quello di contrapporsi, ma che non fanno altro, in realtà, che alimentarsi a vicenda avvitandosi su sé stesse. Proviamo allora a riavvolgere il nastro, per poi trarre qualche considerazione a mente fredda.

I fatti, la natura (dentro e fuori)

La notizia di cui stavolta si è nutrito il tritacarne social-mediatico è quella di uno sportivo, Andrea Papi, aggredito e ucciso da un orso mentre attraversava un bosco[1].
Tutto questo a nostro avviso tende nervi che vanno molto al di là della paura degli animali selvatici e toccano argomenti molto vasti – che non approfondiremo ora – come rischio e sicurezza. Argomenti che associati alla montagna fanno tremare versanti e crollare seracchi. Negli ultimi decenni, con un’accelerazione ulteriore nel corso del periodo pandemico ci si è avvitati – rileviamo tra l’altro il riemergere del termine runner – intorno a una finta rincorsa al rischio zero in ogni ambito. O meglio: il sistema economico, sociale e politico in cui siamo immersi, che spinge quotidianamente il mondo per come lo conosciamo verso la catastrofe, ci dice che – allo stesso tempo – lavora per ridurre il fattore di rischio nella nostra vita. E lo fa attraverso una miscela di deresponsabilizzazione e colpevolizzazione individuali, in favore della definizione di regimi normativi accomunati dal dover essere profittevoli. Questo, associato a una visione del turismo sempre più aggressiva, ci fa stupire – e di converso lo stupore consente a chi legifera di reagire contro – in montagna e negli ambienti considerati “naturali” ogni qualvolta assistiamo a un incidente, a un alpinista che precipita, a un’aggressione da parte di animali selvatici, a una pietra che cade in testa a una persona su un sentiero e via discorrendo. Situazioni appunto “naturali”, (mettiamo la parola natura fra virgolette per segnalare che siamo in presenza di una costruzione culturale, nel momento in cui noi animali umani ci chiudiamo dentro i nostri confini – muri di casa, recinti, filo spinato – creiamo in modo automatico e ancestrale il fuori).
Chiamiamo “natura” ciò che consideriamo fuori ma noi non ne siamo estranei, siamo parte di questa “natura” che pretendiamo via via più addomesticata, finta. A prescindere dal fatto che l’animale sia oggetto di un progetto di introduzione per salvaguardarne la popolazione o che la pietra cada per il versante indebolito dai cambiamenti climatici o che l’alpinista sia un turista della domenica.

Queste situazioni sono “naturali”, nel senso che chi va in montagna, come chi va ovunque, sceglie di esporsi a potenziali situazioni di rischio. Non stiamo parlando di artefatti umani a cui sono stati tolti i dispositivi di sicurezza per aumentare la produzione, stiamo parlando di ciò che sta fuori i confini che abbiamo costruito e in cui ci pensiamo al sicuro. La condanna a morte degli animali che hanno infranto le regole del vivere civile (farebbe ridere se non fosse vero) evoca una volontà morale e sembra far percolare, al di là dell’umano, atteggiamenti di repressione e colpevolizzazione. Come nel caso del Casteller, una sorta lager per fauna in ergastolo ostativo, stiamo assistendo impotenti all’estensione del 41bis oltre ogni limite, stiamo applicando la pena di morte mentre ci illudiamo di salvare il pianeta legiferando intorno al comportamento dei cinghiali. Ma ora parliamo di orsi.

Premessa: abbiamo scritto dell’orso “oggetto di un progetto di introduzione per salvaguardarne la popolazione decimata”, proprio per evitare un termine che consideriamo un tranello bell’e buono: “reintroduzione”.
Il termine “reintroduzione” è funzionale – e infatti vi si accompagna in maniera insistente – alla narrazione luna park per cui il plantigrado sterminato dalle sagge vecchie generazioni sarebbe stato re-inserito in un contesto in equilibrio fragile, incapace di accoglierlo e per giunta a mero uso turistico, come se il resto della montagna trentina non fosse anch’essa asservita al turismo.
Se è poi vero che alcuni orsi sono stati immessi attraverso un progetto europeo – Life Ursus, avente scopo di rimpinguarne l’estenuata popolazione nativa del Brenta – lo è altrettanto il fatto che la specie non era sparita dalle Alpi centrali, così come continua a sconfinare dalle aree balcaniche sulle Alpi orientali.

Life Ursus

Life Ursus non è quindi etichettabile come progetto di reintroduzione tout court proprio perché, sottigliezza piccola solo in apparenza, non è tecnicamente possibile reintrodurre ciò che estinto non è. Ce n’erano pochi esemplari, vero, tre o quattro maschi superstiti in Brenta, come acclarato da progetti di monitoraggio dei primissimi anni ‘90. Ma, per quanto una popolazione non fertile sia senza futuro, non si può parlare (ancora) di una specie (Ursus Arctos) estinta.
E in assenza di estinzione parlare di reintroduzione prima ancora che prestarsi a fallacie logiche è scorretto, propedeutico alla creazione di immaginari distorti.

Immaginari come quello che pretende – a ricalco dei nazionalismi – orsi sloveni diversi dagli orsi nostrani, e che merita senza dubbio un accenno. Se è vero che ogni sottopopolazione è oggetto di “deriva genetica”, tanto maggiore quanto maggiore è il suo isolamento, immaginare che gli orsi trentini fossero diversi da quelli sloveni – una sottospecie univoca come l’orso marsicano – è una fandonia.
Da sempre la popolazione di orso è la stessa, che viva sulle Alpi Occitane così come in Grecia o nei boschi dinarico-balcanici. Inoltre l’orso, essendo un animale solitario, non acquisisce imprinting di gruppo diverso da quello dettato dall’istinto.

Il progetto Life Ursus ha dunque introdotto esemplari prima che la specie sparisse completamente dall’areale in questione, con l’obbiettivo dichiarato di non farne svanire la tenue memoria culturale presso le stesse popolazioni che abitano quei territori (in cui erano nel frattempo state costruite aree destinate alla tutela della fauna, plantigradi compresi, dei quali è dal 1939 vietato l’abbattimento).
Il Parco Nazionale dello Stelvio dal 1935, quello Adamello-Brenta dal 1967, quello regionale dell’Adamello dal 1983, costituiscono assieme al Parco Nazionale Svizzero (1914) un unico sistema di protezione della fauna territorialmente contiguo che valica i confini statali. Dal 1976 inoltre la Provincia Autonoma di Trento si è dotata di una legge finalizzata a prevenire ed indennizzare i danni da orso.

La crescita di popolazione degli orsi ci consente di affermare che Life Ursus è stato un successo e avviene con una dinamica nota: a difesa delle fasi che vanno dalla gestazione allo svezzamento (facciamo notare che il tasso di mortalità dei cuccioli nel primo anno di vita è del 75%) la femmina stabilisce un’area nucleo che i cuccioli abbandoneranno soltanto quando saranno indipendenti. Le giovani femmine della cucciolata replicheranno poi il comportamento materno, stabilendo nuovi perimetri entro i quali va prestata ogni cautela onde evitare situazioni di pericolo.

[1] Si scoprirà poi che l’orso “colpevole” dell’aggressione è l’esemplare JJ4, catturata mediante trappola a tubo il 19 aprile assieme a due dei suoi tre cuccioli, subito liberati perché già potenzialmente autonomi.

Danza di Capodanno degli orsi a Comănești (Romania)

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14 Mar2019

Primo Levi: parole e passi che amiamo percorrere

14 Marzo 2019. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni, Senza categoria

Prima che nascesse questo blog, prima ancora che cominciassimo a chiamare “alpinismo molotov” quello che stavamo facendo, e da allora in poi per tutti gli anni a venire, a pensarci bene il nostro spirito guida è sempre stato Primo Levi. A volte ne abbiamo parlato, altre volte non ne abbiamo nemmeno avuto bisogno.

Tornammo a valle coi nostri mezzi e al locandiere, che ci chiedeva ridacchiando come ce la eravamo passata, e intanto sogguardava i nostri visi stralunati, rispondemmo sfrontatamente che avevamo fatto un’ottima gita, pagammo il conto e ce ne andammo con dignità. Era questa, la carne dell’orso: ed ora, che sono passati molti anni, rimpiango di averne mangiata poca, poiché, di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto, neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino.
(Primo Levi, Ferro in Il sistema periodico, Einaudi, 1975)

Il compagno di avventure di Primo Levi sulle montagne piemontesi era Sandro Delmastro, primo caduto delle brigate partigiane “Giustizia e Libertà” nel cuneese. E in quelle parole c’è tutto ciò che noi chiamiamo “spirito molotov”.

Primo levi in vetta al monte Disgrazia (Agosto 1942)

Segnaliamo quindi con grandissimo piacere la rubrica Dizionario Levi inaugurata nei giorni scorsi su doppiozero e così presentata:

Il testimone, il chimico, lo scrittore, il narratore fantastico, l’etologo, l’antropologo, l’alpinista, il linguista, l’enigmista, e altro ancora. Primo Levi è un autore poliedrico la cui conoscenza è una scoperta continua. Nel centenario della sua nascita (31 luglio 1919) abbiamo pensato di costruire un Dizionario Levi con l’apporto dei nostri collaboratori per approfondire in una serie di brevi voci molti degli aspetti di questo fondamentale autore la cui opera è ancora da scoprire.

Il primo lemma di questo dizionario è Alpinismo, il testo è scritto da Giuseppe Mendicino.

Buona lettura.

 

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27 Giu2018

Croci sulla Grignetta… anche uncinate. Sul CAI Ballabio e i neonazisti

27 Giugno 2018. Written by Redazione_am. Posted in Senza categoria

Dei Lupi delle Vette, gruppo facente parte del network neonazista di Lealtà e Azione, aveva parlato recentemente Giap a proposito di questa vicenda, che li aveva visti riuscire, in un colpo solo, in una duplice maldestra impresa: travisare la storia di Felice Benuzzi e far passare la salita alla Punta Lenana (poco più che un’escursione) sul monte Kenya per un’impresa alpinistica di livello, con tanto di visita all’ambasciatore italiano e copertura sui quotidiani nazionali.

La vicenda, presto smascherata, era poi era rientrata nelle giuste proporzioni ma alla fine di ottobre, ecco il gruppo lanciarsi in un’altra meritoria opera: la croce della Grignetta “giace divelta nella polvere”, per usare le loro stesse parole, probabilmente a causa di un atto vandalico. Dopo qualche settimana, decidono quindi che è tempo di passare all’azione (in nomine omen del resto) e di salire in vetta per ripristinarla : “Non potevamo più stare a guardare.” Scrivono nell’album fotografico che pubblicano su Facebook “Un simbolo millenario di tradizione e civiltà non merita di giacere divelto nella polvere. Un simbolo da sempre caro a molti alpinisti e non, che nelle loro salite, dalle vie più facili a quelle più ardite, si sono sentiti protetti nei momenti di difficoltà per poi emozionarsi una volta raggiunta la cima con quella sensazione che solo chi vede una croce dopo tanta fatica conosce. Abbiamo saputo che è in arrivo una nuova croce: ne siamo felici e ribadiamo la nostra disponibilità per le necessità che la nuova posa richiederà. (…)”

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