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11 Lug2022

28 agosto 2022: una camminata molotov sul Sebino, in bilico tra frana e onda granda

11 Luglio 2022. Written by Redazione_am. Posted in In cammino

Nel post di adesione alla marcia «I sollevamenti della terra» e di lancio di nostre nuove camminate abbiamo parlato di cementificazione, stavolta raccontiamo di chi produce foraggio per quelle colate voraci. Di un cementificio. Un monstre polveroso che non solo fabbrica la materia con cui si fanno le grandi opere, con cui si consuma il suolo e si devasta il territorio. Esso stesso devasta il territorio.

A febbraio 2021 gli abitanti del lago d’Iseo hanno riscoperto la realtà di un fantasma sopito, più volte riscoperto e altrettante dimenticato. Il mostro è appollaiato di fianco a Tavernola Bergamasca, l’emanazione del suo fantasma gli aleggia tutt’attorno, sopra.

Tavernola Bergamasca

Tavernola dicevamo, paesello di 2000 anime esattamente a metà sponda Ovest del lago. Il monte Saresano, quel gigante che proteggeva il borgo sottostante, che lo riparava, cede.
Sistemi di monitoraggio in loco registrano una gigantesca porzione di costa che scivola 20-25 mm al giorno. Tra i 350 e i 650 m s.l.m., appiccicata al paese, questa enorme pista di pattinaggio costringe a evacuare comunità e apre squarci sui pendii che conducono a altre, isolandole.

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08 Mag2019

All’inseguimento della pietra verde (e della città di Rama)

8 Maggio 2019. Written by Redazione_am. Posted in In cammino, Récit

di Mariano Tomatis e Vecio

Percorso: Partenza e arrivo da Falcemagna, frazione di Bussoleno (TO), m 850 s.l.m. passando per la Fugera e le cave di marmo verde (quota massima m 1650 s.l.m.).

Dislivello: m 800 circa

Tempo di percorrenza: h 4.30 circa

Questa volta partiamo su impulso di una vecchia mappa: un enorme foglio ripiegato che descrive la bassa Valsusa del Settecento (l’Archivio di Stato la colloca tra il 1764 e il 1797). Due didascalie spalancano prospettive romanzesche. Nel triangolo tra Bussoleno, Chianocco e San Giorio segnalano alcune “rovine di Ramà”: forse tracce di Rama, l’Atlantide valsusina, la ciclopica città inghiottita da una catastrofe in un lontano passato? Più in alto riportano l’indicazione di una cava di marmo; non una pietra qualsiasi, ma il prezioso “marmore verde” di Susa, il materiale preferito dalle archistar di casa Savoia, tanto che se ne trova in tutte le principali chiese torinesi. Verde: come la pietra che – secondo Alberto Fenoglio – riposa nelle viscere del vicino monte Musinè, in un

antro misterioso dove chi aveva la fortuna di penetrarvi vedeva e udiva delle cose meravigliose. Lì abitava un mago che aveva scelto quel posto solitario per compiere incantagioni e fabbricare filtri magici. (1)

In alto: mappa del XVIII sec., Archivio di Stato, Torino. A sinista: “Rovine di Ramà” e “Rivo di Ramà” (particolare). A destra: “Baracconi per la Marmore. Cima del Combal del Pera. Qui si cava il Marmore Verde” (particolare).In alto: mappa del XVIII sec., Archivio di Stato, Torino. A sinistra: “Rovine di Ramà” e “Rivo di Ramà” (particolare). A destra: “Baracconi per la Marmore. Cima del Combal del Pera. Qui si cava il Marmore Verde” (particolare)

Difficile resistere a tante suggestioni: abbiamo tra le mani la mappa di un tesoro? Cosa sarà rimasto, a due secoli di distanza, di quanto segnala questo stropicciato ma affascinante reperto?

Lasciata alle spalle Bussoleno, raggiungiamo la frazione di Falcemagna dove parcheggiamo l’auto. Incamminandoci lungo la carrareccia che attraversa la borgata, incontriamo un compagno No TAV che vive lì per alcuni mesi dell’anno: conosce bene la zona e si adopera per tenere vivi i sentieri, ritrovando e rendendo praticabili quelli ormai spariti; riconosceremo il suo tratto nelle tracce segnate con vernice arancione. Superata Falcemagna, il sottobosco mostra ampie tracce del violento incendio che ha devastato la regione un anno fa. L’intero percorso è segnato da alberi carbonizzati – alcuni caduti, altri ancora in piedi ma completamente sventrati.

Tracce lasciate dal violento incendio del 2017

L’aria è tersa e sopra di noi, verso est, svetta l’alpeggio di Balmafol, sede di una delle più epiche vittorie della Resistenza in Valsusa; nell’estate 1944 la brigata d’assalto “Walter Fontan” si trovava in quota e da qui stava presidiando l’adiacente vallone del Prebech, sopra Chianocco; l’8 luglio 1944, per respingere un assalto da parte dei nazifascisti che salivano da Falcemagna, i partigiani avevano fatto rotolare giù dalla montagna enormi pietroni, capovolgendo le forze in campo e ottenendo una vittoria (letteralmente) schiacciante. Risaliamo lungo la carrareccia il vallone del Rio Molletta fino a imboccare quello che resta della mulattiera storica: fino a qualche decennio addietro era ancora lastricata ed era la strada “ufficiale” che portava alla cava. Nel punto in cui parte la mulattiera, un terrapieno ha sostituito alcuni grossi blocchi squadrati di minerale grezzo, visibili fino a qualche anno fa e ora spariti.

La salita è piuttosto ripida e in due ore raggiungiamo la Fugera (“Fugiera” sulla nostra mappa): è un eccezionale punto panoramico su cui sorgono due antichi edifici in pietra. Sulla mappa del Settecento sono indicati come “baracconi per la marmora”; secondo il Calendario generale pe’ regii stati del 1826, erano stati eretti per conto della Casa Reale

sia per alloggiarvi gli operai, sia per stabilirvi le opportune officine ad uso di essi. (2)

Uno dei baracconi è in stato di abbandono; l’altro è stato recentemente restaurato ed è utilizzabile come bivacco. Tra le istruzioni sulla ghiacciaia c’è l’invito a chiuderla ermeticamente: pare che un ghiro della zona abbia più volte mostrato interesse per i viveri all’interno. Firmato il quaderno dei visitatori, approfittiamo dell’ampio tavolo metallico all’esterno per pranzare.

Panorama dalla Fugera

Dalla Fugera, l’occhio spazia dalla Sacra di San Michele a sinistra su tutto il parco naturale Orsiera-Rocciavrè, fino al Colle delle Finestre e oltre. Da fondo valle giunge un rumore ritmico di percussioni: sono i tamburini che animano “Bussolegno 2019”, la festa del legno organizzata questo weekend a Bussoleno. In programma c’è anche la recita scolastica della prima elementare di Foresto; la rappresentazione si intitola “Il mago di Rama”. Cerchiamo con l’occhio l’area che – secondo la mappa – nel Settecento presentava le rovine della mitica città perduta: seguendo il corso della Dora, basta superare verso sinistra il vistoso centro commerciale Le Rondini: a sud della provinciale, la zona è fittamente punteggiata da costruzioni moderne; se qualche frammento di muro è ancora rintracciabile, bisogna concentrare le ricerche intorno all’area camper di Chianocco. Ma accanto alla ricerca sul campo c’è quella sulle carte d’archivio.

Un minuscolo dettaglio ci sembra rivelatore: l’accento. La nostra mappa non parla di “Rama” ma di “Ramà” – e per ben due volte, accostando il termine alle “rovine” e a un “rivo”. Come ci fa notare l’amico Roberto Revello, in piemontese “ramà” è il rovescio di pioggia improvviso – quella che oggi chiameremmo “bomba d’acqua”; il termine deriva dall’occitano e forse richiama la percossa o la caduta di un ramo per la violenza e la brevità dell’azione. Che l’area delle rovine sia a rischio allagamenti, la mappa lo dice chiaramente: sorge al fondo di un canalone che scende dalla montagna, nei pressi del punto in cui la Dora si divide in molti rivoli, a sottolineare l’esposizione della zona alle alluvioni. Le cronache del luogo registrano svariati disastri, a partire dallo straripamento del torrente Prebech (“uno dei torrenti più pericolosi del Piemonte”) che nel 1694 provocò un’alluvione: la forza dell’acqua fu tale da distruggere completamente la Chiesa di San Pietro di Chianocco, poi ricostruita in posizione sopraelevata nel corso del Settecento.

A sinistra: particolare dalla mappa del Settecento. A destra: Bussoleno sotto la valanga di fango del giugno 2018

Se nell’area che dominiamo con lo sguardo sorgeva una città, non ci stupiamo che possa essere stata distrutta da una piena o da una valanga particolarmente violenta, e che nel toponimo sia rimasta traccia della rovinosa “ramà” che ne segnò la fine; non è trascorso un anno (giugno 2018) dall’ultima grave frana di fango su Bussoleno, staccatasi a seguito dell’incendio e delle fitte piogge che hanno colpito la montagna su cui ci troviamo. (3) 

Consultando altri testi del Settecento, troviamo anche la città di Rama senza accento: consultando gli itinerari che attraversavano l’Impero Romano, il cartografo J.-B. B. d’Anville (1697-1782) la individua nel dipartimento francese di Hautes-Alpes, descrivendola nella Notice de l’ancienne Gaule (4) : gli antichi romani la collocavano tra Ebrodonum e Brigantio. I toponimi si sono conservati: a metà strada tra Embrun e Briançon, il paese di La Roche-de-Rame si trova sulla route nationale 94 che porta in Italia attraverso il passo del Monginevro.

A sinistra: la pagina su Rama di J.-B. B. d’Anville (1760). A destra: il laghetto di La Roche-De-Rame

Come in Valsusa, gli abitanti della zona sono impegnati in una lotta politica che ha al centro i trasporti: da anni il movimento Déviation-LRDR chiede che il piccolo centro abitato venga risparmiato dal passaggio di centinaia di TIR, proponendo una deviazione che tagli fuori il paese. Il toponimo “Rama” risale al tempo dei romani: è citato nell’Itinerario antonino(5) , un dettagliato registro delle stazioni dell’Impero Romano del III secolo d.C.

A sinistra: particolare dalla tavola 8 in William Hughes, An Atlas of Classical Geography, Sheldon & Co., 1870; rappresenta la mappa della Gallia in epoca romana e vi sono evidenziate le città di Vapincum (Gap), Ebrodunum (Embrun), Rama (La Roche-de-Rame), Brigantio (Briancon), Segusio (Susa) e Augusta Taurinorum (Torino). A destra: La Roche-de-Rame

E proprio all’epoca dei romani risalirebbero anche le cave verso cui siamo diretti. Nella sua lettera a Matilde Dell’Oro Hermil, Saint-Yves d’Alveydre aveva scritto che

le cave di marmo verde nei dintorni di Susa erano ancora sfruttate durante il periodo di Augusto. (6)

La missiva era stata pubblicata in coda a Roc Maol e Mompantero (1897), lo strano libro sulle tradizioni magiche del Rocciamelone recentemente riedito da uno di noi. Il riferimento alle cave ci era parso bizzarro, perché del tutto slegato dagli argomenti affrontati nella breve lettera – ma tanto più erano singolari le intenzioni del filosofo, tanto più circondavano il luogo di un’aura straniante.

È breve ma molto esposto il sentiero che, dirigendosi verso settentrione, dai baracconi della Fugera porta alle cave di marmo verde; l’ultimo tratto è attrezzato, ma la corda fissata alla parete è rovinata e in diversi punti si è staccata dalla roccia. Solo uno di noi si avventura fino all’imbocco della cava, arrivando a fotografarne i blocchi ancora in loco e recuperandone qualche piccolo frammento.

A sinistra: la cava di marmo verde. A destra: l’ultimo tratto di sentiero attrezzato da percorrere per raggiungerla

Uno sguardo alla montagna conferma quanto scrivevano nell’Ottocento: il filone è inesauribile; l’intero massiccio è composto dal prezioso oficalce. Non sappiamo quanto sia antico il sito che abbiamo raggiunto. Nel Seicento si parla di una

predera [cava] di marmore belisima a fine una grada [grande?] montagna et sene fa ogni sorte di opere belisime […] nela valle di Susa. (7)

A sinistra: un masso della cava di Falcemagna che presenta i segni caratteristici dell’estrazione. A destra: piccolo frammento di oficalce verde recuperato dalla cava

La cava viene riscoperta da un certo Ferraris di Cremona nel 1724: il ritrovamento è talmente sensazionale che il Re assicura all’uomo una pensione perpetua. (8)  L’architetto Guarino Guarini la impiega nello stesso anno per l’altare della Chiesa di Sant’Uberto nella Reggia di Venaria. Viene stilato un regolamento che ne governa lo sfruttamento e, leggendo le cronache dell’epoca, si intuisce che il lavoro richiesto agli operai è durissimo: una volta estratto, il marmo deve essere calato senza che si danneggi per quasi mille metri; è necessario impiegare slitte di legno, lungo un percorso accidentato e particolarmente ripido. Come ricorda Vincenzo Barelli,

i nostri marmorai, invece di salire alla cava per estrarne dei massi, sogliono approfittarsi di quei che si staccano di quando in quando dal monte e rotolano nella sottoposta valle (9)

Qualcuno potrebbe biasimarli?

Per tornare a Falcemagna, attraversiamo la boscaglia verso il bacino del Rio Rocciamelone; una volta raggiunto, scendiamo lungo la sua sinistra orografica attraverso una zona di roccia calcarea ricca di torri irregolari: si tratta di menhir naturali dalle forme bizzarre, nel più affascinante dei quali ci sembra di riconoscere la “sfinge susina” di cui scrive Matilde Dell’Oro Hermil. (10)

A sinistra: la sfinge susina. A destra: il Mago e il Vecio

Raggiungiamo la terrazza calcarea che costituisce la sinistra orografica della bassa Valsusa, tra Mompantero e Chianocco, passando di fianco alla parete rossa di Ca’ Teissard. Di qui, rientriamo in località Falcemagna attraverso il “sentiero degli orridi”, un’alternanza di carrareccia e sentiero che collega la Riserva naturale dell’Orrido di Foresto all’Orrido di Chianocco. Come Ramà, anche l’espressione “orrido” – che qui da aggettivo diventa sostantivo – testimonia il terrore dei nostri antenati di fronte alla forza distruttrice della natura. In latino horrère è l’atto di rizzarsi riferito ai peli del corpo: per significare l’orrendo, ricorriamo alla reazione fisica che induce. Le due gole rocciose devono le loro pareti strapiombanti all’azione dell’acqua del rio Rocciamelone e del torrente Prebech, e non è un caso che l’area contrassegnata come Ramà si trovi proprio a metà tra i due orridi. Poche altre aree reclamano in modo altrettanto drammatico cura, manutenzione e serie politiche di messa in sicurezza; a chi li sappia leggere, perfino i toponimi – qui in Valsusa – gridano la loro contrarietà allo sperpero legato al progetto TAV.

Note

1. Alberto Fenoglio, A caccia di tesori, Piemonte in Bancarella, Torino 1970, pp. 103-6.
2. Calendario generale pe’ regii stati, Giuseppe Pomba, Torino 1826, p. 586.
3. Vedi qui le ricostruzioni topografiche dei Vigili del Fuoco
4. J.-B. B. d’Anville, Notice de l’ancienne Gaule, Desaint & Saillant, Parigi 1760, pp. 537-8.
5. Rama è citata lungo il percorso 29 da Mansio Ebrodunum (Embrun) a Mediolanum (Milano) in Charles Athanase Walckenaer, Géographie ancienne historique et comparée des Gaules cisalpine et transalpine, Vol. 3, P. Dufart, Parigi 1839, pp. 24-5 e lungo il percorso 55 da Brigantio (Briançon) a Vapincum (Gap) a p. 42.
6. Matilde Dell’Oro Hermil, Roc Maol e Mompantero, Tabor Edizioni, Susa 2018 (I ed. 1897), p. 60.
7. ASTo, Corte, Materie Economiche, Miniere, m. 2, n. 11, s.d. ma circa 1608 trascritto in appendice a Maurizio Gomez Serito, “Pietre e marmi per le architetture piemontesi: cantieri urbani affacciati sul territorio” in Mauro Volpiano (ed.), Il cantiere sabaudo tra capitale, provincia e residenze di corte, Torino 2013, p. 203.
8. Calendario generale pe’ regii stati, Giuseppe Pomba, Torino 1826, p. 586.
9. Vincenzo Barelli, Cenni di statistica mineralogica degli stati di S.M. il re di Sardegna, Giuseppe Fodratti, Torino 1835, pp. 68-9.
10. Hermil 2018, p. 6.

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21 Mar2019

Diverso il suo rilievo, un anno sabbatico per ripartire di slancio: appuntamento al 2020

21 Marzo 2019. Written by Redazione_am. Posted in Diverso il suo rilievo

La notizia è che la nostra festa Diverso il suo rilievo quest’anno salta un turno. È stata una decisione maturata mentre già avevamo individuato il luogo in cui avremmo desiderato proporla in questo 2019, dopo che avevamo fatto un sopralluogo, con un programma strutturato a grandi linee.

Perché dunque per la terza edizione della nostra festa cosmica dovremo attendere il compimento di un moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole? Perché dopo cinque anni dalla nascita di Alpinismo Molotov, la banda disparata che porta avanti questo progetto ha bisogno di fare il punto, rinsaldarsi e prendersi cura delle relazioni, fare brainstorming libero e cazzeggiare. In montagna, insieme, come negli ultimi tempi sempre più raramente riusciamo a fare.

Presentando nel 2017 la prima edizione di Diverso il suo rilievo scrivemmo:

A noi della montagna, dell’escursionismo, dell’alpinismo interessa la dimensione sociale.
La convivialità, il ritrovarsi, il discutere e scambiarsi esperienze, ed è questa la ragione principale che ci spinge a organizzare la nostra prima festa.

In questo nulla è cambiato, quel che ci interessa della montagna, dell’escursionismo, dell’alpinismo è e rimane sempre la dimensione sociale. Ma ci siamo resi conto che la banda ha bisogno di nutrimento, mentre organizzare una festa grande come sono state le prime due edizioni (i rècit collettivi si possono leggere qui e qui) – per quanto ci abbiano infuso energie e good vibration – necessita di un investimento di energie e risorse che in questo momento sottrarremmo a quelle che ci permettono, nella bruta battaglia della quotidianità che ognunx di noi conduce, di mantenere vivo Alpinismo Molotov, a immaginare l’evoluzione nel futuro di questo progetto.

Nelle piccole comunità di montagna non è difficile imbattersi in feste a cadenza pluriennale, perché nell’economia di queste comunità organizzare ogni anno momenti importanti di festa risulterebbe troppo gravoso. Dunque, abbiamo pensato, la festa grande si fa quando ci sono le risorse per farla, senza rischiare di consumare tutte le scorte in un grande ed effimero – per quanto magnifico – evento.
D’altro canto, la regola interna della nostra banda è sempre stata “si può quel che si fa”, perché non dovrebbe essere una norma valida anche in questo caso?

Quel che faremo sul venir dell’estate, sui pendii di una montagna, sarà riunirci, darci il tempo e il luogo di una condivisione più intima. Camminando sui sentieri e seduti attorno al fuoco raccoglieremo parole e storie. Non immaginiamo un incontro esclusivo o per solx inziatx, ma uno spazio-tempo in cui rinsaldare – con le menti occupate solamente da quel che siamo e quel che vorremmo essere – quest’alleanza di «escursionisti con la penna in mano, lettori con gli scarponi ai piedi» che abbiamo nominato Alpinismo Molotov.

Lo faremo tenendo lo sguardo rivolto in avanti, oltre il tempo di una rivoluzione solare, alla festa grande che sarà.

 

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31 Lug2018

Cercando libertà tra faglia e faglia: il récit collettivo di Diverso il suo rilievo 2018

31 Luglio 2018. Written by Redazione_am. Posted in Diverso il suo rilievo, Récit

Filo: Siamo corpo. Il mondo ci si rivela attraverso i sensi. Passiamo una mano su un sasso e percepiamo diversità di rilievo nell’ordine del decimo di millimetro; ci sediamo sul prato e riceviamo immediatamente informazioni su temperatura, umidità, conformazione del suolo, qualità e quantità del rivestimento vegetale. Se poggiamo le chiappe su un cardo il mondo ci parla a tu per tu, anche senza essere botanici; stesso discorso quando le narici vengono stordite dalla ginestra.

Non abbiamo l’olfatto del cane, la vista del falco, l’udito del gatto, ma i nostri sensi sono strumenti piuttosto precisi, e contribuiscono in maniera determinante alla costruzione della nostra realtà, anche quando si fanno ingannare. Desideri, fantasie, proiezioni ed emozioni colorano, danno forma, mutano in continuazione i nostri corpi. Ci ingobbiscono, ci prostrano, ci fanno camminare a un metro da terra, andare a testa alta.

È sui nostri corpi che il tempo prende appunti, li cosparge di cicatrici, fratture, segni, righe, rughe, pieghe, nei. I nostri corpi occupano spazio e sono misura dei nostri percorsi. L’unicità di ogni individuo è scritta, si manifesta nella sua corporeità.

È nelle occasioni in cui si torna a questi dati minimi di concretezza, credo, che i ragionamenti, i discorsi, le azioni acquisiscono un senso. Ma il mondo in cui viviamo, il tempo spietato del tardo capitalismo, ci aliena dai nostri corpi e li ostacola: tende fili taglienti, linee, muri, confini. Confini che ci vengono spacciati come naturali. I passaggi si fanno angusti: o si accetta di pietrificarsi in pose da contorsionista, robe mai viste nemmeno nella più rocambolesca partita a Twister, o ci si ferisce su quei fili, su quei confini. Molti perdono tout court la vita.

Simone: L’avvicinamento a Diverso il suo rilievo 2018 è stato per noi “locali” molto lungo, ricordo ancora con un misto di gioia e ansia l’annuncio dello scorso anno proveniente dal Vis Rabbia: “Ehi, abbiamo deliberato in maniera plebiscitaria che la seconda festa di Alpinismo Molotov si terrà sui Sibillini”.

Nel luglio del 2017 eravamo in piena fase preparatoria del Terre in Moto Festival a Fiastra, il cratere era ancora un cratere, immaginare Diverso il suo rilievo era la cosa più meravigliosamente folle che potevamo aspettarci. Gli ultimi mesi di preparazione, l’individuazione della location e la preparazione logistica, sono stati preceduti dalla sparatoria fascista a Macerata, dalla seguente straordinaria manifestazione del 10 febbraio e da tutto ciò che a cascata ne è seguito. Il cratere inoltre è ancora un cratere, in cui nel frattempo è ricresciuta l’erba sopra le macerie (metaforicamente ma non solo). La stessa festa si è tenuta in concomitanza con l’insediamento del nuovo governo e Diverso il suo rilievo è stata una tre giorni in cui si è respirato molto, una lunga boccata d’ossigeno prima di immergersi in quello che sarebbe venuto di lì a poco e di cui tutti eravamo purtroppo consapevoli.

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07 Giu2018

#DiversoRilievo2018: una festa cosmica

7 Giugno 2018. Written by Redazione_am. Posted in Diverso il suo rilievo

La nostra festa “cosmica” si è chiusa già da qualche giorno. Non ci giriamo attorno: la seconda edizione di Diverso il suo rilievo è stata un pieno successo, un risultato non scontato dopo la già riuscitissima “festa col botto” al VisRabbia di Avigliana dello scorso anno.
Siamo felici di aver organizzato questa seconda edizione della festa sull’altipiano di Macereto, al centro del “cratere” del sisma che a partire dal 2016 fa tremare la terra negli Appennini centrali: ci ha dato la possibilità di incontrare uomini e donne che non si sono fatte piegare, che quotidianamente contrastano la «strategia dell’abbandono». È grazie a loro che possiamo parlare di successo, siamo grati a Marco Scolastici dell’Azienda agricola “Scolastici”, a chi ha preparato i pasti, a chi ci ha accompagnato lungo i sentieri dei Sibillini, a Terre in moto Marche, ai compagni e alle compagne del CSA Sisma. A loro, un enorme e sincero grazie.

Questo senso di felicità, come spesso succede quando la tensione si allenta, ha rallentato i nostri riflessi; alla felicità si confonde la malinconia, mancano le parole o meglio – poiché troppe se ne sono accumulate durante i tre giorni – si fatica a trovare quelle giuste per raccontare.
Una sensazione simile a quella che si vive durante la discesa dopo essere saliti in quota, aver raggiunto una vetta: ci si accompagna con la consapevolezza che si sta rientrando alla quotidianità, con i suoi abbruttenti tempi routinari.

Diverso il suo rilievo si è nuovamente mostrato come un “campo di forza” in grado di attirare corpi coscienti e solidali: questi tre giorni di vita in comune – camminare, parlare, ascoltare, mangiare, ballare, dormire insieme – hanno opposto resistenza alle condizione contemporanea di isolamento, hanno sabotato la divaricazione tra linguaggio e corpi. In breve, hanno trasmesso a tutte e tutti i partecipanti il calore della condivisione, ravvivato le basi della solidarietà.

Anche per queste ragioni, l’unico modo di narrare queste tre giornate è in forma corale: invitiamo chi è stato con noi alla festa a raccontarci il proprio “diverso rilievo” in festa, inviandoci via e-mail un’immagine, un episodio o un aneddoto, quello che ognuno sente come un tassello importante di questa esperienza collettiva.

Un secondo giro di dovuti ringraziamenti per gli ospiti che hanno portato il loro “diverso rilievo”, che fosse in un dibattito, una performance, un racconto durante le escursioni a “passo oratorio”. Un grazie alla Wu Ming Foundation, la grande casa comune. A tutti e tutte le partecipanti, ai nostri “compagni di scarpinate” dello sciame apeino: è stato quel che è stato per i passi e i discorsi condivisi.

Il blues del rientro alla quotidianità passerà presto, i tempi bui che viviamo spingono ad incupirsi, ma la luce stellare che nella notte ha vegliato su Diverso il suo rilievo ci guiderà. L’energia positiva accumulata, che è a lento rilascio, servirà per continuare il nostro cammino, sempre avanti «cercando libertà tra rupe e rupe».

Ad accompagnarci poche ma solide certezze: «si parte e si torna insieme», non solo in montagna, perché «o ci si salva tutti e tutte, o non si salva nessuno».

Ringraziamo il Collettivo fotografi del CSA Sisma (Davide Spaccasassi, Michele Massetani e Simone Romiti) e Alberto “Abo” Di Monte per le fotografie presenti nel post.

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29 Mag2018

I confini della patria nella lunga estate calda. Intervista a Italian Limes in vista di Diverso il suo rilievo 2018

29 Maggio 2018. Written by Redazione_am. Posted in Diverso il suo rilievo, Rizomi / Esplorazioni

Italian Limes sarà ospite della nostra festa, Diverso il suo rilievo 2018 (hey, manca pochissimo!). Chi sta dietro e porta avanti il progetto – Marco Ferrari, Elisa Pasqual, Andrea Bagnato – interverrà durante la discussione intitolata Il clima è cambiato che si terrà sabato 2 giugno alle ore 18,00, una tavola rotonda a cui parteciperanno anche Wu Ming 1 e Matteo Meschiari. Questa intervista – realizzata il 19 aprile scorso – ha lo scopo principale di presentare il progetto a chi segue il nostro blog. Per Italian Limes ha risposto alle nostre domande Marco.

AM: Iniziamo dal grado zero: di cosa si occupa il progetto Italian Limes e come è nato?

IL: Abbiamo iniziato a lavorarci nel 2014 perché siamo stati invitati a proporre un tema di ricerca e un’installazione per la Biennale di Architettura di Venezia. L’intento dei curatori (Rem Koolhaas e Ippolito Pestellini Laparelli per la sezione “Monditalia”, all’interno della quale eravamo ospitati) era quello di esplorare il territorio italiano attraverso una serie di progetti, ognuno dei quali doveva essere incentrato su un luogo e un tema particolari. Ci è sembrato da subito interessante guardare al confine italiano come una sorta di “falso luogo”, un dispositivo attraverso il quale indagare le relazioni fra geopolitica, cartografia e rappresentazione del territorio. Quindi abbiamo deciso di guardare non tanto al confine mediterraneo – all’epoca già ampiamente al centro della cronaca e del dibattito politico – ma a quello settentrionale, alpino: un confine in apparenza “pacificato”, smaterializzato dall’istituzione degli Accordi di Schengen.

AM: Tra l’altro ultimamente, ancora nelle ultime settimane, tutta questa polemica che probabilmente si basa anche su interpretazioni parziali sul confine marittimo fra la Francia e l’Italia è tornata alla ribalta…

IL: Sì, anche su questo confine ci sono molte questioni irrisolte, da questa che hai appena citato tu, a quella più nota del Monte Bianco, che ciclicamente torna sulle pagine dei giornali. A noi, però, interessava mettere in discussione la distinzione fra un confine “interno” (come appunto viene definito quello che separa l’Italia dalle altre nazioni europee) ed uno “esterno”, che delimita lo spazio Schengen a meridione. Ci interessava, in particolare, indagare la scomparsa della manifestazione fisica del confine terrestre a seguito dell’apertura delle frontiere europee di metà anni ’90 – un confine, però, che rimane chiaramente indicato sulla carta. Cos’è un confine, da un punto di vista sia fisico che legislativo? Come lo si riconosce quando lo si attraversa? Esistono delle differenze fra confini naturali e artificiali? Non da ultimo, volevamo guardare alle Alpi come a un caso studio unico nel suo genere: pur essendo un grande parco nel tessuto di un’enorme città policentrica – quale è oggi l’Europa – è ancora un territorio formalmente diviso fra otto nazioni diverse.

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