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20 Nov2018

Alpinismo queer, transfemminismo molotov

20 Novembre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Anche se per noi è un luogo d’elezione, non ci siamo mai illusi di trovare, nella montagna, una salvifica frontiera, una via di fuga dalle nostre quotidianità, un “altrove” rispetto alla società delle ingiustizie e delle prevaricazioni. Non a caso, tra gli obiettivi che ci prefissammo nel manifesto di Alpinismo Molotov, e che ancora oggi perseguiamo, ci sono quelli di «denunciare l’oleografia, sbertucciare eroismo, superomismo e machismo». Tanto i sentieri che si inerpicano quanto le strade delle nostre città sono infestati da individui sinistri: xenofobi, omofobi e transfobici per i quali la montagna è terreno di conquista e rivalsa personale. Ed è da tempo immemore, da quando le montagne conquistarono gli uomini, che la loro immagine e la loro narrazione sono state plasmate – citando George Lakoff – sul modello del (e dalla penna di qualche) «Padre Severo».

Per noi, invece, andar su e giù per i declivi e guardare il mondo dal punto di vista delle storte montagne è prassi fondamentale, perché ci arricchisce di «“nuove armi” con cui affrontare il vivere quotidiano». Un arricchimento reso possibile dalla dimensione collettiva del nostro procedere (e retrocedere, quando serve), dalla preminenza delle parole sul passo (ci piace chiamarlo «passo oratorio»), dal procedere «regolando il passo al ritmo del più lento», dal comandamento che ci ha impartito il movimento No Tav della Valsusa: «Si parte e si torna insieme».

Ci definiamo una “banda disparata”, consapevoli che una sola vocale ci distingue da una banda disperata: a salvarci è la stessa dimensione collettiva, le relazioni che si sono intrecciate grazie ad Alpinismo Molotov, le amicizie e lo spirito di sorellanza che si sono strette. Questo collettivo alpinistico è stato, per molt* di noi, un sacchetto di sabbia sull’uscio, un argine contro la marea di passioni tristi che la società contemporanea sciaborda a ritmo costante.

Oggi su Giap è stata pubblicata la prima parte di un “racconto di formazione” scritto dalla nostra compagna Filo Sottile: Sì trav. Come la militanza #NoTav mi ha dato il coraggio di diventare me stessa, più volte vi è citato Alpinismo Molotov, ma non è per questo che vi invitiamo a leggerlo: quello di Filo è un intervento eccezionale, che grida a gran voce che – anche là dove pare impossibile e tutto sembra dire «di qui non si passa», «tutt* insieme, con un po’ di determinazione e creatività si può passare». E diventare se stess*, diventare persone.

Alpinismo Molotov – oggi più di ieri – è disparatamente (e disperatamente!) transfemminalpinista.

 

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06 Nov2018

Ai fantasmi della Diserzione e dell’Ammutinamento, a chi disobbedì alla guerra

6 Novembre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Negli ultimi anni in diverse occasioni abbiamo manifestato il nostro disgusto per la retorica di guerra che ha scandito quest’ultimo triennio, 2015-2018, in occasione del centenario di quella carneficina che fu la Prima guerra mondiale. Una retorica che lungo un secolo si presenta come linea di continuità e che ha fatto della “grande guerra” il mito fondativo dello stato-nazione Italia. Una retorica che, come abbiamo scritto, non avrebbe risparmiato le Alpi, un secolo fa assurte a «sacro confine» che andava per l’Italia spostato di forza verso nord per logiche imperialiste e di annessione, le stesse ragioni che portarono alla guerra e che produssero una carneficina senza precedenti, facendo della popolazione civile un bersaglio allo stesso modo delle truppe degli eserciti nemici e di ogni territorio un campo di battaglia in cui sperimentare nuove e micidiali tecnologie militari.

La Grande Sbornia Nazionalista dovrebbe aver raggiunto il punto più alto con le cerimonie del 4 Novembre, «Festa dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate», giornata celebrativa istituita nel 1919 e che ha attraversato decenni di storia italiana: l’Italia monarchica e liberale, quella fascista e quella repubblicana. Non solo le grandi celebrazioni con le alte cariche dello stato sull’attenti, ai piedi dell’Altare della patria come nelle città simbolo dell’irredentismo italiano Trento e Trieste, non solo nei discorsi dei generali e dei settori conservatori e reazionari della società italiana (che in maniera inquietante, ma non sorprendentemente, si amplificano rispecchiandosi uno nell’altro), ma in ogni paese e città. Perché quella guerra si è cristallizzata in una memoria di stato che si è stratificata lungo il secolo passato fino a divenire parte stessa del paesaggio italiano: nei fiumi e nelle montagne “sacri alla patria” (si veda la recente intitolazione del monte Adamello), nell’odonomastica dei paesi e delle città, nei monumenti ai «figli migliori» ammazzati per la grandeur nazionale disseminati in ogni paese.

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14 Set2018

Il codice dell’oro nella “Valle dei segni”.
Alpinismo Molotov Live a Capo di Ponte (BS)

14 Settembre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Il codice dell’oro, di cui abbiamo già scritto sul blog, questo strano libro nato bifronte e che va arricchendosi di nuove facce adattandosi al contesto e all’occasione in cui viene presentato dai suoi tre autori (o meglio, quattro) – Mariano Tomatis, Davide Gastaldo, Filo Sottile e Matilde Dell’Oro Hermil –, si sta rivelando un prodigioso utensile per hackerare realtà e narrazioni.

Chi ha partecipato nel giugno scorso alla nostra festa cosmica ha avuto la possibilità di rendersene conto di persona, partecipando alla presentazione di questo libro sull’altipiano di Macereto. Una testimonianza nero su bianco della capacità di traslare dalle Alpi agli Appennini – per restare al caso appena citato – uno sguardo che non sia vittima della credulità e, al contempo, non rinunci al gusto dell’incanto e della meraviglia è Il paradiso della regina Sibilla. Un manuale per la creazione dell’Incanto, che Mariano Tomatis aveva curato proprio in occasione di Diverso il suo rilievo 2018.

Si tratta di procedere in bilico, muovendosi alla ricerca di sempre nuovi punti di equilibrio, cercando appoggi sicuri dove posare i piedi, dato che questo percorso – questa via, questa ricerca – non può che essere sconnesso e irregolare, così come irregolare è una linea di sutura.

Cosa c’entra con la montagna? Molto, almeno dal nostro punto di vista. Nel nostro manifesto è scritto che «l’Alpinismo Molotov va sulle montagne per recuperare storie che a piedi si vedono e tessono meglio», e ancora che «la “montagna” è un deposito di storie e segni di passate rivolte, resistenze, repressioni, che attendono di avere nuovamente voce». Non è invece scritto, ma andrebbe aggiunto, che altrettanto importante per noi è trovare il modo migliore per ridare voce alle storie recuperate e luce ai segni rinvenuti.

A partire da queste considerazioni l’occasione che si è data di poter presentare il Codice dell’oro in Valcamonica – la “Valle dei segni”, come sancito dalla macchina del marketing territoriale, che questa volta azzecca una scelta felice –, all’interno di uno dei parchi archeologici di arte rupestre di Capo di Ponte, non poteva essere che accolta con entusiasmo.

Prima di continuare, ecco i dettagli della presentazione: sabato 22 settembre 2018, ore 15:30, presso il Parco archeologico comunale di Seradina – Bedolina, Capo di Ponte (BS).

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08 Ago2018

Curare il sisma con un sisma. Risorgimarche e la montagna che non ha nulla da festeggiare

8 Agosto 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

La montagna come zona depressa, luogo in cui portare lavoro, ricchezza, turismo: a questa narrazione semplificatoria abbiamo sempre prestato attenzione e posto critiche alle false soluzioni: eliski, nuovi impianti di risalita, eventifici d’alta quota, eccetera.

Le montagne sempre più sono ridotte a splendido e muto scenario per eventi e spettacoli, scenografia non artificiale per artificiali attrazioni da luna park.

Siamo organizzatori di Diverso il suo rilievo, una festa che si svolge in montagna, a suo modo il nostro banco di prova della teoria che si fa prassi, abbiamo sempre sostenuto un festival importante come quello di Alta Felicità in Valsusa e ci siamo chiesti esplicitamente come si possa fare una festa in montagna.

Quel che ci è chiaro è che non c’è una risposta conclusiva, univoca e definitiva, al quesito. Al solito, la realtà è complessa ed è buona pratica non accettare risposte semplici(stiche).
Detto questo, ci sono casi in cui le dimensioni, l’impatto e le modalità con cui vengono svolti determinati eventi in aree montane non dovrebbero lasciare dubbi sulla loro inopportunità o comunque sulla loro criticità.

Ci sono eventi però che pare non possano essere messi in discussione, come Risorgimarche, kermesse di concerti che vengono proposti sui Sibillini.
In maniera appassionata Phil Connors ne ha messo in luce le criticità in una sua analisi apparsa su Facebook. La proponiamo volentieri sul nostro blog (altri commenti critici ci vengono segnalati: Paolo Piacentini, Leonardo Animali, Mario di Vito).

Il concerto di Jovanotti a Risorgimarche.

 

Provo a spiegare perché Risorgimarche è un evento che mi sta profondamente sulle palle. Inizio con due precisazioni.

A chi dice (tanti amici e amiche che stimo) “io ci sono stato ed è bellissimo” rispondo laconicamente “grazie ar cazzo”, un concerto di un’artista che ti piace (presumo, visto, che ci sei andato), gratis e in una location evocativa. Ovviamente, ti è piaciuto. Purtroppo però dire che una cosa ci piace non può essere l’unico discrimine o l’ancora di salvezza, anche chi va in un resort a 3000 metri di quota o chi parcheggia sopra alla fioritura di Castelluccio dice “io ci sono stato ed è bellissimo”. La propria singola soddisfazione, ripeto, non basta.
Seconda precisazione rispetto a chi dice “e allora … (le foibe, i marò, Montelago, Woodstock, la sagra de la papera, il deltaplano, le SAE)” vorrei dire che a colpi di “allora” siamo arrivati a dover rispiegare perché bisogna vaccinarsi o perché se sei nero hai diritto di campare come me.

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10 Lug2018

Le dimensioni non contano… il nazionalismo tossico in Adamello rimane

10 Luglio 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Si sono svolte nel fine settimana appena passato le iniziative «Adamello – Vetta Sacra alla Patria», in questo post avevamo raccontato l’evoluzione del progetto dal dicembre 2016 fino a gennaio 2018. Ci pare doveroso un aggiornamento e proporre alcune riflessioni a caldo, anche perché se già all’inizio di quest’anno il progetto era stato ampiamente ridimensionato per ricomporre il vario Comitato promotore dopo le proteste e le polemiche sul forte impatto ambientale che avrebbe avuto la realizzazione del progetto iniziale, l’effettivo svolgimento delle celebrazioni si è caratterizzato per un ulteriore ridimensionamento degli sfarzi annunciati per questa cerimonia e il tutto si è svolto in tono minore.

Volevano un bandierone da un chilometro, hanno (mal) steso un tricolore di 50 metri per 9 appena sotto la vetta (versante sud); volevano il Presidente della Repubblica, hanno avuto un assessore regionale; volevano le Frecce tricolori, hanno avuto il sorvolo di tre Tornado militari decollati dall’aeroporto militare di Ghedi; puntavano a un evento che avesse un respiro nazionale, ma anche la copertura dei media è rimasta largamente ancorata alla dimensione locale.

Scarponi di un alpino liberati dal ghiacciaio in Adamello.

Quella che invece risulta confermata, nonostante gli sforzi degli organizzatori di ammantare l’iniziativa di spirito di fratellanza tra i popoli che durante la Grande guerra si fronteggiarono lungo il fronte adamellino, è la narrazione degli eventi bellici, plasmati a uso e consumo del presente, dove gli “eroi” di un secolo fa – e quelli ricordati, senza mai nome e cognome, sono sempre eroi, anche se a guerreggiare ci erano finiti obtorto collo, portati in trincea con la forza coercitiva dello stato – sono arruolati oggi per rafforzare una rappresentazione della storia d’Italia priva di punti di rottura e di conflittualità. Non è un caso che il nocciolo duro del comitato promotore sia composto da militari, in servizio o a riposo: l’Esercito italiano si è sempre dimostrato solerte nell’autoassolvere le proprie gerarchie da ogni responsabilità (per le migliaia di uomini mandate al macello per la conquista del nulla, come per le decimazioni ai danni degli insubordinati) e nell’autorappresentarsi come elemento di continuità statuale resistente a ogni rottura della storia.

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29 Mag2018

I confini della patria nella lunga estate calda. Intervista a Italian Limes in vista di Diverso il suo rilievo 2018

29 Maggio 2018. Written by Redazione_am. Posted in Diverso il suo rilievo, Rizomi / Esplorazioni

Italian Limes sarà ospite della nostra festa, Diverso il suo rilievo 2018 (hey, manca pochissimo!). Chi sta dietro e porta avanti il progetto – Marco Ferrari, Elisa Pasqual, Andrea Bagnato – interverrà durante la discussione intitolata Il clima è cambiato che si terrà sabato 2 giugno alle ore 18,00, una tavola rotonda a cui parteciperanno anche Wu Ming 1 e Matteo Meschiari. Questa intervista – realizzata il 19 aprile scorso – ha lo scopo principale di presentare il progetto a chi segue il nostro blog. Per Italian Limes ha risposto alle nostre domande Marco.

AM: Iniziamo dal grado zero: di cosa si occupa il progetto Italian Limes e come è nato?

IL: Abbiamo iniziato a lavorarci nel 2014 perché siamo stati invitati a proporre un tema di ricerca e un’installazione per la Biennale di Architettura di Venezia. L’intento dei curatori (Rem Koolhaas e Ippolito Pestellini Laparelli per la sezione “Monditalia”, all’interno della quale eravamo ospitati) era quello di esplorare il territorio italiano attraverso una serie di progetti, ognuno dei quali doveva essere incentrato su un luogo e un tema particolari. Ci è sembrato da subito interessante guardare al confine italiano come una sorta di “falso luogo”, un dispositivo attraverso il quale indagare le relazioni fra geopolitica, cartografia e rappresentazione del territorio. Quindi abbiamo deciso di guardare non tanto al confine mediterraneo – all’epoca già ampiamente al centro della cronaca e del dibattito politico – ma a quello settentrionale, alpino: un confine in apparenza “pacificato”, smaterializzato dall’istituzione degli Accordi di Schengen.

AM: Tra l’altro ultimamente, ancora nelle ultime settimane, tutta questa polemica che probabilmente si basa anche su interpretazioni parziali sul confine marittimo fra la Francia e l’Italia è tornata alla ribalta…

IL: Sì, anche su questo confine ci sono molte questioni irrisolte, da questa che hai appena citato tu, a quella più nota del Monte Bianco, che ciclicamente torna sulle pagine dei giornali. A noi, però, interessava mettere in discussione la distinzione fra un confine “interno” (come appunto viene definito quello che separa l’Italia dalle altre nazioni europee) ed uno “esterno”, che delimita lo spazio Schengen a meridione. Ci interessava, in particolare, indagare la scomparsa della manifestazione fisica del confine terrestre a seguito dell’apertura delle frontiere europee di metà anni ’90 – un confine, però, che rimane chiaramente indicato sulla carta. Cos’è un confine, da un punto di vista sia fisico che legislativo? Come lo si riconosce quando lo si attraversa? Esistono delle differenze fra confini naturali e artificiali? Non da ultimo, volevamo guardare alle Alpi come a un caso studio unico nel suo genere: pur essendo un grande parco nel tessuto di un’enorme città policentrica – quale è oggi l’Europa – è ancora un territorio formalmente diviso fra otto nazioni diverse.

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