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15 Gen2018

Blues per le terre nuove, Wu Ming 1 live a Torino

15 gennaio 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Qui nasce(va) il Po.

È stata molto divulgata, questa estate, la notizia delle sorgenti disseccate del Po. Il grande fiume rischia di diventare un torrente e nessuno lo aveva previsto. Se così fosse la fine del delta sarebbe questione davvero di pochissimo tempo.
L’aria qui ai piedi delle Alpi è calda, massime oltre i dieci gradi in pieno gennaio, pioggia a quote alte, rischio idrogeologico notevole.

Pensiamo alle centinaia di metri di dislivello coperte di decine di centimetri di polvere farinosa accumulata nel dopo incendio, sospesa sopra la Val Cenischia, in attesa di un carico d’acqua sufficiente a muoverla verso il basso in forma di fango e frana. Il comune di Mompantero la settimana scorsa ha dovuto dichiarare lo stato di emergenza proprio per questo motivo. Il rischio è concreto: zone antropizzate, da sempre colonizzate a fatica, oggi si trovano in modi diversi in stato di abbandono e rischiano di venire sommerse.

La siccità e l’alluvione. I due aspetti ovviamente si tengono: sono lo stesso fenomeno. Non c’è dualismo tra terre molto alte e terre molto basse. Sono accomunate dal fatto che il problema si presenta prima e in modo più evidente ed eclatante agli “estremi del campo”.

Alpinismo Molotov propone e promuove un incontro con Wu Ming 1 per inquadrare la questione dalle zone più basse d’Italia. L’appuntamento è venerdì 19 gennaio, 21.30 al Molo di Lilith, via Cigliano 7, Torino. Ingresso libero con tessera ARCI.

«Blues per le terre nuove: il cambiamento climatico e la fine del Delta del Po», di Wu Ming 1

​Negli ultimi tempi ho intrapreso un percorso di ricerca ​sul mio territorio d’origine – basso ferrarese, Delta del Po –, in vista di un progetto narrativo, storico e geografico che mi impegnerà nei prossimi anni.

Voglio raccontare di fiumi che non ci sono più, di bonifiche, di lotte bracciantili… Voglio raccontare la perenne lotta tra terra e acqua che ha dato a quel territorio la sua forma.

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10 Gen2018

Il paradiso può attendere. La vita alpina secondo Matilde Dell’Oro Hermil

10 gennaio 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

di Mariano Tomatis

Mompantero è di nuovo in stato d’emergenza. Se lo scorso ottobre era stato il fuoco, ora è la pioggia torrenziale a minacciare frane.

Da qualche tempo, il destino orografico della zona e le vicende della sua comunità mi stanno più a cuore; merito di una scrittrice dimenticata, che nel 1893 dedicò un libro alla montagna locale – l’imponente Rocciamelone, “una montagna che aduna e cela tante tradizioni e tanti arcani come appunto un’arca santa” – e ai panteremesi, i cui misteri sono densi “come l’ammasso di nubi procellose che grava spesso il fianco e avvolge la testa della loro montagna” (p. 8). Scovato negli archivi di un’associazione ufologica, Roc Maol e Mompantero approfondisce il folklore locale in modo sgangherato, mescolando – senza alcun rigore metodologico – evidenze archeologiche e voci leggendarie, etimologie discutibili ed elementi della tradizione esoterica, cronache medievali e allusioni astrologiche, magnetismo e alchimia. L’autrice Matilde Dell’Oro Hermil (1843-1927) chiama all’appello imperatori e contadini, empirici e maghi, professori e ciarlatani, dai frati dell’Abbazia di Novalesa a Dante Alighieri, dalle streghe del Pampalù a Victor Hugo; traccia percorsi che tengono insieme fantasmi e folletti, UFO ante litteram e apparizioni sinistre. Coacervo di stimoli tanto variegati ed eterogenei, il libro sfugge a qualsiasi classificazione: Un volume di storia locale, certo, ma anche molto altro – e proprio la sua “eccedenza” mi ha magneticamente attirato verso le sue pagine, spingendomi a coinvolgere due compagni di Alpinismo Molotov e progettare con loro una ristampa.

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09 Gen2018

Sangue e fuffa: un bandierone tricolore sull’Adamello

9 gennaio 2018. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

di Mr Mill

 

Se diamo il paesaggio per scontato, non vediamo il conflitto;
se facciamo al paesaggio le domande giuste, evochiamo i fantasmi.
Il modo in cui i fantasmi si manifestano può aiutarci
a prevedere il conflitto sociale a venire
e lottare per dare una nuova forma al territorio.
(Wu Ming 1, Cantare la mappa)

 

Impronte in Adamello: all’origine della traccia

Il 18 dicembre 2016 i giornali locali bresciani riportano la notizia di una riunione tenuta a Edolo, in Alta Valcamonica. A indire l’incontro la tal associazione Impronta Camuna (“Migranti camuni a Brescia e dintorni”). La ragione quella di costituire un “comitato di coordinamento” per la realizzazione di due iniziative per l’anno del centenario della fine della Grande guerra: fare del Monte Adamello tutto un “altare degli Alpini” e, per “consacrarlo” idealmente a sacrario, posare temporaneamente sulla sua parete nord un drappo tricolore lungo mille metri e largo nove, subito ribattezzato “bandierone”. Il presidente dell’associazione Impronta Camuna – Roberto Bontempi – usa toni solenni nel presentare il progetto, accostando quello che dovrebbe diventare il sacrario adamellino all’Altare della patria, i caduti in Adamello al Milite ignoto:

È nato il Comitato che promuoverà le iniziative per far sì che la montagna dell’Adamello sia elevata ad Altare degli Alpini. È stata scelta questa denominazione, pensando al più famoso Altare della Patria a Roma, dove sono custodite le spoglie del Milite Ignoto. L’accostamento risulta più che appropriato: infatti da un’analisi approfondita le somiglianze sono evidenti. Sulle montagne del gruppo dell’Adamello si è combattuto durante la Prima Guerra Mondiale. Qui tanti ragazzi, gli Alpini, hanno dato la vita per il bene dell’Italia le loro lacrime e il loro sangue hanno bagnato questa terra, che li ha accolti tra le sue braccia. La consacrazione del massiccio dell’Adamello serve, perciò, a non far dimenticare il sacrificio dei nostri soldati. Vogliamo che i giovani lo conservino nella memoria perché sappiano quanta fatica e quanto dolore sono stati necessari per “fare l’Italia e per farci sentire popolo unito”.

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13 Dic2017

A testa in giù. Come il ricordo di un’impresa alpinistica viene ridotto al conformismo di chi si dice non conforme

13 dicembre 2017. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Anni fa Eduardo Galeano scrisse un bellissimo libro, dal titolo A testa in giù, nel quale raccontava come troppe cose assurde, disdicevoli (la disuguaglianza, i soprusi, la povertà, etc.) che affliggono gli esseri umani fossero trattate in modo da farle sembrare naturali. Per poterlo fare bisogna aver frequentato una scuola che insegna le cose alla rovescia, cambiando o nascondendo il significato e il senso del mondo circostante.

È una scuola sempre aperta, diffusa in tutto il mondo, non solo nell’America del sud, a cui si iscrivono volentieri uno sterminato numero di individui, di ogni sesso, colore, religione, stato sociale:

«Il piano di studi prevede corsi obbligatori di impotenza, amnesia e rassegnazione, grazie ai quali gli oppressi del pianeta imparano a subire la realtà invece di cambiarla, a dimenticare il passato per permettere ai dittatori di ogni tempo di restare impuniti, ad accettare passivamente il futuro, perché tentare di immaginarselo è un vizio che viene regolarmente punito…»1

Con questo tweet Wu Ming segnala l’articolo di Alessandro Fulloni pubblicato sul sito del Corriere della Sera. A seguito delle rimostranze, il titolo dell’articolo è stato modificato e, dopo che il giornalista ha contattato Wu Ming 1, il testo integrato. Questo l’articolo attualmente leggibile.

Seguito pedissequamente, tale piano di studi permette di magnificare la tolleranza degli intolleranti, la libertà dei liberticidi, la democraticità dei fascisti e dei neonazisti, e via mistificando. Ecco allora che in montagna è bello andarci in elicottero e in quad, non a piedi; che Predappio diventa un luogo di culto, non la sede aperta dell’apologia del fascismo; che la fotografia dell’esecuzione di contadini sloveni da parte dell’esercito italiano diventa la prova della crudeltà dei partigiani; che l’ascesa di tre neonazisti su una cima africana su cui arrivano annualmente decine di italiani diventa motivo di orgoglio patriottico, ed il ricordo di un’impresa alpinistica (per le condizioni in cui avvenne quella veramente memorabile, e giustamente ricordata) viene amputato di quasi tutto per poter rientrare nel conformismo di chi si dice non conforme.

Visto che il loro squittire, irragionevolmente amplificato, potrebbe arrivare a confondere qualcuno vogliamo suggerire un’altra lettura, oltre a quella di Galeano, che può servire a vedere la Fuga sul Kenya di Felice Benuzzi, Giovanni Balletto e Vincenzo Barsotti per quello che era e non per quello a cui la si vorrebbe ridurre.

 

[1] http://www.edscuola.it/archivio/interlinea/galeano.htm

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05 Ott2017

Si fa presto a dire lupo. #AlpinismoMolotov e Luca Giunti live

5 ottobre 2017. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Alpinismo Molotov è una mailing list, un blog, una struttura collettiva dislocata sul territorio senza una sede fisica. Contemporaneamente Alpinismo Molotov è nata sui sentieri di una concretissima montagna, immaginata dai respiri, i passi, gli sguardi, il sudore di essere umani che condividevano lo stesso spazio/tempo.

Fino a giugno scorso abbiamo camminato e scritto, esplorato e raccontato: libri, sentieri, storie, conflitti. Poi è venuta Diverso il suo rilievo, la nostra prima festa e ci siamo confrontati con la dimensione live. E ci è piaciuta. Abbiamo quindi deciso di affiancare all’attività on line una presenza dal vivo, in luoghi fisici, davanti a persone in carne ed ossa.

Martedì 10 ottobre ci sarà la prima di una serie di uscite ancora in corso di costruzione. Parleremo di lupi, ancora una volta con Luca Giunti.

“Lupo” non basta

I lupi sono tornati sulle montagne. Quali lupi? Veri? Immaginari? A due zampe? E perché erano andati via? Domande stimolanti che riguardano la Natura e l’Umano. Infatti, quella del “Lupo” è, soprattutto, una questione politica.

In un dialogo serrato, divertente e scorretto, Alpinismo Molotov e gli attori e le attrici della compagnia L’interezza non è il mio forte estorceranno a Luca Giunti alcune possibili risposte, scientifiche, irrituali, sorprendenti, su di noi prima che sui lupi.

Vi aspettiamo il 10 ottobre, alle 21,30, al Molo di Lilith, via Cigliano 7, Torino. Ingresso libero con tessera ARCI.

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01 Ago2017

O c’è il gasdotto o c’è tutto il resto. Intervista a Elena Gerebizza sul Trans Adriatic Pipeline (TAP)

1 agosto 2017. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

L’associazione Re:Common da sempre si occupa di grandi opere inutili, distruzione dei territori, politiche energetiche.
Recentemente ha curato la pubblicazione di L’alleato azero, una graphic novel illustrata da Claudia Giuliani in cui è raccontata la storia di Khadija Ismayilova, giornalista che ha patito il carcere a causa del suo lavoro di inchiesta sugli interessi e i traffici di Ilham  Aliyev, presidente azero, e della sua famiglia. Il 20 giugno scorso abbiamo intercettato Elena Gerebizza, che di Re:Common è parte integrante, al CSOA Gabrio di Torino e le abbiamo posto delle domande sulla questione TAP e su L’alleato azero.

 

AM: Del TAP si è molto parlato a proposito del suo approdo sulle coste pugliesi, ma il progetto prevede di rifornire Nord Italia e Centro Europa, passando inevitabilmente per l’Appennino. A che stato di avanzamento è il progetto su questa parte, e quali sono gli impatti previsti? È vero che il gasdotto passa nell’area interessata dal sisma in centro Italia?

EG: Il TAP si ferma a Melendugno, almeno secondo la descrizione “istituzionale”, cioè la descrizione del progetto data dai governi e dal consorzio TAP. La verità è che se uno guarda veramente cosa stanno costruendo, questo corridoio che nasce in Azerbaigian – e che dovrebbe nascere addirittura in Turkmenistan, ma per ora non sono riusciti a trovare un accordo – arrivato in Italia, da Melendugno prosegue verso nord e cambia nome e quindi la VIA (Valutazione di impatto ambientale) ha un iter diverso, però di fatto è un corridoio unico che quindi punta a prendere gas dall’Azerbaigian – e da altri luoghi forse, perché l’Azerbaigian non ha le riserve che sostiene d’avere – e trasportarlo verso l’Europa. Un’Europa abbastanza indefinita, perché di fatto non c’è un bisogno reale che motivi la richiesta di questo gas. C’è l’idea di costruire un grande mercato del gas in Europa, idea guidata non dalla valutazione reale di quel che serve in Italia e negli altri paesi dell’Unione Europea, ma piuttosto dall’idea del “costruiamolo così ci facciamo i soldi”, facciamolo perché siccome sta finendo il petrolio abbiamo bisogno di trovare un’altra merce da rendere una commodity,  come viene denominata, in modo che possa essere una sorta di base materiale per costruire poi un ulteriore sviluppo dei mercati finanziari radicati sul commercio di gas.

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