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27 Ott2016

Un metro quadro di natura. Recensione de La foresta nascosta

27 Ottobre 2016. Written by Redazione_am. Posted in Libri

di Filo Sottile

La foresta nascostaIeri un’amica mi ha raccontato che sua figlia, sette anni, ha celebrato in classe l’arrivo dell’autunno. Le hanno dato una scheda prestampata con una foglia d’acero, una castagna, una zucca di Halloween e l’indicazione di colorare senza uscire dai margini.
«Il giardino della scuola – mi dice l’amica – è pieno di alberi e nel parco lì vicino ci sono gli ippocastani, non era meglio mettere la giacca ai bambini e far loro scoprire l’autunno all’aria aperta?»
L’esperienza del mondo naturale è continuamente ostacolata da filtri che, con o senza il nostro consenso, vengono frapposti.
La foresta nascosta, un anno a osservare la natura di David George Haskell (Einaudi, 2014) è un invito potente a riappropriarsi del tempo della contemplazione diretta, non mediata. Un tempo in cui affinare i nostri sensi, plasmati per fiutare l’odore della terra fertile e riconoscere i frutti sulle piante, mica solo gas di scarico e luce al neon. Un tempo di conoscenza di noi stessi e del mondo, un tempo dedicato alla bellezza.

La foresta nascosta è un oggetto narrativo non identificato, un diario che raccoglie un anno di osservazioni di un singolo metro quadro di foresta primaria nel Tennessee. Ogni incontro, accidente, mutamento apre scenari in cui l’aspetto divulgativo, quello lirico, filosofico ed ecologico sono strettamente connessi. Haskell per esempio, seguendo le orme di un cervo, ci conduce a considerare l’assenza di profondità storica di certe analisi ambientali, e ancora più in là, con il viatico delle intuizione di Darwin, a riconoscere la stazza di un bradipo gigante nella conformazione degli agrifogli e degli spini di Giuda.

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11 Gen2016

Everest 1996 e Anatolij Bukreev. Un hasard objectif molotov

11 Gennaio 2016. Written by Redazione_am. Posted in Libri

di Mr Mill

 

Ci sono eventi che diventano perno per una molteplicità di narrazioni, sia per stile che per punti di vista. Quando si tratta di eventi tragici avvenuti in montagna spesso quel che si legge tra le righe dei primi resoconti giornalistici ha il tono sensazionalistico, per poi virare su quello scandalistico nel momento in cui si procede nel tentativo di individuare il fattore unico e determinante – magari nella carne e nelle ossa di un o un’alpinista – della tragedia, in un giochetto che ha poco senso giacché si svolge tutto ex-post. Arrivano poi le ricostruzioni più circostanziate, scritte da chi è in possesso degli strumenti conoscitivi minimi per interpretare fatti che si sono svolti in situazioni e luoghi di cui non tutti hanno conoscenza, né diretta né, spesso, nemmeno mediata (escludendo i superficiali articoli di cronaca di cui sopra). I protagonisti coinvolti in prima persona in uno di questi eventi forniranno da subito materiale per l’elaborazione di queste prime – e già tra loro eterogenee – narrazioni sotto forma di interviste o dichiarazioni, ma solo con il passare del tempo arriveranno a proporne un personale racconto completo. Per ultime capita che vengano prodotte narrazioni in cui l’evento d’origine diviene un semplice pretesto per la costruzione di una narrazione che sappia sedurre il gusto del grande pubblico, in cui le ragioni conoscitive vengono annullate e la complessità mistificata.

Le narrazioni di quel che accadde nel maggio 1996 durante la discesa dall’Everest da parte di tre spedizioni commerciali, in cui persero la vita tre alpinisti, ben rappresenta la dinamica sopra descritta. Nell’arco di poco tempo su Alpinismo Molotov sono state pubblicate due recensioni che riguardano diverse narrazioni di quei tragici fatti: quella del film Everest scritta da Martina Gianfranceschi (qui) e quella proposta da Roberto Gastaldo del best-seller firmato dal giornalista-scrittore-alpinista Jon Krakauer dal titolo Aria sottile (qui). Niente più di un caso, in Alpinismo Molotov non era stato programmato di affrontare questi diversi punti di vista a riguardo dei fatti che si svolsero oramai 20 anni fa nella zona della morte sull’Everest. Allo stesso modo io non avevo programmato la lettura della ricostruzione da parte di Anatolij Bukreev – che fu una delle guide di una delle tre spedizioni coinvolte nei fatti – scritta a quattro mani con il giornalista Gary Weston Dewalt. L’essermi trovato tra le mani questo libro – dal titolo Everest 1996 – non ho potuto non interpretarlo come un hasard objectif molotov e pertanto, senza attesa, l’ho letto di gran lena. E ora ne scrivo.

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30 Nov2015

L’Aria Sottile dell’Everest. Sul libro di Jon Krakauer

30 Novembre 2015. Written by Redazione_am. Posted in Libri

di Roberto Gastaldo

 

Aria Sottile Jon KrakauerHo deciso di leggere Aria sottile dopo aver visto il film Everest ed essermi trovato perfettamente d’accordo con la recensione pubblicata qualche settimana fa su Alpinismo Molotov. Mi è venuta voglia di leggerlo perché si intuiva che, affogati nella lattiginosità hollywoodiana, c’erano pezzi di sostanza totalmente diversa, ben più consistenti ed interessanti; ho messo alla prova l’intuizione e ne sono contento, perché  Aria sottile è uno splendido racconto, con tanti punti di forza e pochi punti deboli. Qui di seguito proverò a descrivervi gli uni e gli altri, cercando di rovinare il meno possibile la lettura, anche se è impossibile evitare del tutto gli spoiler.

Aria sottile, così come Everest, racconta la spedizione che portò all’evento conosciuto come “disastro dell’Everest”, spedizione di cui Krakauer faceva parte. Va evidenziato che il libro nasce come estensione di un già ampio reportage pubblicato sulla rivista Outside commissionato prima degli eventi e che era la ragione stessa della presenza dell’autore sul posto.

Il primo punto di forza del romanzo è che, al contrario del film, appare scritto con la volontà di spiegare la dinamica dei fatti. Nel film in tutta la giornata cardine della vicenda ci sono solo tre luoghi riconoscibili: il campo 4, la vetta e l’Hillary Step. In ogni occasione in cui i protagonisti si trovano in un punto diverso risulta difficilissimo capire dove siano e spesso anche identificarli nei vortici di neve non è agevole, mentre nel libro la trama scorre molto più comprensibile, per quanto possibile data la situazione caotica e la difficoltà dei testimoni a ricordare lucidamente quegli eventi. Come racconta l’autore:

Durante la fase di documentazione chiesi ad altre tre persone di raccontare un incidente a cui avevamo assistito tutti e quattro in cima alla montagna, e non riuscimmo a raggiungere un accordo neppure su fatti essenziali come l’ora, le parole che erano state pronunciate, o addirittura l’identità dei presenti.

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30 Ott2015

Lo zaino dello storico ambientale: Le montagne della patria di Marco Armiero

30 Ottobre 2015. Written by Redazione_am. Posted in Libri

di Filo Sottile e Mr Mill

 

Le montagne della patria.«Non portare via un sasso dalla Toscana, altrimenti la Toscana muore»: è l’allarme affranto e paradossale di Maurizio Crozza, fra le tracce di Cicciput [1]. «Chi viene in Toscana  – dice invece Marco Armiero nella premessa a Le montagne della patria. Natura e nazione nella storia d’Italia (Einaudi, 2013) – si aspetta di vedere oliveti e filari di viti con un campanile sullo sfondo, uno scenario naturale dove la quota di ciò che è antropico è in ogni caso molto alta».

Presenze complementari – il sasso e il frantoio, i colli e i vigneti – sono elementi che con pari importanza contribuiscono a definire quel dato paesaggio.

La Toscana è un pretesto. Ogni luogo, in quest’ottica, diventa un’intersezione di tensioni ecologiche, culturali, politiche, geologiche. Nessun luogo frequentato dall’uomo è naturale, così come non esistono questioni umane del tutto esenti dal dato ambientale.

C’è un altro aspetto:

«Capire la natura nelle nostre teste è altrettanto importante che capire la natura intorno a noi, perché l’una modella e filtra senza posa il modo in cui percepiamo l’altra».[2]

La natura può essere compresa solamente tenendo conto del rapporto di forte interdipendenza fra questa e la cultura di chi la racconta, che varia sia temporalmente che spazialmente.

L’Italia è un paese accidentato: percorsa in longitudine dagli Appennini, coronata dall’arco alpino, frazionata da valli, massicci e guglie. Non si può prescindere da questi elementi fisici per parlarne. La montagna è parte costitutiva dell’idea stessa di Italia. Per quanto le montagne siano lì, imponenti nella loro mole, apparentemente immutabili ai nostri occhi, il solo osservarle già implica una continua risignificazione.

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02 Lug2015

Orme, sentiero molotov.
Appunti su Le Antiche Vie di Robert Macfarlane

2 Luglio 2015. Written by Redazione_am. Posted in Libri

di Yamunin

 

Le antiche vie.Le antiche vie. Un elogio del camminare è un libro che offre molte piste per essere letto e percorso ed ammetto di essere in grande difficoltà a scrivere una “recensione”, talmente tante sono le vie da poter imboccare. Ne scelgo una e seguo le tracce, vediamo dove mi portano.

Orme

Riesco a misurare i miei limiti, a prenderne coscienza camminando per strada in città, in campagna, in  montagna. L’importante è camminare e lasciare che i pensieri sedimentino. Camminando elaboro i problemi o semplicemente li lascio alle spalle lungo la via, per poi ritrovarli ridimensionati e più agevoli da trasportare. «Si cammina per un’infinità di motivi» scrive Macfarlane citando a sua volta il poeta e camminatore Edward Thomas, morto in Francia durante la prima guerra mondiale..

Le antiche vie si apre su un panorama invernale, l’io narrante non riesce a concentrarsi sul lavoro, fuori nevica, così decide di andare a fare una passeggiata lungo la strada ricoperta di neve fresca. Metro dopo metro raggiunge il confine della città, oltre una siepe si apre un sentiero che si srotola fra i campi. Ci troviamo su un limite, insieme al narratore, sospesi a fine pagina. Il narratore è intirizzito, vorrebbe tornare a casa, noi potremmo chiudere qui il libro, e tornare alle faccende quotidiane.

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11 Giu2015

#100anniaNordest
Recensione sul campo

11 Giugno 2015. Written by Redazione_am. Posted in Libri

di Lo.Fi.

Un libro... oppure un buon paio di occhiali (speciali)?

Un libro… oppure un buon paio di occhiali (speciali)?

L’avevamo già segnalato nelle vesti di reportage su Internazionale, ora – dal 4 giugno –  è diventato un libro.


Non è il primo libro a menzionare Alpinismo Molotov, primato che spetta a Diario di zona del nostro Yamunin, ma è il primo a spiegarlo con qualche riga (cfr. p. 211 – sezione “Un altro viaggio lungo e strano” ) e a citare esplicitamente il presente blog.

Non è una recensione facile questa, poiché il libro in questione è esso stesso una grande recensione del Nordest, o perlomeno di quell’Ulisse cialtronesco che rigurgita nel presente dalle sue bocche più ignoranti, come una sinfonia cacofonica composta dalle voci di chi tenta di fuggire da identità imposte per finirne in altre ancora più plumbee, alla stregua di un bad trip collettivo. Una sindrome comune alle terre contese, dove i più subdoli e disparati interessi in campo mettono in mano megafoni agli ebeti più allucinati, incuranti dei disturbi psicotici di massa che ingenerano grazie all’humus creato da un secolo di tossine e folies à plusieurs sedimentate. L’epicentro, o l’agente patogeno primario, di questo sisma/epidemia Wu Ming 1 lo individua nella guera granda. Ogni neoplasia identitaria del Nordest fa infatti perno, per un verso o per l’altro (e non sempre consciamente), su quel trauma primario, un evento che ha trasformato irrimediabilmente quelle terre e il loro clima estinguendo per sempre l’ecosistema sociale precedente come un meteorite con i dinosauri. Oggi, apprendisti stregoni sia istituzionali che dilettanteschi cercano di riportare in vita quei fossili.

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