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14 Mar2019

Primo Levi: parole e passi che amiamo percorrere

14 Marzo 2019. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni, Senza categoria

Prima che nascesse questo blog, prima ancora che cominciassimo a chiamare “alpinismo molotov” quello che stavamo facendo, e da allora in poi per tutti gli anni a venire, a pensarci bene il nostro spirito guida è sempre stato Primo Levi. A volte ne abbiamo parlato, altre volte non ne abbiamo nemmeno avuto bisogno.

Tornammo a valle coi nostri mezzi e al locandiere, che ci chiedeva ridacchiando come ce la eravamo passata, e intanto sogguardava i nostri visi stralunati, rispondemmo sfrontatamente che avevamo fatto un’ottima gita, pagammo il conto e ce ne andammo con dignità. Era questa, la carne dell’orso: ed ora, che sono passati molti anni, rimpiango di averne mangiata poca, poiché, di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto, neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino.
(Primo Levi, Ferro in Il sistema periodico, Einaudi, 1975)

Il compagno di avventure di Primo Levi sulle montagne piemontesi era Sandro Delmastro, primo caduto delle brigate partigiane “Giustizia e Libertà” nel cuneese. E in quelle parole c’è tutto ciò che noi chiamiamo “spirito molotov”.

Primo Levi in vetta al Monte Disgrazia (agosto 1942).

Segnaliamo quindi con grandissimo piacere la rubrica Dizionario Levi inaugurata nei giorni scorsi su doppiozero e così presentata:

Il testimone, il chimico, lo scrittore, il narratore fantastico, l’etologo, l’antropologo, l’alpinista, il linguista, l’enigmista, e altro ancora. Primo Levi è un autore poliedrico la cui conoscenza è una scoperta continua. Nel centenario della sua nascita (31 luglio 1919) abbiamo pensato di costruire un Dizionario Levi con l’apporto dei nostri collaboratori per approfondire in una serie di brevi voci molti degli aspetti di questo fondamentale autore la cui opera è ancora da scoprire.

Il primo lemma di questo dizionario è Alpinismo, il testo è scritto da Giuseppe Mendicino.

Buona lettura.

 

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12 Mar2019

The Milky Way: con la cinepresa lungo la rotta migratoria valsusina

12 Marzo 2019. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Per tornare a occuparci delle migrazioni attraverso le Alpi, e in particolare di quella che è stata definita la “rotta valsusina”, abbiamo incontrato Claudio Cadei e Nicola Zambelli di SMK Video Factory e Luigi D’Alife, che avevamo già intervistato lo scorso anno sullo stesso tema. L’occasione è data dal loro nuovo progetto The Milky Way che ha come tema centrale proprio l’attraversamento da parte delle e dei migranti del confine italo-francese.

AM: Sulla piattaforma dove avete lanciato il crowdfounding per finanziare la realizzazione del progetto avete riportato una frase che parla di fatti del ‘46-‘48:

«Essi vengono nottetempo accompagnati sino al confine da una guida di Bardonecchia e poi si arrangiano a discendere. Naturalmente, dato l’inadeguato equipaggiamento, specie se incontrano cattivo tempo, spesse volte non riescono a proseguire e muoiono sull’alto versante francese. Due o tre al mese almeno lasciano la vita in questo modo.»

Luigi: Sì, è un rapporto dell’epoca.

AM: Quindi il documentario non parla solo del presente, ma ha una profondità storica…

Luigi: Sì, un po’ sì, non vuol essere un documentario storico ma ci sembrava importante capire prima di tutto il contesto territoriale in cui ci troviamo e anche il tipo di storia che ha quel territorio, in relazione a chi lo vive e a chi lo attraversa. Anche senza andare troppo indietro nel tempo, quella che l’anno scorso dai media mainstream era chiamata “la nuova rotta dell’emigrazione” in realtà di nuovo non ha assolutamente nulla, perché è una rotta da millenni utilizzata per spostarsi e, negli ultimi 200 anni, ha visto centinaia di migliaia di italiani provare ad andare clandestinamente in Francia.
Per tornare a tempi più vicini, dal dopoguerra in poi, in particolare tra il ‘46 e la fine degli anni Cinquanta, c’è stato un grande flusso di italiani che ha attraversato quei territori e che sostanzialmente si è trovato a vivere dinamiche che, anche se in fasi storiche diverse, sono molto simili a quelle che si vivono oggi. Quindi, sicuramente, uno sguardo su questo contesto era assolutamente necessario per raccontare quanto sta succedendo oggi.
La frase che citavi tu era in realtà parte di un rapporto redatto da un agente del ministero negli anni del dopoguerra, che era stato inviato in Valle Stretta per cercare il relitto di un aereo americano abbattuto. Ma sono diversi gli episodi relativi a quegli anni che documentano l’intensa attività migratoria. Ad esempio, il comune di Giaglione nel ‘47 chiese supporto alla prefettura di Torino perché sostanzialmente non c’era più posto nel cimitero per seppellire i cadaveri delle persone che non riuscirono a sopravvivere al passaggio.

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04 Feb2019

Libertà.
Un racconto di Francesca Schiavon

4 Febbraio 2019. Written by Redazione_am. Posted in Libri

Alpinismo Molotov in questi anni ha cercato di raccontare una montagna altra da quella che si legge di solito sui media mainstream e sulle riviste specializzate. Una montagna che è allo stesso tempo rifugio e prigione, cerniera e frattura, terreno da colonizzare e sfruttare, crogiuolo di nuove alleanze. Le vicende individuali e collettive degli esseri umani e degli altri viventi che la abitano per essere lette in un’ottica diversa devono essere osservate da punti di vista obliqui, inaspettati.

È uscita di recente altri.immaginari, antologia dei differenti modi di godere (Golena, 2018), una raccolta di racconti di autrici, autori, autoru transfemmist* e queer. Libertà è il titolo del contributo di Francesca Schiavon. Il suo racconto percorre un crinale, una via incerta e farraginosa, ma con il passo di chi sa immaginare l’azzardo dei passaggi pericolosi.

Libertà racconta allo stesso tempo una vicenda di montagna e di resistenze, sì, al plurale. È ambientato in montagna, nelle fasi conclusive della Guerra civile spagnola, e l’io narrante è ispirato a Teresa, Florencio, Durruti, la Pastora – questi i nomi con cui è stat* conosciut* –, una combattente antifranchista realmente esistita.
Francesca, che in montagna ci vive davvero e ha una piccola casa editrice, ci ha concesso di ripubblicarlo qui integralmente.

Buona lettura.

Libertà

Francisco aveva di nuovo l’espressione di un lupo impazzito. Guardava un punto imprecisato a mezz’aria, beveva a piccoli sorsi dal bicchierino scheggiato la grappa che lui stesso aveva distillato da non so quali scarti della cucina. Io non ne sopportavo nemmeno l’odore, sembrava alcol misto a sudore e cattiveria. E sconfitta. Eravamo nascosti da settimane in una grotta buia, in mezzo alle montagne più inospitali della Spagna, da soli, io con la mia pazienza di pastora, lui con la sua frustrazione di guerriero. Eppure non ci avevano ancora presi, la Guardia Civil non aveva né gambe né coraggio per braccarci fin lassù. Eravamo razziatori impietosi, predatori imprevedibili, affamati, rabbiosi e stanchi oltre ogni limite umano. Tanto che ogni giorno mi chiedevo quale fosse il senso della parola umanità e fino a che punto lo avessimo sovvertito e stravolto. Gli ideali per i quali eravamo finiti lassù erano come affissi su una parete invisibile e, anche se non li vedevamo, li avevamo sempre presenti nella testa, fin dentro agli occhi. Grazie a quegli ideali e ai compagni con i quali li avevamo condivisi avevo imparato a leggere. Non so com’è imparare a leggere quando sei un bambino piccolo, per me, che ho cominciato a vent’anni, è stato come nascere di nuovo e le parole dei libri le cui pagine lentamente decodificavo mi si sono ficcate nella testa con tutta la loro potenza, con il colore, la forma, con tutte le virgole e gli a capo. Non mi lasciano mai.

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16 Gen2019

Quello che si è arrotondato sfregando.
#AlpinismoMolotov Live: La via del sale

16 Gennaio 2019. Written by Redazione_am. Posted in Libri

L’azione del sale è duplice: corrode e conserva. Nel corso dei secoli scie di cloruro di sodio si sono depositate sui crinali, nei boschi e nelle valli e hanno scavato vie e mulattiere, e le hanno in qualche modo preservate. Questo complesso di percorsi ha preso il nome di Via del Sale.

Alberto “Abo” Di Monte, geografo, webmaster, appassionato escursionista, indagatore delle vicende dell’Associazione Proletari Escursionisti, insieme a Luca Chiaudano e Roberto Maggioni, nel giugno 2015 l’hanno percorsa (qui il loro istant blog).

Pochi mesi fa è uscito La via del Sale. Un sentiero lungo mille anni (Mursia, 2018) che non solo racconta quell’esperienza (focalizzandosi in particolare sulla rotta Varzi-Camogli), ma ricostruisce in un quadro storico-geografico quanto il sale abbia segnato l’esperienza umana e i territori attraversati.

Venerdì 18 gennaio ne parleremo dal vivo con l’autore e, così come la via del sale non può definirsi un sentiero lineare, anche noi promettiamo deviazioni.

L’appuntamento è al CSOA Gabrio, vi a Millio 42, Torino.

Ore 19,30: aperitivo mangereccio.
Ore 21,00: presentazione.

 

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03 Gen2019

Meridiano di fuoco, la nascita del Nucleo Alpinisti Proletari. Un’auto-intervista collettiva

3 Gennaio 2019. Written by Redazione_am. Posted in Rizomi / Esplorazioni

Auto-intervista collettiva ad Alberto Peruffo come contatto dei NAP dopo la stesura di TTT, togliere-togliere-togliere.

Lungo la SP 246, che porta da Montecchio a Valdagno, verso le Piccole Dolomiti vicentine, compare questo cartellone ricolonizzato da autori poco-noti. Siamo nel cuore dei territori devastati del Veneto, tra la Superstrada Pedemontana Veneta e la Fabbrica Miteni di Trissino, celebre per l’inquinamento da Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche responsabili della più grande contaminazione dell’acqua potabile d’Europa, che ha messo a rischio la salute di 350.000 abitanti. Quell’acqua – un bacino grande come il lago di Garda – scende dalle montagne di Recoaro. Da questa foto Archivio CCC deriva la rielaborazione grafica TTT nell’articolo del Manifesto pubblicato su GognaBlog.

«Non fermatevi di fronte alla metafora rivoluzionaria del nostro linguaggio: la prole, siete voi; la falce, le spighe del bene comune, super partes; il martello, il suono armonioso dei nostri chiodi e del nostro cuore» (NAP)

Che cos’è questo manifesto e chi sono i NAP?

TTT è presa di posizione, un manifesto sui generis, certamente forte e molto fuori dal normale, dalle norme. Sia di comportamento, sia di linguaggio. Ci tirerà addosso un sacco di critiche. Ma abbiamo passato un limite e bisogna porre un argine. Siamo stanchi di gente che spitta a destra e a manca, senza conoscere la geografia e la storia dei luoghi, senza preparazione, senza percorso e senza fatica – anche cognitiva – sulle montagne che vanno ad usurpare. Solo perché hanno uno strumento devastatore in mano. Di cui non conoscono le conseguenze.

I NAP sono un gruppo di preparati giovani alpinisti fuori dalla norma, appoggiati da meno giovani e altrettanto – usiamo questa parola, perché legittima, nello specifico certamente – ribelli. Appaiono e scompaiono, anche a casa mia. Rispettano la natura delle pareti e spingono al massimo l’arrampicata libera, le loro singole possibilità declinate a quelle dei territori, l’originario free climbing che in montagna sarebbe dovuto diventare il più possibile clean climbing, per riprendere le vecchie definizioni californiane, spesso incomprese, fraintese o forse, solo semplicemente, trattenute. Ciò che leggerete è frutto di una solida scrittura collettiva che è stata voluta fortemente da loro.

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18 Dic2018

L’umanità e la franchezza. Scrivere oggi di montagna
di Matteo Melchiorre

18 Dicembre 2018. Written by Redazione_am. Posted in Libri

A maggio del 2018 è stato pubblicato da Priuli & Verlucca Mario Rigoni Stern. Un uomo, tante storie, nessun confine, un volume che raccoglie gli atti del convegno che si tenne nel 2015 ad Asiago, convegno dedicato, appunto, alle opere e alla figura di Mario Rigoni Stern.
È superfluo qui presentare Mario Rigoni Stern, va però sottolineato che le sue opere hanno segnato la scrittura sulla montagna del Novecento italiano e che forte era il rapporto di Rigoni Stern con la montagna. Un legame che era uno dei fattori che contribuì all’amicizia con due altri fondamentali autori, Primo Levi e Nuto Revelli.

Nel volume dedicato a Mario Rigoni Stern edito da Priuli & Verlucca troviamo anche alcuni testi inediti dato che, come è riportato nella scheda del libro, «il convegno ha avviato nuovi dialoghi sull’opera e la figura dello scrittore, aperti a possibili sviluppi di ricerca, in prossimità di quello che sarebbe stato il suo novantasettesimo compleanno e a ridosso del decimo anniversario della morte.»
Sulla stessa scheda del libro si legge che gli inediti pubblicati sono tre, ma ce n’è un quarto ed è quello che in particolar modo ha attirato la nostra attenzione: si tratta di un contributo appositamente scritto, a inizio 2018, per la pubblicazione nel volume in questione da Matteo Melchiorre – nostro ospite a Diverso il suo rilievo 2017 per presentare il suo La via di Schenèr. Un’esplorazione storica nelle Alpi, già autore di Requiem per un albero, di La banda della superstrada Fenadora-Anzù (con vaneggiamenti sovversivi) e del più recente Storia di alberi e della loro terra (che abbiamo presentato in una serata #AlpinismoMolotovLive).

Il contributo di Melchiorre si sviluppa come una estensione del discorso portato avanti nella sua produzione narrativa – incentrata sulle peculiarità della società contemporanea al di sopra di una certa quota altimetrica –, caratterizzata da rigore, eleganza e franchezza: un sapiente far ruotare storia e geografia l’una sull’altra alla ricerca, in profondità, delle ragioni di medio e lungo periodo del mutamento sociale dentro i fatti che si svolgono nel breve periodo. Una ricerca incomoda, in primo luogo per chi la conduce, e severa, che prova a sottrarsi ai cliché e ai pregiudizi accomodanti quanto confortanti anche per i lettori e le lettrici.
Il contributo, intitolato L’umanità e la franchezza, nello specifico, verte «sullo scrivere oggi di montagna» ed è uno strumento prezioso: ci aiuta a essere consapevoli del carattere colonialista nella rappresentazione storicamente stratificata delle alture, offre una prospettiva critica per confrontarsi con quella piccola rinascita della letteratura di montagna, non legata al milieu della letteratura alpinistica, che si è registrata negli ultimi anni e che ha portato la narrazione delle montagne a trovare spazio nelle scansie “alte” delle librerie.

Per tutte queste ragioni, abbiamo deciso – in accordo con l’autore Matteo Melchiorre e con il consenso alla pubblicazione di Priuli & Verlucca, che ringraziamo – di pubblicare questo contributo sul nostro blog.

 

L’umanità e la franchezza. Scrivere oggi di montagna

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Credo sia utile, se non addirittura necessario, dichiarare per quali ragioni io mi prenda il lusso di dire la mia sul conto di un tema, le scritture di montagna, e sul conto di uno scrittore, Mario Rigoni Stern, rispetto ai quali dovrei soltanto togliermi il cappello, fare un inchino e lasciare la parola a quanti abbiano strumenti più raffinati dei miei.
Sono un semplice lettore che ha trovato nei libri di Rigoni Stern molto di che riflettere e da imparare. Non sono né un critico letterario, né un filologo, né uno studioso di letteratura italiana del Novecento. Il mio mestiere è quello dello storico. Mi occupo di tardo Medioevo.
Frugo negli archivi, intrattenendomi ben volentieri con carte e documenti. Negli ultimi anni mi sono dedicato abbastanza regolarmente a ricerche storiche relative alla montagna.
Da più parti, però, mi vien detto che sono uno storico recalcitrante in quanto scrivo, oltre a monografie scientifiche e a saggi storici su riviste del settore, libri che hanno un loro specifico taglio narrativo. Non sono affatto autore di romanzi storici nel senso classico del termine (genere che peraltro mi convince pochissimo). Mi limito a scrivere di storia lasciando spazio alla componente intrinsecamente narrativa che dà alimento alla ricerca storica. Sarà per questo, perché scrivo narrativa occupandomi di questioni storiche, che alcuni lettori dei miei libri ritengono che io sia, più che uno storico recalcitrante, uno scrittore recalcitrante. Vai a sapere da che parte sia giusto guardarla.
C’è anche un’altra cosa, tuttavia, necessaria a inquadrare il mio interesse per la montagna e per i libri di Mario Rigoni Stern. Abito a Feltre da pochi mesi, ma in precedenza ho vissuto in paesi situati ai piedi del Monte Tomatico. Paesi piccoli, con i boschi tra i piedi e le montagne tutto intorno. Sono per questo un montanaro? Non saprei dirlo. Se essere un montanaro significa abitare ai piedi o sulle coste delle montagne e avere pratica più o meno quotidiana con boschi, legname, orti, animali domestici o selvatici, gente rustica, sentieri e via dicendo, allora sì: sono un montanaro.
Sono però convinto che l’altitudine conti non poco nel rilascio di una patente di montanaro. Ci sono vari tipi di patente. Quella di «montanaro di prima classe», a quanto ne so, viene normalmente rilasciata a quanti vivano stabilmente dagli 800 metri di quota in su. Per quelli che, come me, vivono in zone montane ma fra i 350 e i 450 metri sul livello del mare non può essere rilasciata che una più modesta patente di «montanaro di seconda classe».
Una patente di montanaro di seconda classe. Ricerche storiche di argomento alpino. Curiosità nell’esplorazione delle potenzialità della scrittura narrativa.
Sono questi tre fattori che mi hanno messo a confronto con le opere di Rigoni Stern. All’inizio sono state le letture discontinue effettuate tra i quindici e i venticinque anni, letture più o meno sbocconcellate e mediate dalle istituzioni scolastiche. Nella primavera dell’anno scorso, tuttavia, ho pensato di dedicarmi alla rilettura sistematica dei libri di Rigoni Stern, cogliendovi un paio di aspetti che negli anni precedenti avevo potuto appena intuire.

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