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05 Lug2022

I crolli delle montagne, i sollevamenti della terra: Alpinismo Molotov si rimette in cammino

5 Luglio 2022. Written by Redazione_am. Posted in Staffette

Dopo un periodo di pausa, Alpinismo Molotov riprende i fili di tutti i discorsi e di tutte le pratiche, consapevole di farlo in uno scenario ormai sconvolto.

A mutare radicalmente è la stessa morfologia delle nostre montagne, che non stanno più insieme, vanno in frantumi, ci crollano addosso. Cambia il profilo stesso dei massicci, dei crinali. Lo abbiamo visto due giorni fa sulla Marmolada, ma è solo l’ennesimo episodio di una lunga serie. Citiamo solo alcuni dei più recenti:

  • agosto 2017, crolla la parete nord-est del Cengalo, costringendo a sfollare i duecento abitanti delle borgate subito a valle;
  • settembre 2019, crolla un costone del Monte Rosa, tra i ghiacciai Fillàr e Nordend;
  • agosto 2020, crolla una parte del ghiacciaio dell’Adamello, circa 120.000 metri cubi di ghiaccio;
  • maggio 2022, crolla un seracco sul Grand Combin, uccidendo due alpinisti e ferendone altri nove.

Ricordiamo poi che la tendenza è in corso da molto tempo: il crollo del pilastro Bonatti al Petit Dru del Monte Bianco risale al 2005. Con il pilastro se ne andò un pezzo di storia dell’alpinismo. Anche in quella circostanza la causa fu individuata nell’aumento di temperatura. Un’avvisaglia – neppure quella una delle prime – di ciò che sarebbe seguito.

Un territorio montano già messo a durissima prova dai cambiamenti climatici – che causano crolli e frane, penuria idrica e incendi sempre più frequenti – a maggior ragione va difeso da ogni ulteriore aggressione.

Ad aggredire il territorio ogni giorno non è «l’uomo», come superficialmente si dice, né la «specie umana», come vuole la formula meno maschiocentrica. No, ad aggredire il territorio è il capitale, il mercato, la macchina degli appalti; ad aggredirlo sono le lobby delle infrastrutture, ad aggredirlo sono industrie – come quella sciistica – che non hanno più ragione d’essere ma perseverano nel loro devastante operato, noncuranti di quanto sta accadendo.

Le montagne vanno difese soprattutto dalle grandi opere dannose, inutili e imposte, e dai «grandi eventi», che sono in fondo grandi opere mordi-e-fuggi, come abbiamo spiegato tre anni fa in una nostra inchiesta sul Jova Beach Party.

Tutto il territorio va difeso da grandi opere e grandi eventi, ma le montagne in particolar modo, non foss’altro che per un motivo molto banale e “antropocentrico”: per tantissime ragioni, senza le montagne noi siamo finiti.

Alpinismo Molotov si rimette in cammino, si diceva, e come primo passo aderisce all’appello di diverse realtà e associazioni del bolognese, tra le quali il Collettivo del Reno contro tutto l’insostenibile, che hanno chiamato a una marcia di più giorni contro le grandi opere inutili incombenti su quel territorio, dalla Bassa all’Appennino passando per i margini del capoluogo.

Il nome è «I sollevamenti della terra» e i giorni sono quelli dal 2 all’11 settembre.

Il percorso andrà da Ponticelli (comune di Malalbergo) al Lago Scaffaiolo, sul Corno alle Scale.

Partendo da Ponticelli si celebrerà la battaglia appena vinta da militanti della pianura raccolti nella rete No Hub, che ha impedito la cementificazione di un’antica risaia e la costruzione dell’ennesimo «polo logistico». Vittoria rara e preziosa, in una regione la cui classe dirigente è innamorata persa del cemento, e dove fermare le grandi opere è impresa davvero ardua.

Aggirando Bologna, si dirigerà lo sguardo su una delle grandi opere più devastanti che ci attendono, il nuovo passante autostradale. Tutto il greenwashing del mondo non riuscirà a coprirne il terribile grigio: il grigio di asfalto e cemento che consumano suolo, il grigio di chi ha scelto di stare nella “zona grigia”, quella in cui all’opera non si dice sì né no, o peggio, si dice no e al tempo stesso sì.

Arrivando al lago Scaffaiolo, sul Corno alle Scale, si contesterà il progetto di una nuova seggiovia quadriposto, che andrà ad impattare un versante ancora integro della montagna, sulla carta protetto da parchi e riserve naturali, prezioso sul piano botanico, faunistico e paesaggistico. Se ne è parlato su Giap e se ne parla sul sito del comitato «Un altro appennino è possibile».

Nel mezzo, diverse altre tappe, tutte legate a contraddizioni e conflitti sul territorio.

Ecco il documento, scaricabile in pdf, con cui si presenta la marcia.

Per contatti e informazioni: sollevamenti@riseup.net oppure 3534438327.

“Sete insaziabile”, Blu (Lisbona, 2015)

 

In un periodo in cui si parla molto – ma molto male – della siccità e delle sue cause, ricordiamo che le grandi opere, l’asfalto e la cementificazione sono le peggiori nemiche di sorgenti e falde idriche.

Si considerano le montagne inerti pietre da traforare, mentre sono complessi “laboratori” naturali in cui l’acqua piovana diventa acqua di sorgente.

Nei primi anni di questo secolo i trafori per l’Alta Velocità Bologna-Firenze causarono la perdita di oltre un centinaio di miliardi di metri cubi d’acqua, la scomparsa di 37 sorgenti, l’inaridimento di 57 chilometri di fiumi e torrenti. Le falde acquifere di quel territorio precipitarono in basso di decine di metri, pozzi e acquedotti si svuotarono. Per una ricostruzione approfondita, si veda: Wu Ming 2, Il sentiero degli dei (nuova edizione aumentata), Feltrinelli 2021.

Più di recente, in alta Val di Susa, gli scavi del “tunnel esplorativo” per la cosiddetta “Torino – Lione” (durati più o meno dal 2014 al 2017) hanno causato – secondo la stessa società responsabile del progetto, Telt – la perdita di 3,2 milioni di metri cubi d’acqua all’anno. Si tratta di un cunicolo largo 6 metri e lungo solo 7 km. Il “tunnel di base” che si vuole scavare tra Susa e St.–Jean–de–Maurienne sarebbe a doppia canna e lungo ben 57 km, basta fare le proporzioni per capire a quale devastazione idrogeologica si andrebbe incontro, in un territorio già a forte rischio, che si sta surriscaldando più rapidamente di altre zone del Piemonte e dell’intero arco alpino.

Al contempo, si considera il suolo come una superficie inerte che si può coprire a piacimento con cemento e asfalto, quando invece è un ecosistema ricchissimo, che conosciamo ancora troppo poco e, tra le altre cose, ospita e coltiva le falde che garantiscono acqua e vita a molti territori.

L’impermeabilizzazione del suolo impedisce alla pioggia di penetrare nel terreno, così le falde acquifere non possono ricaricarsi, e sono destinate a esaurirsi.

L’Italia è uno dei paesi europei con più suolo coperto, impermeabilizzato. Ogni secondo vengono sigillati due metri quadri di terreno. A prima vista la percentuale di suolo consumato – il 7% – sembra bassa, in realtà è altissima, se pensiamo che il totale include tutto il territorio non edificabile perché protetto o per ostacoli naturali (alta montagna, specchi d’acqua ecc.).

Anche qui, la “parte del leone” del consumo di suolo la fanno le infrastrutture di trasporto, che da sole valgono il 41% dell’edificato: strade, autostrade, svincoli, parcheggi, opere accessorie. Siamo uno dei paesi più pesantemente infrastrutturati, eppure la canzone del capitale è: «Servono più infrastrutture!».

L’altra canzone, quella con cui il capitale ci satura le orecchie in tempi di crisi idrica conclamata, ha come ritornello: «È colpa tua!». Colpa delle tue troppe docce, del fatto che bagni il prato, che tiri lo sciacquone a ogni pipì, che ti lavi troppo i capelli ecc. Ancora una volta si scarica la responsabilità sul singolo, si colpevolizzano cittadine e cittadini. Si tratta di una narrazione diversiva. In Italia gli utilizzi domestici corrispondono solo al 7% dell’impronta idrica totale.

Lo spreco c’è, è innegabile, ma avviene prima che apriamo i rubinetti di casa, visto che la rete, per ragioni di fatiscenza e incuria, perde 3,45 miliardi di metri cubi all’anno. È comunque “robetta”, se pensiamo ai veri sperperi causati da usi industriali e agroindustriali, e ai veri processi che distruggono sorgenti e falde.

Contro le canzoni del capitale devono sorgerne – dal basso, dalla terra che si solleva – mille e mille altre.

Dal canto suo, Alpinismo Molotov vuole contribuire sempre più a questo processo. Per questo, oltre ad aderire alla marcia di settembre, propone altri tre appuntamenti, camminate che si terranno nei prossimi mesi in diverse parti d’Italia, per contare (oppure cantare) il problema delle grandi opere, dell’aggressione al territorio e continuare a ribadire che il cambiamento climatico non è un episodio né tantomeno una prospettiva.

È quel che stiamo già vivendo, qui, ora.

La prima camminata si svolgerà il 28 agosto sulle Prealpi Lombarde, sopra il lago d’Iseo (o lago Sebino, come preferiamo chiamarlo noi). Per ora non diciamo altro, ma nei prossimi giorni, sempre su questo blog – che torna vivo e attivo – daremo l’annuncio con tutti i dettagli.

Buone scarpinate.

 

P.S. Mentre impaginiamo, si stanno evacuando le aree a valle di alcuni ghiacciai, come il Planpicieux, in comune di Courmayeur, per il rischio di nuovi crolli. La logica di questi interventi – ancorché sensati se isoliamo il singolo momento – è unicamente emergenziale, serve a mostrare attenzione e «riflessi pronti» da parte di poteri nazionali e locali che invece hanno ignorato i problemi per decenni, e tuttora operano per aggravarli.

 

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09 Mag2022

#AlpinismoMolotovLive
Luca Giunti e Le conseguenze del ritorno a Torino

9 Maggio 2022. Written by Redazione_am. Posted in Staffette

Il lupo è un clandestino. Dopo uno sterminio pressoché totale portato a termine negli anni 20 del secolo scorso il lupo è scomparso dal paesaggio alpino. I pochi esemplari superstiti di lupo italico, grazie al massiccio inurbamento postbellico degli esseri umani, hanno poi ripercorso la dorsale appenninica e sono tornati a popolare le nostre valli e montagne.

I lupi, per alcuni decenni confinati nell’immaginario collettivo, ripopolano il territorio già occupato per millenni. Ci può capitare ora di incontrarli sui sentieri, negli alpeggi, sulle strade. Recentemente persino alle periferie delle nostre città.
Un incontro che suscita problemi reali, paure ataviche e, non di rado, innesca le stesse narrazioni tossiche e reazionarie che sorreggono le politiche migratorie umane.

Alpinismo Molotov torna a incontrare e intervistare – dopo l’intervista pubblicata sul blog nel 2016 – Luca Giunti, guardiaparco in Valsusa, esperto di lupi, membro della commissione tecnica No Tav e autore per la collana Quintotipo di Alegre di Le conseguenze del ritorno. Storie, ricerche, pericoli e immaginario del lupo in Italia (2021).

Appuntamento al Molo di Lilith (Via Cigliano, 7 – Torino) giovedì 12 maggio, 21:30.

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22 Nov2021

Orme di ribelli e migranti. Come mettersi in cammino per decostruire limiti e confini

22 Novembre 2021. Written by Redazione_am. Posted in Staffette

A partire dalle tracce e i percorsi raccontati da Alberto “Abo” Di Monte nel suo Sentieri migranti. Tracce che calpestano i confini Alpinismo Molotov propone, in collaborazione con altre realtà collettive e singolx (si veda nella locandina qui sopra), una passeggiata lungo sentieri che tagliano, noncuranti, le frontiere del nostro paese a Nordest ripercorrendo le orme di chi, malgrado ogni restrizione, continua ad utilizzare il cammino per valicare confini. Simbolicamente la partenza è fissata presso l’altra Bazovica/Basovizza: quella dove si ricordano gli antifascisti fucilati nel 1930 dopo una condanna a morte da parte del Tribunale speciale per la difesa dello stato, riunito per l’occasione in seduta straordinaria a Trieste.

Partiamo quindi dal Carso. Territorio di attraversamenti, incontri, scambi, ma anche di confine, sbarramenti e respingimenti. Dalla cortina di ferro alla fortezza Europa. I confini sono espressione di esclusione e violenza: lo vediamo dalla Bielorussia alla Val Rosandra/Dolina Glinščice. Lo testimoniano non solo le immagini che ci raggiungono, ma anche gli occhi e i piedi delle persone che ogni giorno passano per piazza Libertà a Trieste di fronte alla stazione dei treni. Lə attivistə di Linea d’Ombra, che attraversano ogni giorno quel luogo a sostegno delle persone in transito, condivideranno i passi con noi sui sentieri che percorreremo.

La pratica del cammino ci permette di cambiare punto di vista, facilitare le osservazioni e attraversare in modo diverso il tempo e il territorio in cui viviamo. Camminare è uno strumento di esplorazione e crescita, mescolanza e viaggio. Vogliamo creare un gruppo, uno spazio che utilizzi quest’ottica, lontana da qualsiasi culto della competizione e dello sfruttamento turistico mordi e fuggi per attraversare i territori della regione altoadriatica, vivendo, raccontando e mescolandosi con le lotte che li interessano. Conflitti che possono essere ambientali o sociali, presenti o passati, passando dall’attraversare i monti dove si combattè la lotta partigiana a sconfinare in prati adibiti a poligoni da servitù militari; salendo piste da sci in insensato ampliamento fino a scendere sentieri che bucano quella porosa linea sottile chiamata confine. Partire e tornare insieme, lungo tracce e trame che ci aiutino a decostruire tutti i confini e limiti che viviamo. Il desiderio è quello di organizzare occasioni che ci permettano di fare questo a cadenza regolare, e questa prima escursione vorrebbe essere l’occasione per capire assieme come e in che modalità farlo.

L’appuntamento quindi è domenica 28 novembre alle ore 10:00 presso il monumento ai fucilati di Bazovica/Basovizza, questo il programma dettagliato:

Ritrovo: ore 10:00.

Luogo: Monumento ai fucilati di Bazovica/Basovizza (posizione qui, 45.639750, 13.873917).

Percorso: (in aggiornamento).

Durata: 2 ore e mezza circa di camminata.

Necessario: Calzature e abbigliamento adatto; acqua; consigliato pranzo al sacco con possibilità di rifornimento cibo presso il Rifugio del Monte Kokos/Cocusso.

Accessibilità: Il percorso è non accessibile per sua natura ma per rendere possibile la più ampia partecipazione segnaleremo al più presto i punti del percorso raggiungibili da tuttə dove si cercherà di concentrare gli interventi.

In collaborazione e con interventi: Alberto “Abo” Di Monte, Gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki, Linea d’Ombra.

In caso di maltempo la presentazione verrà fatta presso la Casa della culture in Ponziana, Via Orlandini 38 – Trieste.

 

In cammino!

 

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28 Mag2021

Siamo percorsi. I “Sentieri Migranti” e la pratica di calpestare i confini

28 Maggio 2021. Written by Redazione_am. Posted in Libri

Nel marzo scorso è stato pubblicato il nuovo libro di Alberto “Abo” Di Monte, nostro compagno di scarpinate, siano queste una serie di passi o cordate di parole. Il libro arriva a chiudere una tetralogia “anomala”, composta da narrazioni dedicate ai rilievi montuosi (in maniera esclusiva o parziale) e a chi, a diverso titolo, ne ha fatto esperienza.
Esperienza che va intesa qui – come scrive Stefania Consigliere nel suo Favole del reincanto – come «conoscenza della trasformazione», ricordando che allo stesso modo, viceversa, «non c’è conoscenza che non sia trasformativa»; tutt’altra cosa rispetto a quel marketing esperienziale impegnato a colonizzare le menti, anche quando i nostri corpi salgono di quota lungo i sentieri, e che è uno strumento della totalizzazione dei regimi immaginari (ancora Consigliere) perseguita dalla modernità e dal capitalismo neoliberale.
Una tetralogia, dicevamo, aperta con Sentieri proletari. Storia dell’Associazione Proletari Escursionisti, pubblicato nel 2015, un libro attorno al quale ai tempi intervistammo l’autore e che fu poi – l’intervista – uno dei primissimi post di Alpinismo Molotov.

Sentieri migranti. Tracce che calpestano il confine – questo il titolo della recente pubblicazione per Mursia – parla di migranti e della incomprimibile necessità di movimento dei corpi, e lo fa dal punto di vista situato di chi si oppone a quel dispositivo di controllo politico e sociale che sono i confini, linee immaginarie che si materializzano nella violenza agita dallo Stato-nazione in ostacoli alla libertà di movimento. Non a caso il sottotitolo del libro richiama alla mente un’azione che si svolse a inizio 2018 – Calpestiamo il confine! – tra Ventimiglia e Mentone, organizzata da Ape Milano (di cui Abo è un infaticabile animatore) e dal Collettivo alpino zapatista.

Nelle parole dell’autore, «il testo racconta cinque tracce, disseminate per l’intero arco alpino, lungo le quali muovono i propri passi le persone migranti irregolarizzate e in cerca di un futuro non ancora scritto.»

In questi anni, su questo blog ma anche per le strade o lungo i sentieri, abbiamo dedicato attenzione e più di un contributo a queste tracce che attraversano le catene montuose, disvelando di quest’ultime il loro essere cerniera anziché spazi separatori come vengono perlopiù rappresentate nel discorso pubblico. Tornare a chiacchierare con Abo su questo suo nuovo libro è stato un passo conseguente al discorso costruito fino a oggi.

Buona lettura.

***

AM: Iniziamo con uno visuale panoramica: come è nato il libro e come hai lavorato, chi ti ha aiutato, con chi hai collaborato?

Abo: Ci sono due possibili risposte a questa domanda. Da una parte il lavoro che ho fatto si compone di letture, tanta rassegna stampa, e soprattutto tantissimo cammino, appunto quel reiterato e incessante andare avanti e indietro per alcuni di questi sentieri, in parte tutt’ora utilizzati, in parte ampiamente sfruttati nei dieci anni che ci separano dall’inizio delle primavere arabe. È stata un po’ anche la mia personale liberazione, diciamo così, dalla fase uno del lockdown eccetera: ritagliarmi via via che era possibile i fine settimana per prendere al volo un treno (perché quasi tutto è stato fatto in sella agli interregionali) per raggiungere appunto i confinali.

L’altra possibile risposta, anche se è più intimista e forse meno interessante per voi, appare con chiarezza nella mia testa: questo è il quarto libro che ho fatto con Mursia editore e mi piace immaginarla un po’ come una tetralogia. Anche se non lo è in senso pieno, c’è però qualcosa di tutti i tre testi precedenti dentro questo. Il primo – quello dedicato alla storia dell’A.P.E. – si chiamava Sentieri proletari. Se una storia del ‘900 aveva per titolo Sentieri proletari, una storia ambientata nel nostro presente poteva portare nell’intestazione, appunto, Sentieri migranti. Al sottotitolo (Tracce che calpestano il confine, ndr) il compito di chiarire il resto.

Il secondo testo della serie narrava invece di sport popolare (Sport e proletariato. Una storia di stampa sportiva, di atleti e di lotta di classe, ndr) e stampa sportiva. Ogni volta che mi è capitato di presentarlo – o comunque di ragionarci sopra – mi sono sempre sorpreso a soffermarmi sul racconto di questi italiani che sul colle del Frejus – migranti della classe meno abbiente – perdevano la vita affrontando una bufera senza i mezzi necessari. In uno dei numeri del settimanale c’era questo articolo di denuncia che riprendeva un rotocalco francese sull’assurdità che in tempi così moderni, quali erano quelli del 1923, ci fossero ancora persone che, per il solo fatto di non avere i documenti in regola, affrontavano le Alpi tra quei pericoli nonostante tutte le possibilità, l’offerta diciamo tecnica e scientifica, a cui si era arrivati all’indomani del primo conflitto mondiale e per la precisione novantotto anni fa.

L’ultimo volume, apparentemente più distante e in altra misura più prossimo, è appunto La via del sale. Un testo che tratta di un cammino di più giorni, di viandanza e di una postura, diciamo così, distante da un approccio turistico anche nelle sue versioni dolci, e orientato più al tema di una nuova scoperta di un passato di commercio lungo mulattiere oggi celato tra le fronde.

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07 Apr2021

Camminare con lentezza, in continuità con le lotte. Torna Il sentiero degli dei

7 Aprile 2021. Written by Redazione_am. Posted in Libri

Guarda il disegno qui a lato. C’è un grande cantiere incassato tra le montagne. È il cantiere di una galleria, un tunnel ferroviario: ci sono treni sulle rotaie. Due cisterne di chissà cosa, di quelle che da Viareggio in poi ti fanno paura, figurati cacciate in un tunnel sotto una montagna. Ma almeno non si vedono vagoni passeggeri, quindi forse è una linea merci.

In primo piano, in ombra, un tizio con uno zaino da montagna, piuttosto grosso. Si indovinano sacco a pelo e tazza di metallo. Probabilmente il tipo sta fuori più giorni e si trova a passare alto sul cantiere, del quale sembra perplesso, forse preoccupato.

Secondo te dov’è questo posto? Proviamo a indovinare, non è difficile: Chiomonte, il cantiere “della TAV”, così è ormai per tutti, anche se ora si chiama “il TAC” ed è soprattutto una linea merci, o quantomeno quello è il pretesto per scavare. Il sentiero è uno dei non molti che si inoltrano in Val Clarea, frequentata da pochi perché, almeno a quote medio basse, è ripida, buia, molto dislivello, zero turismo.

Invece no: come vedi qui sotto è la copertina di un libro, un libro fondamentale per andare in montagna cercando di capire qualcosa, di guardare e non solo vedere: Il sentiero degli dei. Un racconto a piedi tra Bologna e Firenze. Questa è la nuova edizione aumentata, come spiegato qui dal suo autore Wu Ming 2.

Si tratta di un oggetto narrativo non identificato che parla di montagne, per questo su Alpinismo Molotov desta (rinnovato) interesse e ne segnaliamo la nuova edizione. Ma ci interessa anche perché, seppur se non parla di Chiomonte come l’immagine di copertina ci ha portato a immaginare, contribuisce a capire quel cantiere e tutti i cantieri in opera – o in programma – che nel nome delle “grandi infrastrutture” avveleneranno montagne, colline o pianure e ne sfregeranno indelebilmente i paesaggi, aggrediranno ecosistemi delicati o porteranno il colpo di grazia a quelli già duramente messi alla prova dell’antropizzazione a colpi di colate di cemento. Racconta un disastro compiuto e quindi spiega i disastro in atto. Racconta il futuro.

Realisticamente non sarà questo libro a farci vincere, come nessun altro. Non basta un grande editore e la sua capacità di distribuzione, non basta che lo leggano in tanti. Occorre anche altro, ma quell’altro cresce anche con i libri. E che si vinca o si perda, servirà in ogni caso per ricordare negli anni a venire, con la giusta dose di insanabile rancore, l’accanimento feroce del sistema che reitera a fotocopia le stesse porcate.

 

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07 Dic2020

Il ritorno del Kras/Carsismo molotov, un récit collettivo.
«Ripartiamo quando dovremo star fermi!»

7 Dicembre 2020. Written by Redazione_am. Posted in Récit

Sono i passi condivisi con uno sguardo ribelle alla montagna a fare delle nostre uscite delle esperienze “Molotov”. Questo anno con i confinamenti e le chiusure motivati dalla pandemia in molti casi questa condivisione è stata resa impossibile. L’abbiamo aggirata, questa impossibilità, come nelle terre alte si fa per evitare un ostacolo, riunendo le normalissime, necessarie, liberanti, cospiranti, resistenti evasioni con la consapevolezza e il proposito di vederci e camminare spalla a spalla appena possibile.

È sul Carso che eravamo andati subito prima del lockdown ed è da qui che ripartiamo. Il Carso è molotov: terra alta senza averne l’aria, scavalca confini statali e linguistici, duro, ribelle e fecondo.
Qui un gruppo di noi ha incontrato nuovi compagnx di scarpinate ed è da questo incontro che nasce questa uscita.

***

Camminando lungo il sentiero guardo la terra e sento il dolore come ruggine ricopre quell’orrore di filo spinato. Alzo lo sguardo, cortocircuito. La struggente purezza con tutta la sua forza mi si staglia davanti irremovibile. La montagna. Ogni mio passo è in bilico tra il baratro della guerra avvinghiato nella terra e il turbine di bellezza di questa natura impavida. Ingenuamente mi chiedo come abbia fatto l’odio ad arrivare fin quassù. (Sabina)

 

Lo.Fi.: E quindi rieccoci qua, a riallacciare lo scarpone dell’alpinismo molotov “nordestino”, ché in effetti costituì il nucleo primigenio di AM tutto, considerando che è sulle tracce della prima ascensione di Felice Benuzzi al Mangart che nacque questa avventura di gambe e parole.

Poi il testimone passò a nord-ovest, con il battesimo ufficiale sul Rocciamelone, ma il nord-est – gli “orientali” secondo la ripartizione SOIUSA delle Alpi – c’era e riportò gli occidentali sulle Giulie, sulla loro cuspide massima, il Triglav, poco dopo.

Galleria del Castelletto, agosto 2015

Quella che mancava era l’articolazione di un gruppo locale stabile, forte e discorsivamente autonomo come quello di nord-ovest orbitante intorno alla Valsusa. L’ostacolo maggiore era forse il tema di fondo: lotte vive a nord-ovest, fossili a nord-est, incapsulate in radioattive questioni memoriali. Per carità, siamo ben contenti che il TAV da queste parti si sia inabissato nelle profondità carsiche da diversi anni, ma il fatto che metà degli attacchi politici da queste parti procedano da fatti accaduti tra i 100 e i 75 anni fa rende il “movimento” alquanto angusto, anchilosato, e a maggior ragione lo si sente in montagna dove le articolazioni ben oliate sono fondamentali… Così sulle macerie del castelletto della Tofana, nella campagna #MontagneControLaGuerra lanciata per contrastare il revival nazionalista del centenario della prima guerra mondiale, ci arenammo una prima volta e continuammo ad arenarci ad ogni tentativo di rivitalizazzione, come quando io e Ciopsa ci arrampicammo sul Cellon, o quando con una comitiva italo-slovena salimmo il Porezen a ricordare la resistenza contro nazisti e fascisti. Ci arenammo nella seconda parte della scalata, quella del racconto, anche per soggezione verso quel boccone di storia che avremmo dovuto mandare giù, come negli imponenti récit dell’Učka e del Bus de la Lum.

Slovenian and italian antifascists united, just like 73 years ago, to honour the fallen on mount #Porezen. Mountains against the nazi pic.twitter.com/ljvqIMHhBC

— Alpinismo Molotov (@alpi_molotov) March 26, 2018

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