Dopo un periodo di pausa, Alpinismo Molotov riprende i fili di tutti i discorsi e di tutte le pratiche, consapevole di farlo in uno scenario ormai sconvolto.
A mutare radicalmente è la stessa morfologia delle nostre montagne, che non stanno più insieme, vanno in frantumi, ci crollano addosso. Cambia il profilo stesso dei massicci, dei crinali. Lo abbiamo visto due giorni fa sulla Marmolada, ma è solo l’ennesimo episodio di una lunga serie. Citiamo solo alcuni dei più recenti:
- agosto 2017, crolla la parete nord-est del Cengalo, costringendo a sfollare i duecento abitanti delle borgate subito a valle;
- settembre 2019, crolla un costone del Monte Rosa, tra i ghiacciai Fillàr e Nordend;
- agosto 2020, crolla una parte del ghiacciaio dell’Adamello, circa 120.000 metri cubi di ghiaccio;
- maggio 2022, crolla un seracco sul Grand Combin, uccidendo due alpinisti e ferendone altri nove.
Ricordiamo poi che la tendenza è in corso da molto tempo: il crollo del pilastro Bonatti al Petit Dru del Monte Bianco risale al 2005. Con il pilastro se ne andò un pezzo di storia dell’alpinismo. Anche in quella circostanza la causa fu individuata nell’aumento di temperatura. Un’avvisaglia – neppure quella una delle prime – di ciò che sarebbe seguito.
Un territorio montano già messo a durissima prova dai cambiamenti climatici – che causano crolli e frane, penuria idrica e incendi sempre più frequenti – a maggior ragione va difeso da ogni ulteriore aggressione.
Ad aggredire il territorio ogni giorno non è «l’uomo», come superficialmente si dice, né la «specie umana», come vuole la formula meno maschiocentrica. No, ad aggredire il territorio è il capitale, il mercato, la macchina degli appalti; ad aggredirlo sono le lobby delle infrastrutture, ad aggredirlo sono industrie – come quella sciistica – che non hanno più ragione d’essere ma perseverano nel loro devastante operato, noncuranti di quanto sta accadendo.
Le montagne vanno difese soprattutto dalle grandi opere dannose, inutili e imposte, e dai «grandi eventi», che sono in fondo grandi opere mordi-e-fuggi, come abbiamo spiegato tre anni fa in una nostra inchiesta sul Jova Beach Party.
Tutto il territorio va difeso da grandi opere e grandi eventi, ma le montagne in particolar modo, non foss’altro che per un motivo molto banale e “antropocentrico”: per tantissime ragioni, senza le montagne noi siamo finiti.
Alpinismo Molotov si rimette in cammino, si diceva, e come primo passo aderisce all’appello di diverse realtà e associazioni del bolognese, tra le quali il Collettivo del Reno contro tutto l’insostenibile, che hanno chiamato a una marcia di più giorni contro le grandi opere inutili incombenti su quel territorio, dalla Bassa all’Appennino passando per i margini del capoluogo.
Il nome è «I sollevamenti della terra» e i giorni sono quelli dal 2 all’11 settembre.
Il percorso andrà da Ponticelli (comune di Malalbergo) al Lago Scaffaiolo, sul Corno alle Scale.
Partendo da Ponticelli si celebrerà la battaglia appena vinta da militanti della pianura raccolti nella rete No Hub, che ha impedito la cementificazione di un’antica risaia e la costruzione dell’ennesimo «polo logistico». Vittoria rara e preziosa, in una regione la cui classe dirigente è innamorata persa del cemento, e dove fermare le grandi opere è impresa davvero ardua.
Aggirando Bologna, si dirigerà lo sguardo su una delle grandi opere più devastanti che ci attendono, il nuovo passante autostradale. Tutto il greenwashing del mondo non riuscirà a coprirne il terribile grigio: il grigio di asfalto e cemento che consumano suolo, il grigio di chi ha scelto di stare nella “zona grigia”, quella in cui all’opera non si dice sì né no, o peggio, si dice no e al tempo stesso sì.
Arrivando al lago Scaffaiolo, sul Corno alle Scale, si contesterà il progetto di una nuova seggiovia quadriposto, che andrà ad impattare un versante ancora integro della montagna, sulla carta protetto da parchi e riserve naturali, prezioso sul piano botanico, faunistico e paesaggistico. Se ne è parlato su Giap e se ne parla sul sito del comitato «Un altro appennino è possibile».
Nel mezzo, diverse altre tappe, tutte legate a contraddizioni e conflitti sul territorio.
Ecco il documento, scaricabile in pdf, con cui si presenta la marcia.
Per contatti e informazioni: sollevamenti@riseup.net oppure 3534438327.
“Sete insaziabile”, Blu (Lisbona, 2015)
In un periodo in cui si parla molto – ma molto male – della siccità e delle sue cause, ricordiamo che le grandi opere, l’asfalto e la cementificazione sono le peggiori nemiche di sorgenti e falde idriche.
Si considerano le montagne inerti pietre da traforare, mentre sono complessi “laboratori” naturali in cui l’acqua piovana diventa acqua di sorgente.
Nei primi anni di questo secolo i trafori per l’Alta Velocità Bologna-Firenze causarono la perdita di oltre un centinaio di miliardi di metri cubi d’acqua, la scomparsa di 37 sorgenti, l’inaridimento di 57 chilometri di fiumi e torrenti. Le falde acquifere di quel territorio precipitarono in basso di decine di metri, pozzi e acquedotti si svuotarono. Per una ricostruzione approfondita, si veda: Wu Ming 2, Il sentiero degli dei (nuova edizione aumentata), Feltrinelli 2021.
Più di recente, in alta Val di Susa, gli scavi del “tunnel esplorativo” per la cosiddetta “Torino – Lione” (durati più o meno dal 2014 al 2017) hanno causato – secondo la stessa società responsabile del progetto, Telt – la perdita di 3,2 milioni di metri cubi d’acqua all’anno. Si tratta di un cunicolo largo 6 metri e lungo solo 7 km. Il “tunnel di base” che si vuole scavare tra Susa e St.–Jean–de–Maurienne sarebbe a doppia canna e lungo ben 57 km, basta fare le proporzioni per capire a quale devastazione idrogeologica si andrebbe incontro, in un territorio già a forte rischio, che si sta surriscaldando più rapidamente di altre zone del Piemonte e dell’intero arco alpino.
Al contempo, si considera il suolo come una superficie inerte che si può coprire a piacimento con cemento e asfalto, quando invece è un ecosistema ricchissimo, che conosciamo ancora troppo poco e, tra le altre cose, ospita e coltiva le falde che garantiscono acqua e vita a molti territori.
L’impermeabilizzazione del suolo impedisce alla pioggia di penetrare nel terreno, così le falde acquifere non possono ricaricarsi, e sono destinate a esaurirsi.
L’Italia è uno dei paesi europei con più suolo coperto, impermeabilizzato. Ogni secondo vengono sigillati due metri quadri di terreno. A prima vista la percentuale di suolo consumato – il 7% – sembra bassa, in realtà è altissima, se pensiamo che il totale include tutto il territorio non edificabile perché protetto o per ostacoli naturali (alta montagna, specchi d’acqua ecc.).
Anche qui, la “parte del leone” del consumo di suolo la fanno le infrastrutture di trasporto, che da sole valgono il 41% dell’edificato: strade, autostrade, svincoli, parcheggi, opere accessorie. Siamo uno dei paesi più pesantemente infrastrutturati, eppure la canzone del capitale è: «Servono più infrastrutture!».
L’altra canzone, quella con cui il capitale ci satura le orecchie in tempi di crisi idrica conclamata, ha come ritornello: «È colpa tua!». Colpa delle tue troppe docce, del fatto che bagni il prato, che tiri lo sciacquone a ogni pipì, che ti lavi troppo i capelli ecc. Ancora una volta si scarica la responsabilità sul singolo, si colpevolizzano cittadine e cittadini. Si tratta di una narrazione diversiva. In Italia gli utilizzi domestici corrispondono solo al 7% dell’impronta idrica totale.
Lo spreco c’è, è innegabile, ma avviene prima che apriamo i rubinetti di casa, visto che la rete, per ragioni di fatiscenza e incuria, perde 3,45 miliardi di metri cubi all’anno. È comunque “robetta”, se pensiamo ai veri sperperi causati da usi industriali e agroindustriali, e ai veri processi che distruggono sorgenti e falde.
Contro le canzoni del capitale devono sorgerne – dal basso, dalla terra che si solleva – mille e mille altre.
Dal canto suo, Alpinismo Molotov vuole contribuire sempre più a questo processo. Per questo, oltre ad aderire alla marcia di settembre, propone altri tre appuntamenti, camminate che si terranno nei prossimi mesi in diverse parti d’Italia, per contare (oppure cantare) il problema delle grandi opere, dell’aggressione al territorio e continuare a ribadire che il cambiamento climatico non è un episodio né tantomeno una prospettiva.
È quel che stiamo già vivendo, qui, ora.
La prima camminata si svolgerà il 28 agosto sulle Prealpi Lombarde, sopra il lago d’Iseo (o lago Sebino, come preferiamo chiamarlo noi). Per ora non diciamo altro, ma nei prossimi giorni, sempre su questo blog – che torna vivo e attivo – daremo l’annuncio con tutti i dettagli.
Buone scarpinate.
P.S. Mentre impaginiamo, si stanno evacuando le aree a valle di alcuni ghiacciai, come il Planpicieux, in comune di Courmayeur, per il rischio di nuovi crolli. La logica di questi interventi – ancorché sensati se isoliamo il singolo momento – è unicamente emergenziale, serve a mostrare attenzione e «riflessi pronti» da parte di poteri nazionali e locali che invece hanno ignorato i problemi per decenni, e tuttora operano per aggravarli.